
(AGENPARL) – gio 14 dicembre 2023 RAPPORTO
INAPP 2023
LAVORO, FORMAZIONE, WELFARE.
UN PERCORSO DI CRESCITA ACCIDENTATO
Relazione del Presidente Sebastiano Fadda
Roma – Palazzo Montecitorio, Sala della Regina
14 dicembre 2023
L’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP) è un ente pubblico di ricerca
che si occupa di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro, delle politiche
dell’istruzione e della formazione, delle politiche sociali e, in generale, di tutte le politiche
economiche che hanno effetti sul mercato del lavoro. Nato il 1° dicembre 2016 a seguito della
trasformazione dell’Isfol e vigilato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, l’Ente ha
un ruolo strategico – stabilito dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 – nel nuovo
sistema di governance delle politiche sociali e del lavoro del Paese.
L’Inapp fa parte del Sistema statistico nazionale (SISTAN) e collabora con le istituzioni europee.
È Organismo Intermedio del Programma nazionale Giovani, donne e lavoro 2021-2027 del
FSE+, delegato dall’Autorità di Gestione all’attuazione di specifiche azioni, ed è Agenzia
nazionale del programma comunitario Erasmus+ per l’ambito istruzione e formazione
professionale. È l’ente nazionale all’interno del consorzio europeo ERIC-ESS che conduce
l’indagine European Social Survey. L’attività dell’Inapp si rivolge a una vasta comunità di
stakeholder: ricercatori, accademici, mondo della pratica e policymaker, organizzazioni della
società civile, giornalisti, utilizzatori di dati, cittadinanza in generale.
INAPP Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche
Corso d’Italia 33, 00198 Roma
Presidente
Sebastiano Fadda
Direttore generale
Santo Darko Grillo
INAPP
RAPPORTO 2023
Relazione del Presidente Sebastiano Fadda
Roma – Palazzo Montecitorio, Sala della Regina
14 dicembre 2023
Alcuni diritti riservati [2023] [INAPP].
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Testo chiuso a dicembre 2023
Stampato nel mese di dicembre 2023
da FR.AM. PRINT srl
Indice
Il mercato del lavoro: evoluzione e criticità 8
Le politiche del lavoro di fronte alle trasformazioni del mercato 14
La formazione professionale 19
Un welfare inclusivo per le persone disabili e non autosufficienti 20
Appendice 23
Relazione del Presidente
Lo scenario evolutivo del mondo del lavoro che l’attività di ricerca dell’Istituto
nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche consente di offrire alla riflessione degli operatori, degli studiosi e dei decisori politici presenta quest’anno
un moderato percorso di crescita lungo il quale si incontrano tuttavia talune
criticità che non possono essere trascurate, per evitare una degenerazione
del tessuto produttivo e della coesione sociale del Paese.
Il mercato del lavoro è sottoposto a profonde trasformazioni, che derivano
da un lato dall’accelerazione del progresso tecnico, che si ripercuote in larga
misura sulla riduzione dei coefficienti tecnici di lavoro e sulla diffusione di
nuovi modelli di organizzazione del lavoro e di nuove modalità di prestazioni
lavorative; e d’altro lato dall’evoluzione della domanda finale di beni e servizi,
dovuta sia al cambiamento dei gusti dei consumatori, sia alla modifica della
dislocazione internazionale della produzione e delle catene di valore.
Per governare questi processi di radicale cambiamento strutturale, riveste
particolare importanza, oltre che, naturalmente, l’appropriatezza delle misure
di politica economica, la tempestività degli interventi. Se si prende in considerazione un fenomeno soltanto dopo che questo si è manifestato, anziché
quando iniziano ad operare i fattori che portano al verificarsi di esso, l’efficacia
delle misure adottate per fronteggiarlo subisce per ciò stesso una significativa
riduzione. È necessario quindi evitare un eccessivo allungamento dei tempi
impiegati per analizzare e comprendere i termini del problema e per definire
gli obiettivi e le variabili su cui intervenire con le misure più appropriate. Questa fase può rivelarsi molto lunga e controversa, perché in essa confluiscono
valutazioni di carattere tecnico insieme a valutazioni di carattere politico che
possono ritardare le decisioni circa le misure da adottare. Conclusa questa
fase, viene poi la fase dell’attuazione degli interventi (in inglese chiamata
implementation) la quale, essendo affidata alla Pubblica amministrazione,
può essere soggetta ai ben noti rallentamenti e ritardi, oltre che a lacune
nella gestione. La somma dei tempi impiegati per completare tutte queste
fasi può provocare un ritardo tale da indebolire significativamente l’efficacia
delle misure di politica economica rispetto alle variabili-obiettivo.
Rapporto Inapp 2023
L’Inapp, essendo un ente pubblico di ricerca e non un decisore politico, non
può far molto rispetto alle fasi decisionali e attuative delle politiche pubbliche,
ma può fare molto nelle fasi che precedono le decisioni politiche offrendo ai
decision makers e agli operatori una segnalazione tempestiva delle criticità
e dei segnali premonitori dei fenomeni da affrontare, nonché un quadro
conoscitivo degli scenari in evoluzione e una valutazione di carattere tecnico
sulle variabili-obiettivo degli interventi. Può inoltre offrire un contributo in
termini di valutazione dell’efficacia e dell’efficienza delle misure adottate.
Il mercato del lavoro: evoluzione e criticità
È in quest’ottica che è stato concepito il Rapporto che qui viene presentato.
Mettendo a fuoco gli scenari evolutivi del mercato del lavoro non si può
non rilevare come essi si inquadrino in un contesto macroeconomico che,
superata la fase pandemica e la forte ripresa iniziale, appare ora dominato
da grande incertezza, a causa della combinazione di crisi energetiche, turbolenze geopolitiche, vicende belliche e intensi processi inflazionistici. Nonostante la riduzione dei tassi di crescita del PIL, l’andamento dell’occupazione
in termini aggregati ha registrato risultati ampiamente positivi. Il saldo
positivo di 550 mila occupati dell’ultima rilevazione Istat rispetto al gennaio
2020 e il valore assoluto di 23,694 milioni di occupati totali rappresentano
livelli altamente apprezzabili, anche se qualche perplessità in proposito è
legittima a causa della particolare definizione statistica della condizione di
‘occupato’. All’interno di questo quadro positivo, si rilevano tuttavia alcune
criticità ancora non risolte che costituiscono sfide da affrontare.
