
(AGENPARL) – mer 13 dicembre 2023 Roma, 13 dicembre 2023
SCENARIO INTERNAZIONALE
Key Point
Nel 2023 la domanda petrolifera globale ha proseguito nel suo trend di
crescita arrivando a toccare i 102 milioni b/g, 2,4 in più rispetto allo scorso
anno, uno degli aumenti più elevati degli ultimi 50 anni.
Nel periodo 2000-2023 la crescita della domanda nei soli paesi non-Ocse è
stata di oltre 27 milioni b/g, mentre in quelli Ocse è diminuita di circa 3 milioni.
Nel 2023 l’offerta di petrolio ha incontrato difficoltà nel rispondere alla
domanda, principalmente per le scelte dei paesi Opec Plus che hanno
progressivamente tolto dal mercato circa 5 milioni b/g – il 5% della produzione
totale – compensati dai paesi non-Opec.
Esportazioni russe in linea con i volumi precedenti le sanzioni – 7,6 milioni b/g destinate in larga parte a Cina e India; quelle dirette in Europa diminuite del
Gli Stati Uniti protagonisti del mercato con una produzione superiore a quella
di Arabia Saudita e Russia messe insieme.
Si conferma la resilienza della fonte petrolifera nel rispondere ad eventi
geopolitici in modo più veloce rispetto al gas.
Le previsioni per il 2024 sono di un progressivo riequilibrio dei mercati
petroliferi e l’emergere di un surplus stimato intorno ai 500.000 b/g.
Gli investimenti in E&P nel 2023 sono stati in linea con quelli degli ultimi tre
anni, meno della metà rispetto ai livelli di 10 anni fa quando però i costi di
sviluppo di nuova capacità erano più alti del 60%.
I prezzi del petrolio e dei prodotti hanno mostrato degli “strappi” temporanei
dovuti all’evolversi della situazione geopolitica e a politiche monetarie restrittive.
Le attese per il 2024 sono di prezzi del Brent mediamente nella forchetta 75-85
dollari/barile, non escludendo possibili spike che possono dipendere da
particolari contesti internazionali.
Nel 2023 i mercati petroliferi hanno confermato le tendenze emerse nel
corso degli ultimi tre anni, con una domanda di petrolio in costante crescita
per il recupero post-pandemia e un’offerta che non sempre ha tenuto lo
stesso passo.
La domanda di petrolio complessivamente è stata pari a 102 milioni b/g,
2,4 milioni in più rispetto allo scorso anno e 1,3 milioni al 2019.
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Questa robusta crescita è stata trainata quasi esclusivamente dai Paesi
non-Ocse, in particolare dalla Cina che ha contribuito per circa i tre quarti
del totale, a fronte di una sostanziale stabilità di quella dei Paesi Ocse.
Analizzando le dinamiche dei singoli Paesi, emerge come la domanda degli
Stati Uniti sia stata di poco inferiore a quella del periodo pre-Covid (-1,9%),
mentre per l’Europa il gap è risultato ben più consistente (-6,3%) con
volumi tornati sui livelli del 2014.
Complessivamente, negli ultimi dieci anni la domanda è cresciuta di 10
milioni b/g, che diventano oltre 25 milioni rispetto al 2000, ossia poco più
di vent’anni fa, a fronte di una popolazione mondiale che nello stesso
periodo è aumentata di 2 miliardi di persone (da 6 a 8 miliardi), di cui 1,7
miliardi nei Paesi non-Ocse.
Le attese per il 2024 sono di un ulteriore progresso, stimato dall’Agenzia
Internazionale per l’Energia (AIE) in circa 900.000 b/g – anche se altre
Istituzioni stimano una crescita ben superiore, compresa tra gli 1,5 e i 2,2
milioni b/g – per il modesto calo dei Paesi Ocse, ampiamente compensato
da quelli non-Ocse che dal 2013 hanno superato i primi. Ciò nonostante
tassi di crescita economica meno sostenuti rispetto al passato sia in Cina
che in Europa.
