[lid] La recente pubblicazione dei risultati delle prove Invalsi, relative all’anno scolastico 2020-21, ha acceso, ancora una volta, “un occhio di bue” sui gravi “deficit di conoscenze” dei nostri studenti, dovuti ad una alfabetizzazione di base del tutto inadeguata, una bassa “qualificazione” non solo per accedere all’ Università, ma anche per inserirsi nel mondo del lavoro.
In terza media il 30% degli studenti non raggiunge il livello minimo di conoscenza e comprensione di un testo scritto, il 45% è in forte difficoltà in matematica. Nelle scuole superiori il 44% dei maturandi non raggiunge il livello minimo di conoscenza dell’italiano, analoga percentuale di inadeguatezza si registra in matematica.
Preoccupante è la dispersione materiale e intellettuale (secondo i dati PIAAC il 17,6/% degli studenti abbandona precocemente la scuola contro il 12,7% della media degli altri paesi) una malattia cronica del nostro sistema scolastico, dai costi elevatissimi, che si aggiunge alle scarse competenze nella risoluzione di problemi complessi sui posti di lavoro.
Ad aggravare la tradizionale dispersione scolastica legata all’insuccesso contribuisce una specifica forma di dispersione la dispersione delle competenze e dei talenti. I risultati del 1°ciclo (2011-2012) dell’indagine PIAAC ha evidenziato la posizione difficile del nostro paese nella società e nel welfare della conoscenza. Particolarmente allarmante risulta essere il fatto che il declino delle competenze, con l’età, inizi in Italia dal 16° anno, mentre nella media OCSE comincia dopo i 30 anni.
Non abbiamo centrato l’obiettivo della Comunità Europea che mirava a portare, entro il 2020, al 10% la percentuale della dispersione in tutti i paesi dell’Eurozona, migliorando il livello di istruzione dei cittadini. Non dobbiamo dimenticare che dal 1° gennaio 2016 sono entrati in vigore a livello internazionale l’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile (Agenda 2030) e i relativi obiettivi adottati all’unanimità da tutti gli stati membri delle Nazioni Unite.
L’obiettivo 4 dell’Agenda 2030 mira a fornire un’educazione di qualità, pone l’accento sull’equità e la qualità dell’istruzione in un’ottica di apprendimento che si estenda lungo tutto l’arco della vita, per combattere soprattutto l’analfabetismo funzionale, la più grande emergenza dell’ Italia che ha raggiunto la percentuale del 27,7% e che riguarda l’incapacità di comprendere e usare le informazioni che si incontrano nella vita di tutti i giorni, a causa delle insufficienti abilità nella lettura e comprensione dei testi, nel calcolo, deficienze queste che indeboliscono la possibilità di innovazione e competitività del sistema.
Punto di partenza ineliminabile, ai fini della pianificazione delle soluzioni, dovrebbe essere, a nostro avviso, l’analisi strutturale dei problemi, la mappatura dei servizi esistenti sui territori, i risultati delle indagini nazionali e internazionali, con l’obiettivo di promuovere la conoscenza e l’utilizzo dei dati, orientare le politiche nell’ambito di tematiche quali l’economia, l’istruzione, l’occupazione e le politiche attive del lavoro.
Siamo ancora molto lontani dal superamento di interventi che evidenzino il passaggio da una logica emergenziale ed assistenziale ad un approccio di integrazione dei sistemi, ad un clima di intensa collaborazione inter-istituzionale sulla generalità dei temi che coinvolgano le giovani generazioni e promuovano l’idea che ogni istituzione del territorio concorre a creare un ecosistema educativo.
A nostro parere, riteniamo sia impossibile mitigare le asimmetrie formative presenti nel nostro paese finché persiste la mancanza di coordinamento e di integrazione tra le diverse risorse dei territori che dimostrano di muoversi, quasi sempre, al di fuori di un disegno razionale e strategico finalizzato al superamento delle emergenze e fondato sul presupposto della progettualità- La scuola è un bene di tutta la comunità, alla quale spetta il compito di fornire ai giovani chiavi di lettura della realtà e strategie di insegnamento che promuovano lo spirito di ricerca e la capacità di continuare ad apprendere per tutta la vita. Dobbiamo tenere presente, però, che l’educazione permanente, come ecosistema educativo, esige il cambiamento dei ritmi. La società attuale è la società della comunicazione, di una comunicazione sempre più veloce che impone all’educazione tutta, nelle sue varie forme scolastiche, extrascolastiche e indirette, di non rimanere circoscritta ai suoi ruoli settoriali e tradizionali privilegiati, ma di aprirsi alle trasformazioni, ai conflitti, ai problemi della società, della vita, del destino dei popoli. E’ necessario un nuovo progetto del sapere, che abbia come obiettivo principale l’arricchimento culturale necessario per operare una continua revisione dei valori e definire uno stile di vita che consenta ad ogni persona di capire se stessa, il proprio tempo, di adattarsi alla realtà circostante. La concezione dello sviluppo, che prevale un po’ dovunque, tende a privilegiare gli imperativi della crescita materiale e ad impoverire la dimensione non economica della vita, a ignorare le aspirazioni spirituali, morali e estetiche di ognuno accentuando nello stesso tempo la diseguaglianza della possibilità di realizzarsi pienamente.