Una prima criticità è costituita dalla questione salariale. La distribuzione
funzionale del reddito, il cui andamento storico in Italia mostra una caduta
crescente della quota dei salari sul PIL e una crescente quota dei profitti, si è
ormai stabilizzata su valori (rispettivamente del 40% e del 60%) che configurano un modello di crescita profit led. Nella letteratura economica vengono
avanzati forti dubbi sulla tenuta di tale modello nel lungo periodo, mentre
si attribuisce maggior solidità al modello wage led per via della crescita della domanda aggregata che nel citato modello è in grado di alimentare un
sentiero di crescita sostenuta. Accanto a questa osservazione di carattere
macroeconomico va posto in rilievo l’andamento dei salari reali nel nostro
Paese, che, confrontato con quello degli altri Paesi europei (figura 1.5), si
rivela nei tempi recenti addirittura in diminuzione rispetto al 2020, a fronte
di incrementi sostanziali negli altri Paesi (vedi anche figura 1.8).
Non si può non menzionare a questo proposito il peso del recente processo
inflazionistico. Tale processo non trae alimento dalla classica spirale salari-
Relazione del Presidente
prezzi-salari e neanche da un’eccessiva pressione della domanda, ma da
una spregiudicata politica dei prezzi praticata da imprese che, operanti in
un mercato di concorrenza imperfetta, o addirittura oligopolistica se non
monopolistica, lungi dall’essere price takers esercitano il loro potere di price
makers fissando crescenti margini di guadagno a vantaggio dei loro profitti.
I pur lodevoli interventi del Governo a sostegno dei soggetti più emarginati
dovrebbero essere sostituiti, o per lo meno accompagnati, da interventi diretti
ai fattori causali del processo inflazionistico o alla istituzione di meccanismi
capaci di garantire le retribuzioni reali dei lavoratori (e anche dei pensionati) privi di ‘potere di mercato’, superando i limiti dell’adeguamento basato
sull’Indice dei prezzi al consumo armonizzato (IPCA). Peraltro, combattere
questo tipo di inflazione con gli strumenti tradizionali di restrizione monetaria
può essere molto costoso in termini di impulsi recessivi.
Dal punto di vista microeconomico, questo problema si lega con quello del
costo del lavoro delle imprese. Bisogna partire dalla considerazione che
le funzioni di massimizzazione dell’utilità per i lavoratori e dei profitti per
le imprese sono esattamente l’una l’inverso dell’altra. L’utilità dei lavoratori
è funzione diretta della retribuzione e inversa dello sforzo lavorativo, mentre il profitto delle imprese è funzione inversa della retribuzione e funzione
diretta dello sforzo lavorativo. Il punto di equilibrio si gioca sul piano delle
convenzioni sociali (il salario come istituzione sociale, come ricorda Solow)
e della contrattazione collettiva.
La contrattazione collettiva, peraltro, è particolarmente sviluppata nel nostro Paese (figura 1.7). L’Italia si posiziona al primo posto in Europa, con il
98% di copertura, con prevalenza della contrattazione collettiva settoriale di
primo livello. La Direttiva europea pubblicata il 25 ottobre del 2022 è particolarmente severa nel raccomandare un rafforzamento della contrattazione
collettiva salariale volta a garantire un salario minimo per tutti i lavoratori e
stabilisce un percorso di impegni vincolante per i Paesi nei quali la copertura salariale sia inferiore all’80% dei lavoratori cui dovrebbe applicarsi. Nella
stessa Direttiva si stigmatizza, tuttavia, che “negli ultimi decenni le strutture
tradizionali della contrattazione collettiva si sono indebolite”. Siano deboli o
siano forti, resta il fatto che in Italia esse non sono state capaci di garantire
tra il 1991 e il 2022 quella crescita dei salari reali che nella media dei Paesi
dell’OECD ha raggiunto il 32,5%, mentre in Italia si è fermata all’1% (figura
1.8). L’estesa copertura della contrattazione collettiva nel nostro Paese non
impedisce, peraltro, l’esistenza di frange di lavoratori il cui salario orario sta
ben al di sotto dei minimi salariali e non esistono al momento strumenti che
garantiscano l‘impossibilità di scendere al di sotto di una soglia minima.
La scelta dei decisori politici è stata quella di risolvere il problema puntando
Rapporto Inapp 2023
al rafforzamento della contrattazione collettiva, anche se non esistono ragioni
né sul piano analitico né sul piano dell’evidenza empirica per escludere strumenti di altro tipo basati sull’imposizione di una soglia minima invalicabile.
Il basso livello dei salari riposa su una spirale perversa: bassa produttivitàbassi salari-bassa produttività. Il tentativo di legare l’aumento dei salari alla
crescita della produttività in sede di contrattazione di secondo livello non ha
avuto successo a causa della bassa diffusione di quest’ultima (figura 1.13), ma
anche a causa dell’ambiguità del legame incorporato nel meccanismo ideato.
Infatti, essendo il legame tra dinamica salariale e dinamica della produttività
riferito all’incremento di produttività realizzato, la possibilità di mantenere
basso il costo del lavoro per unità di prodotto per questa via anche se la
produttività non cresce non può certo considerarsi di per sé un incentivo perché le imprese investano in innovazione per aumentare la produttività; una
proposta alternativa, avanzata nella letteratura economica, di un più efficace
aggancio della dinamica salariale a una sorta di tasso programmato di crescita
della produttività non è stata mai presa in considerazione dalle Parti sociali.
E tuttavia, pur essendo basso in Italia il tasso di crescita della produttività
del lavoro (figura 1.9), il tasso di crescita dei salari riesce ad essere, a partire
dal 1992, costantemente ancora più basso (figura 1.6). Anche la diffusione
del cosiddetto ‘premio di risultato’ (che non costituisce un tasso di crescita
del salario reale) è molto limitata, riguardando soltanto il 9% dei lavoratori
dipendenti. Tutto ciò rappresenta un’ulteriore conferma della deriva verso
un modello di crescita profit led che, per le ragioni sopra accennate, sarebbe
bene sostituire con un modello wage led.
Sul fronte dell’utilizzo della forza lavoro, in Italia sta emergendo un altro
fenomeno che deve preoccupare i responsabili della politica economica: si
tratta del cosiddetto ‘labour shortage’, ossia della carenza di lavoratori. Esso
si manifesta con la difficoltà dei datori di lavoro a coprire i posti vacanti, in
altre parole, a colmare l’eccedenza della domanda sull’offerta di lavoro. Va
notato che, in questo caso, il ruolo dell’eliminazione delle eccedenze, che
in un mercato concorrenziale viene attribuito alla flessibilità dei prezzi, non
si materializza; non si vede infatti una crescita del livello salariale in funzione del raggiungimento dell’equilibrio tra domanda e offerta di lavoro. Ciò
suggerisce che il mercato del lavoro sia comunque un ‘mercato sui generis’,
non assimilabile nel suo funzionamento agli altri mercati di cui si compone
il sistema economico.