Quanto all’offerta di petrolio, nel 2023 si è attestata a 101,8 milioni b/g,
con un progresso di soli 1,7 milioni b/g rispetto al 2022. Un rallentamento
dovuto alle scelte dell’Opec Plus che da fine 2022 ha progressivamente
ridotto la propria produzione per cercare di arginare la caduta dei prezzi
osservata a partire dalla seconda metà del 2022 e proseguita nella prima
parte di quest’anno.
Dal novembre 2022 l’Opec Plus, tenendo conto anche delle successive
riduzioni volontarie di Russia (500.000 b/g) e Arabia Saudita (1 milione
b/g), ha ridotto l’offerta di circa 5 milioni b/g, ossia il 5% dell’offerta
mondiale, mentre i paesi non-Opec Plus hanno aumentato la loro
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produzione di 2,1 milioni b/g grazie agli Stati Uniti che sono divenuti a tutti
gli effetti i primi produttori mondiali, con volumi persino superiori a quelli
di Arabia Saudita e Russia messi insieme, rafforzando così la propria
presenza sui mercati internazionali grazie ad esportazioni di greggio e
prodotti pari ad oltre 6 milioni b/g.
A queste riduzioni si sono recentemente aggiunti gli ulteriori tagli volontari
annunciati il 30 novembre scorso per un totale di 2,2 milioni b/g, però solo
da parte di alcuni Paesi, limitati per ora al primo trimestre 2024.
Una decisione che non ha ottenuto un consenso unanime tra i vari Paesi
aderenti, sia sull’entità sia sulla ripartizione, aprendo un fronte di dissenso
interno guidato dai Paesi africani.
Un’altra novità in casa Opec Plus è stato l’annuncio dell’ingresso del Brasile,
che attualmente produce intorno ai 3,7 milioni b/g, però in qualità di Paese
osservatore in quanto non disposto a sottostare ad alcuna quota
produttiva. Con questa mossa, dal chiaro sapore politico considerato che
il Brasile è uno degli artefici della trasformazione dei Brics in una sorta di
Brics+ con l’adesione di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Argentina, Egitto,
Etiopia e Iran, l’Opec Plus arriverà a rappresentare il 60% della produzione
mondiale rispetto all’attuale 50%, con l’evidente scopo di esercitare un
controllo sempre più stretto sull’offerta e quindi sui prezzi del petrolio.
L’AIE stima che nel 2024 l’offerta di petrolio crescerà ancora, superando i
103 milioni b/g (+1,6 milioni b/g vs il 2023, prevalentemente per la crescita
produttiva dei Paesi non-Opec) e spingendo il mercato in una possibile
condizione di surplus, la cui entità è però legata all’evoluzione del contesto
macroeconomico e geopolitico.
In questo quadro, i prezzi del Brent hanno mostrato un andamento a
“strappi”, con rapide inversioni di tendenza dovute alle tante incertezze che
hanno caratterizzato l’anno, visto il protrarsi del conflitto russo-ucraino e,
più recentemente, l’avvio degli scontri in Medio Oriente.
Ad una prima fase ribassista nei primi mesi dell’anno, con prezzi che hanno
oscillato nella fascia 75-80 dollari/barile, a partire dall’estate è seguita una
fase decisamente rialzista che ha spinto le quotazioni del Brent ben oltre i
95 dollari/barile, sulla scia degli annunci di nuove riduzioni dell’offerta da
parte di Arabia Saudita e Russia e anche per i problemi che hanno
interessato diverse aree di produzione.
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Nuova correzione di rotta a partire da novembre, con prezzi che hanno
ricominciato a scendere fino ai 74 dollari/barile di inizio dicembre, per
l’indebolimento del contesto macroeconomico che, secondo molti analisti,
proseguirà anche nel 2024, e a nulla è servito l’annuncio di un ulteriore
riduzione di offerta dell’Opec Plus visto che nella settimana successiva
l’annuncio il greggio ha perso oltre 5 dollari/barile.