Viviamo in un’epoca di disimpegno e crisi del “sapere”, di ricerca “bulimica” di felicità, di benessere, ricerca che spinge l’uomo occidentale, sempre più frequentemente, a delegare ad altri la risoluzione dei propri problemi, ad un life coach, ad un counselor, ad un “allenatore” esperto di biofeedback, per ottenere risultati pratici o per massimizzare la felicità e il benessere della persona. Assistiamo al proliferare di una quantità spropositata di proposte, ad una sorta di “spiritualità industriale” basata sulla superficialità, sull’accumulo di “capitale spirituale”, espressione di una concezione della vita intesa come “accumulo” e sbriciolamento delle cognizioni e delle informazioni piuttosto che come strumento di conoscenza, di cambiamento, di interpretazione della realtà. Alla “cultura dell’ interiorità si è sostituita la cultura dell’intrattenimento, del divertimento, del denaro, del successo. La “cultura della interiorità” è costantemente mortificata dall’arroganza della ignoranza e dalla superficialità che tutto “assolve” tutto “perdona” con l’evidente conseguenza di un graduale innalzamento della soglia di tolleranza nei confronti di ogni forma di aggressività e di violenza, l’incapacità di attivare processi di progressivo riconoscimento, da parte dei giovani, dei vissuti emotivi e l’adozione di comportamenti propri di una dimensione affettiva-relazionale che indicano un deficit nel processo di costruzione della propria identità adulta, che non è in grado di prevenire tutti quei comportamenti aggressivi che contrassegnano la geografia dei luoghi più frequentati dai giovani (scuole, discoteche, luoghi della movida etc.) attraverso l’assunzione di relazioni e comportamenti alternativi a quelli aggressivi.
E’ compito degli adulti educare i giovani al linguaggio delle emozioni e dei sentimenti e trovare cause e rimedi all’analfabetismo affettivo. Sappiamo, come sottolineato dalla cronaca degli ultimi tempi, che si è creata una frattura profonda nella comunicazione tra gli adulti e gli adolescenti, sintomo evidente del disagio esistenziale , psichico e morale di alcuni adolescenti di oggi.
Dobbiamo sempre considerare che l’alunno è portatore di una cultura che deve essere opportunamente valutata, con le sue peculiarità, le dimensioni affettive, cognitive, sociali che la determinano, di conseguenza, se non comprendiamo e accogliamo la cultura che lo caratterizza, che lo induce a pensare e a comportarsi come pensa e come agisce, se non lo vediamo come esito di diverse linee evolutive e di una molteplicità di esperienze a noi ignote, non riusciremo ad entrare in comunicazione con l’allievo Educare non significa semplicemente impartire un’istruzione, ma individuare il tipo di intelligenza dalla quale i singoli studenti prendono le mosse per accedere all’intelligenza logico-matematica che la scuola privilegia, significa seguire l’evoluzione psicologica degli studenti.
Particolare attenzione merita l’abituale esposizione dei giovani, e anche dei bambini, all’immagine tecnologica. I ragazzi hanno a disposizione nella rete un nuovo spazio sociale dove la società non è più gerarchizzata e nel quale non servono “buoni maestri”.
E’ compito degli educatori sottrarli al ruolo di utilizzatori inconsapevoli, adottando nella prassi didattica l’intreccio tra comunicazione digitale e contenuti educativi, una comparazione storico-critica tra i diversi strumenti della comunicazione.
Certo, in questo stato di cose, non mancano le responsabilità dei nostri sistemi di istruzione e formazione: nella formazione della professionalità di base degli insegnanti sono carenti o del tutto assenti competenze in materia di pedagogia e di psicologia dell’infanzia e dell’età evolutiva, adeguate competenze comunicative, empatia.