Questa difficoltà a coprire i posti vacanti può assumere diverse forme: difficoltà dovute a disallineamento tra le competenze richieste e le competenze
possedute dai potenziali lavoratori; difficoltà dovute ad assenza di candidati,
Relazione del Presidente
ossia al rifiuto delle proposte di lavoro; difficoltà a trattenere i lavoratori nei
posti di lavoro.
Il primo tipo di difficoltà rinvia al problema dei percorsi formativi e dei loro
contenuti.
Il secondo tipo di difficoltà è quantitativamente assai rilevante (figura 1.37)
e, sebbene sia in qualche misura correlato anche al declino demografico,
ha a che fare con la crescente indisponibilità degli individui a svolgere certi
tipi di attività lavorativa. Generalmente, si tratta di attività legate ai mestieri
tradizionali o ai settori dei servizi turistici e della ristorazione, oppure a posizioni lavorative non necessariamente appartenenti a quei settori, ma che
presentano qualche aspetto particolarmente sgradito.
Anche il lavoro delle professioni autonome, pur non manifestandosi attraverso difficoltà di assunzione, presenta sintomi di contrazione. Per il rifiuto di
svolgere attività legate ai mestieri tradizionali e financo artigianali si possono
trovare spiegazioni in atteggiamenti culturali che considerano tali attività
poco prestigiose, in certi casi molto faticose e quindi poco attrattive; tali
atteggiamenti negativi si estendono anche alle scelte dei relativi percorsi formativi di istruzione e formazione professionale, considerati inferiori rispetto
ai percorsi di istruzione scolastica che portano al diploma di scuola secondaria superiore e poi alla laurea. Il rifiuto legato alla presenza di aspetti poco
graditi di alcuni posti di lavoro può essere spiegato osservando le ragioni di
insoddisfazione dei lavoratori. Che i lavoratori italiani siano tra i più insoddisfatti del proprio lavoro in Europa risulta dalle indagini svolte periodicamente
dall’Inapp per la European Social Survey, ma è dai dati rilevati dalla V Indagine
Inapp sulla qualità del lavoro che si scopre che la quota di occupati molto
soddisfatti del proprio lavoro non raggiunge il 50% per svariati aspetti (figura
1.24). In particolare, i soddisfatti per le retribuzioni sono soltanto il 41%, per
le prospettive di carriera il 42%, per i carichi di lavoro il 44% e per gli orari di
lavoro il 44,5%. Inoltre, la quota di occupati che dichiara la corrispondenza
tra l’attuale lavoro e quello che avrebbe voluto svolgere raggiunge solo il
51% nella fascia d’età 18-34 anni per gli uomini e il 56% per le donne. Dai
risultati dell’indagine si ricava anche che i contesti in cui sono stati introdotti
miglioramenti nell’organizzazione del lavoro e nei processi produttivi sono
pure quelli che presentano i migliori risultati in termini di motivazione dei
lavoratori, produttività e fatturato.
Appare evidente che la flessibilità oraria, il carico di lavoro, le prospettive di
carriera, la natura delle mansioni, il clima sociale, la stabilità, l’autonomia,
oltre che il livello salariale, in altre parole la qualità del lavoro nel suo insieme entra tra gli argomenti della funzione di offerta di lavoro. Questo
dovrebbe far riflettere i datori di lavoro e i manager sui miglioramenti da
Rapporto Inapp 2023
apportare nell’organizzazione del lavoro per intercettare l’offerta che si configura con tali requisiti. Anche i modelli di job search avrebbero bisogno di
un aggiornamento sulla base di questi dati.
La terza difficoltà, quella di trattenere la forza lavoro nella propria azienda,
si lega al fenomeno delle dimissioni volontarie. Forse non si tratta esattamente di great resignation, ma in termini di valori assoluti si tratta di 560 mila
lavoratori in Italia nel 2021. Il quit rate è oggi pari al 3% e storicamente non è
andato mai oltre il 2,5%. Tuttavia, poiché una quota pari al 60% dei lavoratori
si ritrova in altra occupazione già dopo il primo mese, sembra potersi dedurre
che il fenomeno rappresenti un processo di riallocazione dovuto alla ricerca
da parte dei lavoratori di migliori condizioni di lavoro. Dall’Indagine InappPLUS del 2022 si ricava che una quota pari all’1,1% dei lavoratori ha pensato
di dimettersi anche a prezzo di una diminuzione del proprio tenore di vita,
e il 13,5% solo se trovasse altre forme di reddito. Percentuali più elevate si
trovano nelle ‘professioni non qualificate’ e nelle ‘professioni qualificate nelle
attività commerciali e nei servizi’ nonché tra i ‘conduttori di impianti, operatori
di macchinari fissi e mobili e conducenti di veicoli’. Con riferimento ai settori,
le percentuali salgono nelle attività dei servizi di alloggio e ristorazione, commercio all’ingrosso e al dettaglio e riparazione di autoveicoli e motocicli. La
coincidenza con molti profili per i quali i datori di lavoro lamentano difficoltà
di reclutamento è significativa.
Per fortuna le nuove tecnologie aprono due prospettive molto favorevoli al
miglioramento della produttività e contemporaneamente al miglioramento
della qualità del lavoro, soprattutto sotto il profilo dei contenuti delle prestazioni lavorative e dell’equilibrio tra vita privata e vita di lavoro. Si tratta
del cosiddetto smart working e della riduzione degli orari di lavoro. Il
nostro Istituto è impegnato su tali temi con diverse linee di ricerca dedicate
a dipanare la complessità di queste prospettive e a formulare suggerimenti
per la loro diffusione. Ciò che al momento si può dire è che l’Italia si trova relativamente indietro su entrambi questi fronti rispetto agli altri Paesi europei
più sviluppati. E che l’avanzamento è legato alla maturazione di adeguate
competenze manageriali capaci di pianificare nuovi e più efficienti modelli di
organizzazione del lavoro resi possibili dall’adozione delle nuove tecnologie
digitali che consentono una parallela ristrutturazione dei processi produttivi.
Per quanto riguarda la diffusione dello smart working, non giova certo l’attuale confusione concettuale tra smart working, telelavoro e semplice lavoro
a distanza. Una corretta interpretazione dello smart working e della smart
organization consentirebbe di mettere in evidenza i relativi vantaggi non solo
in termini di miglioramento della qualità del lavoro e della produttività delle
imprese, ma anche in termini di benefici sociali e ambientali, fino ai possibili
Relazione del Presidente
benefici per la rivitalizzazione delle aree interne e per la crescita dei tassi di
attività femminile.
Per quanto riguarda la diminuzione dell’orario di lavoro, è necessario approfondire, non soltanto sul piano dell’analisi economica ma anche sul piano sperimentale, l’ipotesi che non solo la riduzione sia possibile come conseguenza
dell’avvenuto aumento della produttività oraria (e questo configurerebbe
una semplice redistribuzione dei dividendi dell’incremento di produttività),
ma che sia addirittura la stessa riduzione dell’orario di lavoro a provocare un aumento della produttività oraria tale da mantenere inalterata la
produttività per addetto e quindi gli stessi livelli retributivi. Ormai diverse
imprese, sia nel settore terziario che nel manifatturiero, si sono impegnate
in questa direzione.
