
(AGENPARL) – ven 08 dicembre 2023 POMPEI: EMERGE IL PANIFICIO PRIGIONE
Nel pavimento intagli per coordinare il movimento di asini e operai schiavizzati
Regio IX – Casa con panificio di Rustio Vero
Un panificio-prigione, dove persone ridotte in schiavitù e asini erano rinchiusi e sfruttati per
macinare il grano necessario a produrre il pane. Un ambiente angusto e senza affaccio
esterno, con piccole finestre con grate in ferro per il passaggio della luce. E nel pavimento
intagli per coordinare il movimento degli animali, costretti a girare per ore con occhi bendati.
L’impianto è emerso nella Regio IX, insula 10, dove sono in corso scavi nell’ambito di un più
ampio progetto di messa in sicurezza e manutenzione dei fronti che perimetrano l’area
ancora non indagata della città antica di Pompei.
Le indagini hanno restituito una casa in corso di ristrutturazione. Un’abitazione suddivisa come spesso avviene – in un settore residenziale decorato con raffinati affreschi di IV stile,
e un quartiere produttivo destinato in questo caso alla panificazione. In uno degli ambienti
del panificio, erano già emerse nei mesi scorsi tre vittime, a conferma che nonostante la
ristrutturazione in corso, la dimora fosse tutt’altro che disabitata.
Una fotografia/testimonianza del lavoro massacrante a cui erano sottoposti uomini, donne
e animali negli antichi mulini-panifici, del cui racconto abbiamo la fortuna di poter disporre
di una fonte d’eccezione, lo scrittore Apuleio, vissuto nel II secolo d.C., che nelle
Metamorfosi IX 11-13, racconta l’esperienza del protagonista, Lucio, trasformato in asino e
venduto a un mugnaio, evidentemente sulla base di una conoscenza diretta di contesti simili.
Le nuove scoperte rendono possibile descrivere meglio anche il funzionamento pratico
dell’impianto produttivo che, seppure in disuso al momento dell’eruzione, ci restituisce una
conferma puntuale del quadro sconcertante dipinto da Apuleio.
Il settore produttivo messo in luce è privo di porte e comunicazioni con l’esterno; l’unica
uscita dà sull’atrio, nemmeno la stalla possiede un accesso stradale come frequente in altri
casi. “Si tratta, in altre parole, di uno spazio in cui dobbiamo immaginare la presenza di
persone di status servile di cui il proprietario sentiva il bisogno di limitare la libertà di
movimento – fa notare il Direttore Gabriel Zuchtriegel, in un articolo scientifico a più mani
pubblicato oggi sull’E-Journal degli scavi di Pompei http://pompeiisites.org/e-journal-degliscavi-di-pompei/ – È il lato più sconvolgente della schiavitù antica, quello privo di rapporti di
fiducia e promesse di manomissione, dove ci si riduceva alla bruta violenza, impressione
che è pienamente confermata dalla chiusura delle poche finestre con grate di ferro. “
La zona delle macine, ubicate nella parte meridionale dell’ambiente centrale, è adiacente
alla stalla, caratterizzata dalla presenza di una lunga mangiatoia.
Attorno alle macine si individua una serie di incavi semicircolari nelle lastre di basalto
vulcanico. Data la forte resistenza del materiale, è verosimile che quelle che a prima vista
potrebbero sembrare delle “impronte” siano in realtà intagli realizzati appositamente per
evitare che gli animali da tiro scivolassero sulla pavimentazione e contemporaneamente
tracciare un percorso, formando in tal modo un “solco circolare” (curva canalis) come lo
descrive anche Apuleio.
“Le fonti iconografiche e letterarie, in particolare i rilievi della tomba di Eurysaces a Roma,
suggeriscono che di norma una macina fosse movimentata da una coppia composta da un
asino e uno schiavo. Quest’ultimo, oltre a spingere la mola, aveva il compito di incitare
l’animale e monitorare il processo di macinatura, aggiungere del grano e prelevare la farina.”
L’usura dei vari intagli può essere ascritta agli infinti giri, sempre uguali, svolti secondo lo
schema predisposto nella pavimentazione. Più che a un solco viene pertanto da pensare
all’ingranaggio di un meccanismo di orologeria, concepito per sincronizzare il movimento
intorno alle quattro macine concentrate in questa zona.
L’ambiente riaffiorato, con la sua testimonianza di dura vita quotidiana, integra il quadro
raccontato nella mostra “L’altra Pompei: vite comuni all’ombra del Vesuvio” – che inaugurerà
il 15 dicembre alla Palestra grande di Pompei- dedicata a quella miriade di individui spesso
dimenticati dalle cronache storiche, come appunto gli schiavi, che costituivano la
maggioranza della popolazione e il cui lavoro contribuiva in maniera importante
all’economia, ma anche alla cultura e al tessuto sociale della civiltà romana.
“In ultima analisi – aggiunge il direttore- sono spazi come questo che ci aiutano anche a
capire perché c’era chi riteneva necessario cambiare quel mondo e perché negli stessi anni
un membro di un piccolo gruppo religioso di nome Paolo, poi santificato, scrive che è meglio
essere tutti servi, douloi che vuol dire schiavi, ma non di un padrone terrestre, bensì di uno
celeste.”