Andrea Schleicher, capo della Direzione Istruzione dell’Ocse, nel rapporto Pisa del 2017 ha diffuso l’analisi ” il benessere degli studenti”, una rilevazione che non riguarda i risultati scolastici dei ragazzi, ma la loro psicologia, la loro felicità. Ocse-Pisa dimostra che l’ansia da prestazione degli studenti non è collegabile alla frequenza degli esami e delle verifiche, al loro numero, ma quello che condiziona lo stato d’animo degli studenti è il percepirle come una minaccia.
I nostri ragazzi risultano tra I più ansiosi al mondo. I dati Ocse-Pisa dicono che una relazione negativa tra studenti e insegnanti sembra minare la sicurezza degli studenti. Non tutti i docenti hanno una preparazione adeguata per affrontare gli studenti difficili e per creare la giusta atmosfera nella classe. Vorrei aggiungere che sarebbe più che opportuno non tralasciare la necessità di un addestramento specifico per fronteggiare il bullismo che è forse la minaccia maggiore per l’equilibrio psicologico dei ragazzi.
Pure in presenza di classi sempre più multietniche, la scuola stenta ad aprirsi alle contaminazioni culturali, al rispecchiamento in altre realtà, perché antropologicamente disattenta ai linguaggi di altri modi di pensare, di altre culture.
Un ulteriore elemento di criticità è rappresentato dalla mancanza di continuità educativa e di una mappa pedagogica adeguata. Tutto questo fa sì che nel passaggio da un ciclo all’altro i docenti, pur nella loro specificità e autonomia, non sempre garantiscono coerenza negli approcci metodologici, nei ritmi. Manca, per altro, l’abitudine alla rilevazione e attenta tabulazione dei risultati delle varie fasi del processo di insegnamento/apprendimento, con la conseguente mancanza di dati oggettivi da utilizzare negli interventi correttivi che si dovessero rendere necessari.
l ragazzi più grandi non sono “attrezzati” culturalmente, emotivamente, sul piano metodologico ed operativo perché le discipline sono concepite (dagli insegnanti), in molti casi, e percepite (dagli allievi) come “depositi” di conoscenze piuttosto che essere utilizzate in modo dinamico e funzionale per la soluzione di problemi che la vita quotidiana pone a ciascuno di noi.
Vorrei sottolineare l’inadeguatezza, dal mio punto di vista, dei libri di testo in uso nella scuola primaria e nei primi anni della secondaria: sono un numero eccessivo, sovraccarichi di informazioni, che rendono difficile l’individuazione dei nodi concettuali necessari alla costruzione di mappe concettuali, il ritmo e l’intensità dei libri non rispettano il ritmo e le inclinazioni degli allievi né il buonsenso pedagogico e didattico degli insegnanti più attenti. I testi in adozione sono, con una certa frequenza, appesantiti dall’aggiunta, dal nostro punto di vista ingiustificata, di schede di vario genere, che vanno ad aumentare il carico di lavoro che i bambini devono svolgere a casa. Da qui l’accumulo di ritardi nella comprensione di testi scritti in un linguaggio, spesso tecnico-specifico, troppo difficile in relazione all’età dei bambini, al loro patrimonio di conoscenze, al lessico che usano nella quotidianità. Elemento non trascurabile è il gran peso dei libri che i bambini sono costretti a portare sulle spalle, sproporzionato rispetto al loro peso corporeo, con conseguenze prevedibili dal punto di vista sanitario: alcuni bambini incominciano a presentare paramorfismi, destinati ad acuirsi nel tempo, in assenza di provvedimenti tempestivi e adeguati.
Vorrei concludere ricordando a tutti che l’educazione dei giovani non è un problema solo della scuola perché la scuola è un bene comune di tutta la società, ogni istituzione del territorio deve concorrere, quindi, a creare un ecosistema educativo, è una questione di etica pubblica, una questione che riguarda il rapporto tra il cittadino e le diverse istituzioni e, quindi, la politica.
E’ compito di tutti affrontare l’intollerabile e colpevole debito maturato nei confronti dell’educazione dei giovani. Anche se il nichilismo passivo, la rassegnazione, rappresenta l’atteggiamento diffuso, è mia convinzione che la passività deve riconoscere la sua colpa morale per tutte le volte in cui ha mancato nel trascurare di fare tutto quello che si poteva, per opporsi, per attenuare l’ingiustizia, non indulgendo alla rassegnazione, nella sua impotenza. Riconoscersi responsabili è l’inizio di una rivoluzione interiore.