Oltre alle due prospettive dello smart working e della riduzione dell’orario di
lavoro, un’altra prospettiva si apre verso nuove forme di attività lavorativa,
che a loro volta pongono nuove sfide da affrontare e nuovi problemi da
risolvere nel campo dell’organizzazione e in quello della tutela dei diritti dei
lavoratori. Si tratta della nuova e crescente area del lavoro svolto attraverso
le piattaforme digitali. Sia nella forma web based che in quella location based
il fenomeno è in espansione e lo sarà ancor più in futuro (si pensi, ad esempio
alle nuove figure dei cosiddetti influencer) e non può essere ignorato, data
la grande rilevanza che va assumendo nel contesto economico e sociale. Il
nostro Istituto ha esplorato nel 2022 attraverso l’Indagine Digital Platform
Survey i problemi relativi ai settori della ristorazione, del turismo e dei trasporti, ma sicuramente estenderà prossimamente l’indagine anche ad altri
settori, per offrire ai decisori politici un’ampia base conoscitiva a supporto
delle misure da intraprendere in questo campo.
In relazione a tutte le tendenze evolutive di cui si è finora parlato emerge la
necessità di disporre di un quadro previsionale almeno di medio termine. I
tempi di acquisizione delle competenze e i tempi di incubazione delle politiche pubbliche di cui si è parlato in apertura, raffrontati con i tempi accelerati
delle trasformazioni strutturali, esigono che le decisioni siano prese sulla base
delle previsioni. Nel presente Rapporto vengono sinteticamente rappresentati alcuni scenari evolutivi ricavati dal modello Inapp-Prometeia (tabella
1.13), ma va ribadita in questa sede la necessità di migliorare l’attendibilità
e l’impatto di tali informazioni, raffinando gli strumenti e le metodologie
previsionali (combinando e integrando le varie metodologie attualmente
utilizzate da diverse istituzioni: estrapolazioni, interviste ai datori di lavoro,
interviste ai giovani in uscita dai cicli formativi, focus group, tecniche econometriche ecc.) e rafforzando l’accessibilità e la fruibilità di tali informazioni
Rapporto Inapp 2023
da parte di tutti i potenziali utilizzatori (servizi di orientamento, strutture
formative, famiglie, operatori e decisori politici).
Le politiche del lavoro di fronte alle trasformazioni del mercato
Partendo dalla classificazione delle politiche del lavoro adottata da Eurostat,
si rilevano due caratteristiche principali che ne definiscono la spesa in Italia
rispetto agli altri Paesi europei. La prima è data dal sostanziale allineamento
della spesa totale per le politiche del lavoro (2,8% del PIL) con la media europea, pur più bassa rispetto alla media dell’Eurozona (3% del PIL) e significativamente più bassa rispetto a Spagna e Francia (figura 2.1). La seconda
caratteristica è data dalla quota irrisoria destinata alla voce ‘servizi per
il lavoro’ (0,02% contro una media europea dello 0,2% e una spesa della
Germania che raggiunge lo 0,33% del PIL) (figura 2.3).
Questa configurazione riflette una caratteristica permanente e generalizzata
della spesa sociale in Italia: quella dello squilibrio tra erogazione monetaria
ed erogazione di servizi. Anche il sistema di welfare è dominato da questo
squilibrio che privilegia l’erogazione di sussidi rispetto alla fornitura di servizi.
Forse la ridotta capacità di organizzare un sistema di servizi pubblici efficiente
e la più facile (e forse anche più suscettibile di torsioni clientelari) erogazione
di sussidi finanziari spiegano questa distorsione che si estende a tutte le articolazioni dello Stato sociale. Quando giustamente si stigmatizza l’eccessiva
quota di spesa pubblica destinata a sussidi di tipo assistenzialistico nel nostro
Paese, bisogna tenere presente che per ridurla sarebbe forse utile spendere di
più in misure e servizi finalizzati a diminuirne il bisogno. Il caso della Germania
è esemplare a questo proposito: come evidenziato dai grafici su menzionati,
è il Paese che spende di più in servizi per il lavoro e conseguentemente
quello che spende meno in politiche del lavoro nel totale, a causa della
bassa spesa per sostegni e sussidi. Un’evoluzione in questa direzione è auspicabile anche nel nostro Paese; è quasi lapalissiano considerare che spendere
per favorire la crescita dell’occupazione, sia in ambito microeconomico sia
in ambito macro, riduca la spesa necessaria per sussidi di disoccupazione e
nello stesso tempo accresca il livello di attività economica producendo così
maggior gettito fiscale per finanziare la spesa pubblica.
Tra i servizi per il lavoro, sono di fondamentale importanza per favorire un’allocazione efficiente (e anche una riallocazione efficiente nei processi di cambiamento strutturale dell’economia) della forza lavoro i servizi di orientamento al
lavoro. La funzione di tali servizi è quella di fornire un supporto permanente
lungo tutto l’arco della vita nella scelta dei percorsi formativi e lavorativi. Si
tratta di una funzione rispetto alla quale è del tutto inadeguata gran parte
Relazione del Presidente
dei servizi o delle giornate di orientamento che attualmente si svolgono
presso le scuole o presso le università nei momenti canonici deputati a scelte
alternative di iscrizione per la prosecuzione degli studi.
Da un’indagine svolta dall’Inapp nel 2022-2023 su un campione nazionale
di 3.642 giovani tra i 15 e i 29 anni emerge che ben il 57% di essi dichiara di
non avere alcuna idea sulle competenze da acquisire e sul futuro lavoro da svolgere. Tale percentuale sale al 70,5% tra i giovani fino a 17 anni,
ma permane al 51% tra i giovani fino a 25 anni e non scende sotto il 41%
oltre i 25 (figura 2.11). Questo è un grave problema, non solo in relazione
all’allocazione efficiente della forza lavoro, ma anche in relazione allo stato
di disorientamento dei giovani circa le loro stesse aspettative e circa il loro
ruolo nel mondo del lavoro e nella società.
