
(AGENPARL) – lun 19 febbraio 2024 COMUNICATO STAMPA
IL MONDO FLUTTUANTE. UKIYOE.
VISIONI DAL GIAPPONE
Dal 20 febbraio al 23 giugno al Museo di Roma a Palazzo Braschi
in mostra centocinquanta capolavori dell’arte giapponese
tra il Seicento e l’Ottocento
Roma, 19 febbraio 2024 – Apre al pubblico al Museo di Roma a Palazzo Braschi da
martedì 20 febbraio a domenica 23 giugno 2024 la grande mostra “Il mondo fluttuante.
Ukiyoe. Visioni dal Giappone”, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura,
Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, coprodotta e organizzata dalla
Sovrintendenza Capitolina e da MondoMostre, con il supporto di Zètema Progetto
Cultura, curata da Rossella Menegazzo.
La mostra, inaugurata oggi dall’assessore alla Cultura di Roma Capitale, Miguel Gotor,
dalla direttrice della Direzione Musei Civici della Sovrintendenza Capitolina, Ilaria Miarelli
Mariani, dall’amministratore delegato di MondoMostre, Simone Todorow di San Giorgio, e
dalla curatrice Rossella Menegazzo – presenta centocinquanta capolavori dell’arte
giapponese di epoca Edo, tra il Seicento e l’Ottocento, focalizzandosi su quello che è
stato il filone artistico più innovativo del tempo e internazionalmente ancora oggi influente:
l’ukiyoe. Letteralmente traducibile come “immagini del mondo fluttuante”, si tratta di un
genere pittorico nato in epoca Edo (1603-1868) che include rotoli da appendere e da
srotolare tra le mani, ma anche paraventi di grande formato, dipinti a pennello su seta
o carta, oltre a stampe realizzate in policromia con matrice in legno su carta.
Quello che si ricava dalla mostra è una panoramica dei circa duecentocinquant’anni
sotto il governo militare dei Tokugawa, un lungo periodo di pace segnato da grandi
cambiamenti sociali, economici ed artistici che si chiuse con la riapertura forzata del
Paese agli scambi con le potenze occidentali a partire dalla metà dell’Ottocento e la
Restaurazione Meiji che riportò al centro del potere l’Imperatore.
Sono rappresentati i più importanti maestri dell’ukiyoe, oltre 30 artisti, a partire dalle prime
scuole Seicentesche come la Torii fino ai nomi più noti di Kitagawa Utamaro, Katsushika
Hokusai, T?shusai Sharaku, Keisai Eisen e alla grande scuola Utagawa con Toyokuni,
Toyoharu, Hiroshige, Kuniyoshi, Kunisada che rappresentò l’apice e forse anche il
dissolvimento del genere quando i tempi stavano ormai cambiando.
La tecnica dell’ukiyoe, importata dalla Cina, implementò la diffusione di immagini e libri
permettendo una produzione in serie grazie anche al talento degli artisti ingaggiati. La
produzione di stampe, infatti, rappresentò un vero e proprio mercato, tantissimi furono gli
artisti e i professionisti, tra pittori, intagliatori, stampatori, calligrafi, che lavoravano in atelier
sotto la direzione di un editore il quale sosteneva economicamente il progetto, sceglieva
artisti e soggetti, e immetteva le opere sul mercato.
La grande novità che l’ukiyoe convogliava erano i soggetti, completamente diversi dalla
grande pittura parietale aristocratica al servizio dei potenti e dalle scuole classiche di Kyoto.
A Edo a dettare gusti e le mode era la classe cittadina emergente, composta soprattutto di
mercanti arricchiti che, pur non avendo potere politico, cominciarono a permettersi il
godimento del lusso e di intrattenimenti di ogni genere. Ukiyo, che fino ad allora era stato
inteso nel senso di attaccamento all’illusorio mondo terreno da cui rifuggire, secondo
l’insegnamento buddhista, ora prendeva un senso opposto di godimento dell’attimo fugace e
di tutto ciò che era alla moda.
In questo senso l’ukiyoe è una testimonianza diretta della società giapponese del tempo,
degli usi e dei costumi, delle mode da indossare, dei luoghi naturali e delle vedute urbane
più ricercate. Dalle immagini del teatro kabuki con i volti degli attori più affermati fino ai
quartieri di piacere ravvivati dalla bellezza di cortigiane e geisha altrettanto note, agli
spettacoli di danza, musica e di intrattenimenti con ogni forma d’arte. L’ukiyoe, tuttavia,
dietro al racconto di nuove mode e stili di vita, lascia trasparire anche una raffinatezza
culturale testimoniata dalla diffusione delle arti intese come discipline formative
dell’individuo colto, talvolta utilizzate come espediente per aggirare la censura del
governo che vietava soggetti legati a cortigiane e attori, nascosti da artisti ed editori
sotto velati insegnamenti morali e moralistici.