Elementi che indicano una chiara tendenza dell’offerta globale a
riequilibrarsi in tempi molto più rapidi rispetto al passato.
In media nel 2023 il Brent ha quotato intorno agli 83 dollari/barile, in calo
di oltre il 16% rispetto ad un 2022 che aveva fatto registrare i picchi
massimi degli ultimi dieci anni.
Quanto alle attese per il 2024, lo stato attuale dei fondamentali
indicherebbe il protrarsi dell’attuale fase ribassista che, secondo alcuni
analisti, potrebbe portare ad una quotazione media annua nella forchetta
75-85 dollari/barile, senza tuttavia escludere possibili spike.
Le stesse tendenze del greggio, anche più accentuate, si sono avute sul
mercato dei prodotti raffinati in larga parte dovute alle difficoltà che ha
incontrato la raffinazione nel coprire una domanda abbastanza sostenuta,
in particolare nel settore dei trasporti, in un contesto di scorte basse e
necessità di intervenire con le manutenzioni degli impianti non più rinviabili
come nel 2022. Gli incrementi maggiori si sono avuti tra agosto e
settembre, quando le quotazioni sui mercati internazionali (Platts Cif Med)
di benzina e gasolio sono tornate a superare i 1.000 dollari/tonnellata,
corrispondenti a 75-80 centesimi euro/litro, come accaduto solo
all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina.
Ciò è stato l’effetto combinato delle sanzioni alla Russia su greggi e prodotti
raffinati e, appunto nel periodo estivo, delle temperature estreme negli Stati
Uniti, Europa e in Cina, che hanno limitato la flessibilità operativa degli
impianti di circa il 20% rispetto ai livelli operativi standard, riducendo
l’offerta di prodotti che sono venuti a mancare soprattutto sui mercati
europei.
In valore assoluto le esportazioni russe di greggio e prodotti durante il
2023, si sono mantenute in linea con i volumi precedenti le sanzioni,
intorno ai 7,6 milioni b/g, ma sono andate perlopiù in Cina, che è passata
dagli 1,6 milioni b/g del 2021 agli attuali 2,4 milioni, e in India, che da poco
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più di 100.000 b/g è arrivata ad oltre 2 milioni. Di contro, l’Europa dai 3,4
milioni b/g del 2021 è scesa agli attuali 600.000 b/g diretti verso quei Paesi
oggetto di deroghe specifiche al regime sanzionatorio.
I prezzi dei prodotti, al pari di quelli del greggio, si sono successivamente
fortemente ridimensionati tornando ad inizio dicembre sotto gli 800
dollari/tonnellata, pari a 55-60 centesimi euro/litro (-20% rispetto ai picchi
di settembre) per un sostanziale riequilibrio dei fondamentali.
Quanto agli investimenti in E&P, nel 2023 sono ammontati a circa 470
miliardi di dollari, un valore in linea con quello degli ultimi tre anni, ma
meno della metà rispetto a quello di 10 anni fa quando però i costi di
sviluppo di nuovi progetti erano molto più alti (circa il 60% in più). Un
volume ritenuto dall’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) più che
sufficiente a soddisfare la domanda di petrolio dei prossimi anni che,
sempre secondo l’AIE, nel 2028 dovrebbe toccare il picco di 106 milioni
b/g per poi stabilizzarsi nei decenni successivi intorno ai 97-100 milioni
b/g. Ciò pone dunque il problema di continuare ad incontrare una domanda
comunque crescente di petrolio, garantendo un’offerta supportata da
investimenti adeguati a compensare il naturale declino delle attuali
produzioni.
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SCENARIO NAZIONALE
Key Point
Nel 2023 la domanda di energia diminuisce del 3% e porta il gap verso il 2019
ad oltre 13 Mtep, di cui più del 70% dovuto ai minori consumi di gas.