Nonostante questo disorientamento, essi rimangono in larga misura privi
di aiuto da parte dei servizi: il 38% non ha usufruito di nessun servizio di
orientamento negli ultimi tre anni e il 21% soltanto di un servizio. Il fatto che
la maggior parte di chi ne ha usufruito si sia rivolto ai servizi delle strutture
pubbliche (scuole, università, centri per l’impiego, centri di formazione professionale, servizi comunali) carica di responsabilità l’intero sistema pubblico
dei servizi di orientamento. Un dato che potrebbe apparire positivo è costituito dalla diffusa soddisfazione da parte di chi ne ha usufruito (circa il 66%
del campione si dichiara soddisfatto), ma in realtà non lo è poi tanto, visto
che la richiesta che è stata soddisfatta riguardava soltanto l’acquisizione di
informazioni su tirocini e stage e il supporto nell’individuazione di proposte di lavoro. Il PNRR destina ingenti risorse al potenziamento dei servizi di
orientamento, ma un grande sforzo deve essere fatto perché essi diventino
un sistema di accompagnamento lungo tutto il percorso formativo e
lavorativo; un accompagnamento dedicato a far convergere consapevolezza
e valorizzazione delle proprie ambizioni e dei propri talenti con l’evoluzione
dei fabbisogni formativi e professionali nel tessuto produttivo e sociale. Il
coordinamento e l’integrazione di tutti i soggetti che nei territori sono chiamati a svolgere questa funzione e l’ancoraggio agli scenari previsionali dei
fabbisogni nei diversi livelli territoriali sono condizioni essenziali per creare
un sistema dell’orientamento soddisfacente rispetto ai bisogni individuali
e all’efficiente allocazione e riallocazione della forza lavoro in un sistema
economico e sociale che è, come si è visto, in continua, profonda e rapida
trasformazione.
Nulla di nuovo appare dall’ultima Indagine PLUS condotta dall’Inapp sul fronte dell’utilizzazione dei Centri per l’impiego per la ricerca dell’occupazione e
circa i canali utilizzati da chi ha trovato occupazione. Il ruolo dei Centri per l’impiego si rivela, fatte salve alcune eccellenze locali, del tutto marginale. Bisogna
Rapporto Inapp 2023
precisare che il ruolo svolto dai Centri nel favorire l’incontro con la domanda
di lavoro non può essere misurato dal numero delle assunzioni direttamente
intermediate dagli stessi: un ruolo altrettanto positivo potrebbe essere stato
giocato nel fornire assistenza e stimolare lo sviluppo di un comportamento
proattivo da parte delle persone in cerca di occupazione che poi abbiano
autonomamente avuto successo nella loro ricerca. Se il piano di rafforzamento
dei Centri per l’impiego si limita a realizzare un incremento numerico degli
addetti, è lecito dubitare della sua capacità di migliorare significativamente
i servizi. Questo obiettivo è raggiungibile soltanto attraverso una ridefinizione delle loro funzioni a 360 gradi e una conseguente ristrutturazione
organizzativa, identificando un ruolo di raccordo tra le politiche attive del
lavoro, le politiche di sviluppo e le politiche della formazione a livello territoriale, e promuovendo una rete operativa tra tutti gli operatori del settore.
A questo deve seguire un’attività di formazione del personale dei Centri per
l’impiego per sviluppare le capacità rispondenti alle funzioni da svolgere,
finora prevalentemente racchiuse nell’ambito di competenze burocratiche
e tecnico-giuridiche. Il nostro Istituto è disponibile a fornire tutto il supporto possibile per un’azione in questa direzione, soprattutto attraverso la sua
sede decentrata di Benevento. Il Mezzogiorno è infatti l’area che presenta le
maggiori criticità nel campo dell’attuazione delle politiche attive del lavoro,
come pure nel campo della dinamica occupazionale.
Una parte molto rilevante delle politiche del lavoro riposa su una qualche
forma di erogazione di incentivi alle imprese per l’assunzione di lavoratori,
incentivi generalmente costituiti da riduzione dei contributi previdenziali,
oppure da premi all’assunzione o sconti fiscali. Il primo problema di carattere
generale che si pone a questo proposito è se l’esistenza dell’incentivo sia o
no determinante nella decisione di assumere. Per risolvere il dubbio occorrerebbero delle analisi specifiche condotte con il metodo controfattuale,
ma dalla Rilevazione RIL condotta dall’Inapp nel 2022 si ricava che il 70%
delle imprese che hanno fruito di una o più forme di incentivo per nuove
assunzioni dichiara che avrebbe fatto le medesime scelte anche in assenza
dell’incentivo. Naturalmente, se l’incentivo è disponibile, la riduzione del
costo del lavoro che ne deriva induce le imprese a farne uso. Tenendo conto
anche della possibilità di risposte strategiche alla domanda formulata agli
imprenditori, si possono quindi nutrire forti dubbi sul punto che convogliare
risorse finanziarie nella spesa in incentivi sia il modo migliore per stimolare
l’aumento dell’occupazione. Del resto, la quota delle imprese che nel corso
del 2021 ha proceduto ad assunzioni è soltanto il 55% del totale (tabella
2.4) e, di queste, soltanto la metà ha fruito di incentivi. Tra le imprese che
hanno proceduto ad assunzioni, soltanto l’8% ritiene necessario l’incentivo,
Relazione del Presidente
mentre questa quota scende al 4,5% sul totale delle imprese. Come si può
vedere dalla tabella 2.4, gli incentivi più utilizzati sono, nell’ordine, quelli relativi all’apprendistato, quelli relativi alla decontribuzione Sud e quelli relativi
all’assunzione di giovani sotto i 36 anni.
Se dubbi possono esistere sul contributo degli incentivi alla crescita dell’occupazione, un effetto più incisivo si può ipotizzare sulle specifiche fasce di
destinatari delle assunzioni (per esempio, giovani, oppure donne, oppure
personale nel Mezzogiorno o altri segmenti di forza lavoro o specifiche categorie di imprese o specifici settori di attività), ma perché ciò accada sono
necessari stringenti criteri selettivi e, comunque, la relativa irrilevanza di cui
si è appena detto per le decisioni imprenditoriali attenua l’efficacia anche
degli incentivi fortemente selettivi. Gli incentivi non sembrano piegare
significativamente le tendenze del mercato, e, come ci si poteva attendere, lo strumento dell’apprendistato è maggiormente utilizzato nelle aree
del Nord Italia, mentre della decontribuzione Sud fruiscono principalmente
le grandi imprese.