La mia proposta formativa è una breve sintesi delle esperienze, studi, ricerche, riflessioni che hanno accompagnato la mia lunga carriera di Insegnante e i Dirigente Scolastico; vorrei dedicarla, soprattutto, a quanti, giovani insegnanti, si apprestano ad entrare per la prima volta in una classe, esortandoli a non dimenticare mai, nell’esercizio della loro professione, di “fare scuola” con amore pedagogico e ascolto empatico perché le intelligenze delle quali, a diversi livelli, è portatore ognuno di noi, emergono solo quando c’è un’azione educativa che privilegia l’itinerario del dialogo, della reciprocità e dell’integrazione comunicativa. Sappiamo che uno stretto rapporto lega affettività, motivazione e apprendimento.
Rispettando l’indissolubilità degli stati affettivi e degli stati cognitivi, in un futuro più o meno prossimo, potremo forse aspirare a una scuola in cui si possa apprendere senza annoiarsi, stimolati a porre problemi e a discuterli, una scuola nella quale non si debbano sentire risposte non sollecitate e domande non poste. Vorrei concludere sottolineando il significato di insegnante: insegnante, uno che segna dentro. Insegnare seriamente significa toccare quello che di più vitale vi è in un essere umano. Sarebbe molto triste passare la vita dietro una cattedra e non lasciare nessun segno in nessuno.
Delegata Regionale UNLA (Unione Nazionale Lotta Analfabetismo) del Lazio e dirigente Centro di Cultura per l’Educazione Permanente (C.C.E.P. – “R. Carnevale” – Roma Via Antonio Serra, 95 – 00191) Prof.ssa Alba PUGLIESE, Centri di Cultura per l’Educazione Permanente (CCEP)
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Centri di Cultura per l’Educazione Permanente (CCEP)
La settima Commissione del Senato ha definito l’UNLA “Ente di grande rilevanza socio-culturale”, sottolineandone il ruolo fondamentale nella politica culturale del Paese.
L’UNLA opera nel territorio nazionale attraverso 59 Centri di Cultura per l’Educazione Permanente (C.C.E.P.) e 10 Delegazioni Regionali.
I C.C.E.P. sono stati considerati dall’UNESCO “i primi a mostrare i legami tra alfabetizzazione ed educazione permanente ” e a “costituire un modello di istituzione polivalente per l’educazione degli adulti”. Infatti, sia l’ONU che l’UNESCO, hanno inviato borsisti presso l’Unione per stages pratici di aggiornamento.
I C.C.E.P. sono un modello esemplare di “radicamento” nel territorio dell’istituzione e per la loro presenza nelle zone più marginali del Paese costituiscono un tentativo di riequilibrio dell’offerta culturale e di elaborazione di interventi innovativi nell’Educazione degli Adulti (E.D.A.).
I C.C.E.P., organismi polivalenti a carattere permanente, sono dotati per lo più di una buona biblioteca e che, oltre ad organizzare corsi di aggiornamento culturale, svolgono una complessa attività comprendente dibattiti sui problemi locali, regionali, nazionali ed internazionali, interventi nel settore del teatro, di cineforum, corsi di formazione professionale e di aggiornamento degli insegnanti.
Negli ultimi anni, i C.C.E.P. hanno rivolto le loro attività anche alla difesa e alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali con la promozione di iniziative a più largo spettro: diffusione mirata delle biblioteche, corsi professionali, iniziative socio-economiche (cooperative, consorzi agrari, interventi di assistenza tecnica) progetti e seminari per la riconversione agricola e l’utilizzazione delle terre incolte e la valorizzazione della cultura locale attraverso interventi e iniziative nelle scuole di ogni ordine e grado.
Nella società del terziario avanzato si tratta oggi di rispondere alle esigenze più complete di una educazione degli adulti da inserire nel quadro dell’educazione permanente, modernamente intesa, rivolta cioè ad adulti “alfabetizzati” ma spesso esposti alla dura realtà dei nuovi analfabetismi, specie tecnologici e socio economici.
I C.C.E.P. lavorano in stretto contatto con le autorità comunali, provinciali e regionali, con altri organismi culturali e con tutte le forze emergenti del territorio, con i consigli di quartiere e promuovono iniziative diverse, volte a sensibilizzare democraticamente le varie categorie della popolazione e a coinvolgerle nella elaborazione delle problematiche sociali.