Spiega Rossella Menegazzo, curatrice della mostra: “L’ukiyoe, oggi conosciuto in tutto il
mondo come il filone artistico giapponese preminente per la forte influenza che ha avuto
sull’arte europea dell’Otto e del Novecento, in realtà rappresentò per l’epoca anche un
nuovo mezzo di divulgazione – attraverso le immagini e i libri illustrati – di valori culturali
nuovi che si andavano imponendo. Dietro a rappresentazioni di un mondo di piaceri e
intrattenimenti terreni spesso si celavano insegnamenti, concetti morali e messaggi che
venivano passati abilmente, scavalcando la forte censura governativa che voleva colpire il
lusso e le classi emergenti. Le opere in mostra ci raccontano quanto quella di Edo fosse una
società alfabetizzata e come si usassero le arti come disciplina formativa dell’individuo. Ma
ci raccontano anche l’apertura del Giappone all’Occidente e i rapporti speciali che il paese
ebbe con il Regno d’Italia, poiché tutti i pezzi esposti provengono dalle collezioni di artisti o
diplomatici italiani, i primi viaggiatori e residenti in Giappone nella seconda metà
dell’Ottocento”.
“Sono felice che il Museo di Roma ospiti una così prestigiosa e rappresentativa selezione di
un genere pittorico che ha attraversato i secoli, rappresentando un punto di svolta nella
storia dell’arte giapponese e influenzando non solo la cultura nipponica ma quella di tutto il
mondo. L’ukiyoe ha influenzato infatti numerosi artisti occidentali, da Van Gogh a Monet, fino
agli odierni manga, diventando un ponte culturale tra Oriente e Occidente e Roma, che nella
sua lunga storia è stata sempre aperta alle altre culture, rappresenta il luogo ideale per
accogliere queste opere straordinarie”, così l’assessore alla Cultura di Roma Capitale,
Miguel Gotor.
Accanto a dipinti e silografie sono esposti anche strumenti musicali, giochi da tavolo, un
soprakimono (uchikake) e accessori del corredo femminile e maschile alla moda, restituendo
così la realtà di molti oggetti d’arte applicata rappresentati nell’ukiyoe e collezionati a fine
Ottocento dai primi artisti e professionisti italiani residenti in Giappone.
LA MOSTRA
L’esposizione si snoda attraverso un percorso di sette sezioni che accompagnano il
pubblico alla scoperta di aspetti molteplici del lungo periodo Edo: culturali, estetici, artistici.
sociali, politici ed economici.
Il percorso prende avvio mostrando come la rappresentazione della bellezza femminile
(bijin), soggetto centrale dell’ukiyoe, sia diventata veicolo di diffusione non solo di mode e
valori nuovi, ma anche di concetti educativi e morali. Le donne di artisti come Utagawa
Toyoharu e Kitagawa Utamaro sono raffigurate impegnate in attività artistiche come la
pittura, la calligrafia, il gioco da tavolo di strategia, la poesia e la musica, considerate
discipline chiave per la formazione di una persona colta. Il tema della musica è
approfondito nella sezione anche attraverso una selezione di strumenti musicali del
tempo, che ritroviamo rappresentati nelle stampe, provenienti dalla collezione di
Vincenzo Ragusa e Cristoforo Robecchi.
La mostra prosegue con un approfondimento sulle arti performative, da una parte la danza,
quella ufficiale eseguita sul palcoscenico sulla scia del successo del kabuki (buy?) e quella
popolare, eseguita in occasione di festività e festival (matsuri) lungo le vie, come la danza
del Leone per il Capodanno, dall’altra il teatro kabuki, nato proprio nel Seicento, le cui
locandine contribuirono ai primi sviluppi dell’ukiyoe. La ritrattistica di attori divenne uno dei
filoni più richiesti e attraverso le loro figure si diffusero mode e tendenze: artisti come
T?sh?sai Sharaku diventarono maestri in quest’ambito. Ma non mancarono anche le
vedute dei quartieri del teatro e degli interni dei teatri con gli attori sul palco e il tutto
esaurito di pubblico: in particolare Okumura Masanobu fu il primo a introdurre la
prospettiva lineare in questo ambito, fino a quel momento assente nella pittura orientale, per
restituire la tridimensionalità dello spazio in modo attraente e all’avanguardia per il tempo.
La sezione successiva è dedicata ai quartieri di piacere, sviluppatisi appena fuori città,
dove, una volta varcato il portone, non valevano più le regole shogunali ma quelle della