Le politiche per l’invecchiamento attivo e le politiche per l’eliminazione delle
diseguaglianze di genere vedono impegnato l’Istituto sia sul piano analitico
sia su quello del monitoraggio anche attraverso convenzioni con istituzioni
governative per la redazione di rapporti periodici. Data la modifica della struttura per età della popolazione dovuta al calo del tasso di natalità, si rafforza
l’urgenza di politiche per mantenere attive, anche sul piano lavorativo, le
persone anziane, per evitare la perdita dell’autosufficienza, e per predisporre
adeguate strutture di assistenza in caso di non autosufficienza. La diminuzione dei tassi di natalità, se pure influenzata da cambiamenti nel sistema dei
valori, è sostanzialmente legata alla condizione femminile e a problemi
di reddito. La difficile conciliazione tra gestione della maternità e impegni
lavorativi da un lato e il costo della gestione della maternità, più quello dovuto
all’assenza di adeguati servizi per l’infanzia e alle spese di mantenimento dei
figli sono all’origine del più basso tasso di natalità. Il raggiungimento della
parità di genere nella gestione dei carichi familiari e nelle condizioni lavorative
e retributive, la flessibilità (se non anche la riduzione) degli orari di lavoro, la
diminuzione dei costi per la maternità e per il mantenimento dei figli sono
direzioni da percorrere per rendere possibile un aumento dei tassi di natalità. Ma la parità di genere è ben lungi dall’essere raggiunta sia nei percorsi
formativi che nei percorsi lavorativi, mentre misure di politica economica e
di politica del lavoro che si presentano come neutrali e non penalizzanti per
la componente femminile della forza lavoro contengono spesso, in realtà,
impliciti meccanismi di discriminazione di genere.
Rapporto Inapp 2023
La crisi pandemica ha messo in evidenza l’importanza di mantenere il reddito
dei lavoratori che subiscono una sospensione della prestazione lavorativa a
causa di difficoltà transitorie dell’impresa. Questo principio contiene in sé il
vantaggio di mantenere nell’impresa il capitale umano temporaneamente
non utilizzato e nello stesso tempo, in ambito macroeconomico, il vantaggio
di fungere da meccanismo automatico di stabilizzazione anticiclica. Come si
vede nella figura 2.18, il picco del ricorso al sostegno al reddito nelle diverse
forme è stato raggiunto durante la pandemia.
Nello stesso periodo è stato attivato in sede di Unione europea un fondo
speciale per il finanziamento del sostegno al reddito dei lavoratori colpiti da
riduzione del lavoro a causa dell’emergenza pandemica chiamato SURE. Tale
Fondo è stato costituito attraverso l’emissione di bond, anzi di eurobond, a
finalità sociale, garantendo così un risparmio per l’Italia rispetto a un ricorso
ai mercati finanziari con proprie emissioni stimato in 3,7 miliardi di euro. L’esperimento ha avuto un così alto successo da suggerire di rendere strutturale
questa misura, con simili modalità di finanziamento, anche affrontando la
questione dell’estensione della protezione sociale a settori non ancora coperti
(tra i quali il lavoro autonomo e il lavoro povero) e applicandolo a qualsiasi
situazione di crisi globale, non solo di natura sanitaria ma anche di natura
climatica o bellica o finanziaria o di mercato.
Il 2022 ha visto significative innovazioni introdotte dalla Legge di Bilancio
2022: l’allargamento della platea dei destinatari dei trattamenti di integrazione salariale; la riduzione, da 90 a 30 giornate, del requisito soggettivo di
anzianità minima di effettivo lavoro; l’introduzione di un unico massimale (in
luogo dei due per fasce retributive) al fine di rendere più generosa l’erogazione per i lavoratori con bassi livelli retributivi; la riduzione del contributo
addizionale dovuto dai datori di lavoro che non fruiscono di trattamenti di
integrazione salariale da almeno 24 mesi.
La prospettiva, richiamata nel Rapporto Inapp dello scorso anno, di considerare la possibilità di realizzare modelli di lotta alla disoccupazione basata
sul principio dello Stato come occupatore di ultima istanza non ha avuto
significativi sviluppi in Italia, se non l’espressione di una sensibilità su questo
tema da parte del Ministero del Lavoro che, nel suo ultimo atto di indirizzo
rivolto al nostro Istituto, ha esplicitamente formulato l’invito a inserire una
linea di ricerca in questo campo nel nostro piano di attività. In altri Paesi
si è piuttosto avanti, come descritto nel Rapporto, nella sperimentazione
di programmi di questo genere. La Francia, in particolare, ha in corso una
profonda sperimentazione di programmi di ‘territori a zero disoccupazione
di lunga durata’. L’Italia si presenta molto indietro su questa materia, nonostante i programmi di utilizzazione di disoccupati in attività di utilità collet-
Relazione del Presidente
tiva contengano potenzialità di maturazione verso questo modello. Si può
menzionare, con qualche similarità in questo campo, l’esperienza avviata a
Roma nei quartieri di Tor Bella Monaca e Corviale e denominata Territori a
disoccupazione zero (TDZ). Essa è articolata su tre assi: analisi e mappatura
dei bisogni emergenti; animazione partecipata per la costruzione di una
strategia occupazionale territoriale; formazione e percorsi di inserimento
lavorativo sui profili professionali mappati.
La formazione professionale
Per garantire l’occupabilità dei lavoratori e l’adeguamento delle competenze
in un contesto di rapida trasformazione, assume una crescente importanza il
ruolo della formazione. Le Regioni, che godono della competenza primaria
in materia, si vanno progressivamente attrezzando, anche in considerazione
dell’attuazione del Programma GOL, sul piano del miglioramento della governance del complesso sistema dell’istruzione e della formazione professionale
e, soprattutto, sul piano dell’individuazione, validazione e certificazione delle
competenze. Due campi in particolare sono aperti a innovazioni migliorative:
quello dell’accreditamento dei soggetti erogatori di formazione e quello della
certificazione degli apprendimenti informali attraverso le microcredenziali e
la confluenza in strumenti digitali come la blockchain e il digital badge. Indagini del nostro Istituto condotte attraverso focus group testimoniano l’impegno
crescente delle Regioni e di altri soggetti in questo campo. Giova ricordare a
questo proposito che l’acquisizione delle cosiddette competenze trasversali
(soft skills), e sovente anche delle competenze tecniche, non avviene esclusivamente attraverso processi formali di partecipazione ai corsi; esistono
varie modalità di apprendimento, soprattutto nel caso di competenze non
codificabili, che tuttavia devono trovare riconoscimento nell’ambito di un
completo strumento digitale descrittivo del profilo del lavoratore. La filiera
lunga della formazione professionale si va rafforzando con il potenziamento
degli ITS Academy, ora divenuti Fondazioni, la diffusione dei percorsi IFTS,
Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (purtroppo quasi del tutto assenti
nelle regioni del Mezzogiorno, come si vede nella tabella 3.1), e con lo sviluppo della modalità duale: questo crescente coinvolgimento del sistema
produttivo nei processi di formazione professionale promette di contribuire
all’allineamento tra domanda e offerta di competenze.
L’esigenza del conseguimento di tale allineamento si pone con urgenza anche
riguardo alle attività di formazione continua e interpella anche il programma
GOL e il Fondo nuove competenze, programmi che devono assolutamente
superare il rischio di ridursi a meri adempimenti formali. Anche il ruolo dei
Rapporto Inapp 2023
Fondi paritetici interprofessionali è esposto a questo rischio. Essi hanno
acquisito nell’anno 2022 l’adesione di circa 750 mila imprese, con una forza
lavoro pari a oltre 9 milioni 830 mila dipendenti. Per promuovere la formazione continua di questa rilevante platea di lavoratori, nel periodo 2018-2022
i Fondi hanno pubblicato 358 avvisi (circa 71 l’anno) con un impegno pari a
2.041 milioni di euro (figura 3.12).