Il petrolio rileva una lieve flessione ma torna ad essere la prima fonte
energetica nazionale con un peso del 37%.
Il gas naturale scivola al secondo posto per effetto della minore domanda
nell’uso civile per le temperature più miti e utilizzo di rinnovabili, nonché nei
settori “energy intensive”.
Le rinnovabili recuperano gran parte delle perdite 2022, ma il 74% della
ripresa è dovuto alla fonte idroelettrica (+33%) che nel 2022 aveva scontato un
lungo periodo di siccità.
Lieve calo per i consumi petroliferi (-0,8%) dovuto in larga parte alle criticità
della petrolchimica che risente della concorrenza cinese, parzialmente
bilanciato dall’aumento dei carburanti per la mobilità stradale.
Ad essere premiata è la benzina che supera gli 8 milioni di tonnellate, come
non accadeva dal 2013, per la progressiva ibridizzazione del parco auto che ha
avuto vantaggi anche in termini di minori emissioni di CO2 allo scarico
diminuite negli ultimi dieci anni del 13%.
Le importazioni di greggio vedono crescere il peso di alcuni fornitori per
sostituire quelle russe cessate nel dicembre 2022, tra i quali gli Stati Uniti
diventati il nostro terzo fornitore dopo Azerbaijan e Libia.
Lieve calo per le lavorazioni delle raffinerie (-0,7%), mentre crescono le
esportazioni di prodotti finiti verso Medio ed Estremo Oriente e le
importazioni da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
Netta diminuzione per i prezzi dei carburanti che ha permesso di assorbire
l’aumento delle accise di inizio 2023.
Calano la fattura energetica (-48,4 miliardi di euro) e quella petrolifera (-6,5
miliardi di euro) e aumenta il gettito fiscale degli oli minerali (+7 miliardi di
euro) dato il ripristino delle accise piene sui carburanti dal 1° gennaio.
Nel 2023 la domanda di energia italiana si stima intorno ai 145 Mtep,
inferiore di oltre il 3% (-4,6 Mtep) rispetto allo scorso anno e di circa il 9%
rispetto al 2019 (-13,5 Mtep, di cui oltre il 70% dovuto ai minori consumi
di gas che hanno caratterizzato gli ultimi due anni).
Il petrolio, che torna ad essere la prima fonte energetica nazionale con un
peso del 37%, rileva una modesta variazione (-0,8%), soprattutto per le
criticità della petrolchimica (-15%) che, come negli altri Paesi europei, sta
risentendo delle crescenti esportazioni cinesi a basso prezzo, parzialmente
bilanciata dall’aumento dei carburanti per la mobilità stradale e aerea.
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Il gas naturale diminuisce dell’8,5% e scivola al secondo posto tra le fonti
di energia, con un peso del 35%, per effetto delle temperature miti del
2023, a cui si è accompagnata una minore domanda sia nella termoelettrica
sia nel settore industriale per il forte aumento dei prezzi osservato dalla
seconda metà del 2021, e ancor più nel 2022. Ciò ha portato ad una
profonda ristrutturazione ed efficientamento dei processi manifatturieri, in
particolare di quelli “gas intensive”, i cui effetti saranno strutturali.
Le rinnovabili crescono di circa il 9%, recuperando gran parte delle perdite
registrate nel corso del 2022, sebbene oltre il 74% di questa ripresa sia
dovuto alla fonte idroelettrica (+33%) che lo scorso anno aveva scontato
un lungo periodo di siccità.
Il carbone diminuisce, invece, del 33% scontando sia una domanda
elettrica in contrazione, sia il venir meno della necessità di supportare la
carenza di gas per la produzione termoelettrica, visto il ridimensionamento
delle quotazioni del gas.
Considerando i soli carburanti (benzina, gasolio e gpl) il segno diventa