Nonostante questo, l’Italia si colloca solo al 15° posto in Europa per la percentuale di imprese con 10 addetti e oltre che forniscono formazione ai propri dipendenti, con un valore del 68,9% in un range che va dal 17,5% della
Romania al 96,8% della Lettonia. Secondo l’Indagine INDACO-Imprese condotta dal nostro Istituto, tale percentuale riferita alle imprese con 6 addetti
e oltre raggiunge il valore del 60%, con un divario Nord-Sud stimato in circa
10 punti percentuali. Sarebbe auspicabile che il ruolo dei Fondi paritetici
interprofessionali si estendesse in direzione di una funzione di promozione,
compiendo analisi e fornendo suggerimenti alle imprese circa i contenuti
dell’aggiornamento delle competenze necessarie nei diversi territori, sulla
base delle traiettorie di sviluppo dei sistemi produttivi locali e dell’evoluzione
dei paradigmi tecnologici, perché non sempre gli imprenditori, specie nel
caso delle PMI, sono in grado di percepire con sufficiente anticipo l’evoluzione delle tecnologie e delle competenze necessarie per vincere le sfide dello
scenario competitivo dei mercati in trasformazione.
Non trascurabile appare, nell’Anno europeo delle competenze proclamato
dall’Unione europea e per il quale l’Inapp ha ricevuto l’incarico di coordinamento nazionale, il problema della formazione manageriale. Da essa
dipendono le strategie di sviluppo aziendale, la capacità di assorbimento
delle innovazioni tecnologiche, lo sviluppo della digitalizzazione, l’adozione
di nuovi modelli di business e di nuovi modelli di organizzazione del lavoro.
In altre parole, il pieno sfruttamento delle potenzialità offerte dalle nuove
tecnologie per migliorare la qualità del lavoro (smart working, flessibilità,
rimodulazioni degli orari di lavoro) e la produttività delle imprese riposa in
larga misura sullo sviluppo delle capacità manageriali.
Un welfare inclusivo per le persone disabili e non autosufficienti
L’evoluzione dello Stato sociale nel nostro Paese mostra due principali
aspetti che costituiscono orientamenti da correggere. Il primo consiste nel
perdurante squilibrio tra erogazioni monetarie e prestazione di servizi; il
secondo consiste nella lenta ma progressiva erosione, in termini di qualità e
di quantità, dei servizi di welfare universalistici, in particolare del Servizio sanitario e dei Servizi di cura sia per l’infanzia che per l’età avanzata. L’assistenza
Relazione del Presidente
ai disabili e agli anziani non autosufficienti, tradizionalmente svolta nel nostro
Paese in larga misura dalle famiglie di appartenenza e, all’interno di queste,
prevalentemente dalle donne, ha visto crescere negli ultimi tempi l’impegno
legislativo per migliorare le strutture pubbliche dedicate a questa funzione.
Gli scenari evolutivi prevedono una crescita del numero delle persone disabili
nei prossimi anni, principalmente come effetto dell’invecchiamento della
popolazione (figura 4.1).
Disabilità e non autosufficienza sono gli obiettivi verso cui ci si propone di
far convergere un sistema di azioni realizzato attraverso un coordinamento
sia verticale che orizzontale tra i diversi soggetti coinvolti.
La piena realizzazione dei Livelli essenziali di prestazioni sociali (LEPS) è affidata dalla Legge di Bilancio 2022 agli Ambiti territoriali sociali (la cui determinazione spetta alle Regioni), mentre il Piano nazionale per la non autosufficienza
2022-2024 tende a privilegiare i servizi diretti e indiretti alla persona rispetto
ai trasferimenti monetari. In più, nel Piano viene accolta una visione dell’assistenza basata principalmente sull’accompagnamento personalizzato
e multidimensionale, condiviso e co-costruito con la persona e la sua
famiglia, in luogo della vecchia visione delle prestazioni erogate in modo
standardizzato ad un’anonima platea di ‘clienti’. Questi orientamenti trovano
realizzazione nel Piano nazionale di ripresa e resilienza all’interno della Missione 5 e si specificano per gli anziani non autosufficienti nel rafforzamento
dei servizi sociali a favore della domiciliarità in luogo delle residenze per
anziani e in azioni volte a rafforzare le condizioni abitative e tecnologiche
per l’autonomia degli stessi. Per le persone disabili invece si prospetta, a
partire da un progetto individualizzato, l’adattamento degli spazi abitativi,
lo sviluppo della domotica, l’assistenza a distanza e l’individuazione di modalità di lavoro da remoto basate sullo sviluppo delle competenze digitali.
Lo sforzo di riorganizzazione della governance del sistema di welfare per le
persone disabili e non autosufficienti va oltre l’utilizzo degli strumenti messi
a disposizione dal PNRR e prevede la possibilità di interventi realizzati in
complementarietà con questi e finanziati su altri fondi purché coerenti con
le finalità e le procedure previste per il Piano nazionale. Infrastrutture sociali,
famiglie, comunità e Terzo settore possono partecipare a questi progetti ed
è auspicabile un loro impegno in tal senso.
Il nostro Istituto ha partecipato attivamente al processo di razionalizzazione
di questo segmento dello Stato sociale messo in atto dal Governo attraverso il
Ministero del Lavoro e parteciperà ancora soprattutto in termini di monitoraggio e aggiornamento. L’attenzione riservata a questo segmento può sembrare
eccessiva, ma la trasformazione della struttura demografica che è in corso nel
nostro Paese esige questa attenzione e la società nel suo insieme non può
Rapporto Inapp 2023
permettersi di escludere questa crescente componente dalla sua vita. Oltre
alle ragioni di etica, esistono anche ragioni economiche che la giustificano:
i tassi di partecipazione, soprattutto quelli specifici della componente femminile, ne traggono vantaggio; e così pure, di conseguenza, i tassi di natalità,
mentre il livello di attività economica può ricevere un impulso alla crescita.
Si può inoltre formulare l’auspicio che altrettanta attenzione e altrettanto
impegno vengano dedicati ad arginare il declino dello Stato sociale in tutte
le altre componenti perché, come sottolineava Federico Caffè, “il problema
dello Stato garante del benessere sociale (perché un problema indubbiamente esiste) è quello della sua mancata realizzazione; non già quello del
suo declino o del suo superamento”.
Appendice
Relazione del Presidente
N.B. La numerazione di figure e tabelle qui di seguito riportate fa riferimento
al testo integrale del Rapporto, per facilitarne l’eventuale consultazione.
Figura 1.5 Andamento dei salari in alcuni Paesi europei. Anni 2000-2022
Numeri indice salari reali medi annui (Base 2000=100)
Francia
Germania
Italia
Fonte: elaborazione Inapp su dati OCSE, 2023
Rapporto Inapp 2023
Nota: le linee tratteggiate rappresentano le medie mobili quinquennali.
Fonte: elaborazione Inapp su dati OCSE, 2023
Figura 1.7 Copertura della contrattazione collettiva nel settore privato e predominante
nei modelli contrattuali, UE27, 2019 (%)
Contratti di livello aziendale
Contratti di livello settoriale/regionale o di livello superiore
Contratti di livello aziendale e settoriale/regionale o di livello superiore
Altre forme di contratti collettivi
Modello caratterizzato da
prevalenza di contrattazione
aziendale
Modello caratterizzato da coesistenza di
contrattazione di livello aziendale e
settoriale, senza che nessuna delle due
prevalga
Fonte: EU-LFS and SES, Eurofound analysis (Eurofound 2023, 21)
Modello caratterizzato da
prevalenza di contrattazione
settoriale o di livello superiore
Modello
caratterizzato da
una articolazione
contrattuale su più
livelli
Relazione del Presidente
Figura 1.8 Andamento salari reali medi annuali, variazioni cumulate. Anni 1991-2022 (%)
? Italy – Oecd
Italy
OECD countries
Fonte: elaborazione Inapp su dati OCSE, 1991-2022
Figura 1.9 Variazioni % cumulate della produttività oraria del lavoro. Anni 1991-2022
? Italia – G7
Italia – PIL per ora lavorata
G7 – PIL per ora lavorata
Fonte: elaborazione Inapp su dati OCSE, 1991-2022
Rapporto Inapp 2023
Figura 1.13 Grado di copertura della contrattazione di secondo livello per settore in
termini di beneficiari. Anni 2016-2022 (%)
A – AGRICOLTURA, SILVICOLTURA E PESCA
0,05%
I – ATTIVITÀ DEI SERVIZI DI ALLOGGIO E DI RISTORAZIONE
2,30%
N – NOLEGGIO, AGENZIE DI VIAGGIO, SERVIZI DI SUPPORTO ALLE IMPRESE
4,83%
F – COSTRUZIONI
4,85%
G – COMMERCIO ALL’INGROSSO E AL DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI AUTOVEICOLI E MOTOCICLI
5,68%
Q – SANITÀ E ASSISTENZA SOCIALE
7,61%
H – TRASPORTO E MAGAZZINAGGIO
8,00%
S – ALTRE ATTIVITÀ DI SERVIZI
8,70%
COPERTURA MEDIA SUL TOTALE DEI SETTORI ECONOMICI
9,52%
J – SERVIZI DI INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE
9,74%
P – ISTRUZIONE
11,98%
R – ATTIVITÀ ARTISTICHE, SPORTIVE, DI INTRATTENIMENTO E DIVERTIMENTO
12,59%
K – ATTIVITÀ FINANZIARIE E ASSICURATIVE
15,93%
C – ATTIVITÀ MANIFATTURIERE
16,14%
L – ATTIVITÀ IMMOBILIARI
18,80%
M – ATTIVITÀ PROFESSIONALI, SCIENTIFICHE E TECNICHE
22,86%
E – FORNITURA DI ACQUA; RETI FOGNARIE, ATTIVITÀ DI GESTIONE DEI RIFIUTI E RISANAMENTO
25,29%
B – ESTRAZIONE DI MINERALI DA CAVE E MINIERE
31,14%
D – FORNITURA DI ENERGIA ELETTRICA, GAS, VAPORE E ARIA CONDIZIONATA
40,50%
Fonte: elaborazione Inapp su dati repository MLPS ‘Deposito contratti aziendali e territoriali e tassazione
agevolata dei premi di risultato’ (versione marzo 2023)
Figura 1.24 Quota di occupati molto soddisfatti su alcuni aspetti del lavoro per classi
d’età (%)
Prospettive migli oramento carriera
Sal ute e sicurezza
Compi ti/mansioni
Clima sociale
Guadagni/retribuzioni
Stabilità
Autonomia
Carichi di lavoro
Orari di l avoro
Compl essiva
18-34 anni
35-44 anni
45-54 anni
55 anni e oltre
Fonte: elaborazione Inapp su dati V Indagine Qualità del lavoro 2021 (campione lavoratori)
Relazione del Presidente
Figura 1.37 Indice di ricambio e difficoltà di reperimento di nuovo personale
Ridotto numero di candidati
Inadeguatezza dei candidati
Indice ricambio (scala dx)
Fonte: elaborazione Inapp su dati Unioncamere-Anpal, Sistema informativo Excelsior 2022 e Istat 2022
Rapporto Inapp 2023
Figura 2.1 Politiche per il mercato del lavoro (totale categorie 1-9), spesa sul PIL (%).
Anno 2020
Germania
Spagna
Francia
Italia
Fonte: elaborazione Inapp su dataset Labour market policy, Commissione europea, Direzione generale
per l’Occupazione, gli affari sociali e l’inclusione (DG EMPL), ultima consultazione marzo 2023
Figura 2.3 Servizi per il mercato del lavoro (categoria 1), spesa sul PIL (%). Anno 2020
Germania
Spagna
Francia
Italia
Fonte: elaborazione Inapp su dataset Labour market policy, Commissione europea, Direzione generale
per l’Occupazione, gli affari sociali e l’inclusione (DG EMPL), ultima consultazione marzo 2023
Relazione del Presidente
Figura 2.11 Immagine di sé nella condizione occupazionale e professionale futura, per
fasce di età. Anni 2022-2023
Fonte: elaborazione Inapp, 2023
Figura 2.18 Serie storica delle ore autorizzate per CIGO, CIGS (comprensiva della CIG
in deroga) e FIS. Anni 2000-2022
Nota: * compresa quella in deroga.
Fonte: elaborazione Inapp, 2023
Rapporto Inapp 2023
Figura 3.12 Risorse stanziate per Avvisi dai Fondi interprofessionali e dalle Regioni per
anno di pubblicazione. Anni 2018-2022 (v.a. in euro)
Regioni
Fondi Interprofessionali
Fonte: avvisi pubblicati da Fondi interprofessionali, Regioni e Province autonome, 2018-2022
Relazione del Presidente
Migliaia
Figura 4.1 Stima del numero di persone con disabilità negli anni 2030, 2040, 2050 e 2060
per classi di età. Valori medi e relativi intervalli di confidenza al 90%; limite inferiore =
Inf; limite superiore = Sup
80+anni
Media
N. stimato di persone con disabilità
65-79 anni
Media