
(AGENPARL) – mar 07 novembre 2023 Economie regionali
L’economia delle regioni italiane
novembre 2023
Dinamiche recenti e aspetti strutturali
Economie regionali
L’economia delle regioni italiane
Dinamiche recenti e aspetti strutturali
Numero 22 – novembre 2023
La collana Economie regionali ha la finalità di presentare studi e documentazione
sugli aspetti territoriali dell’economia italiana. Comprende i rapporti annuali
regionali, le relative note metodologiche e gli aggiornamenti congiunturali; include
inoltre la pubblicazione annuale L’economia delle regioni italiane. Dinamiche
recenti e aspetti strutturali e quella semestrale La domanda e l’offerta di credito
a livello territoriale.
Comitato di redazione
Andrea Colabella e Andrea Petrella (coordinamento), Matteo Alpino, Davide Dottori, Giorgio Ivaldi, Giovanna Messina, Elisabetta Olivieri,
Elena Romito, Laura Sigalotti, Giovanni Soggia, Giulia Martina Tanzi
Daniela Falcone e Silvia Mussolin (aspetti editoriali), Ivan Triglia, Anna Verrengia e Stefano Vicarelli (aspetti grafici)
Riquadri: Simona Arcuti, Davide Arnaudo, Andrea Benecchi, Cristina Demma, Domenico Depalo, Edoardo Frattola,
Annalisa Frigo, Elena Gentili, Paolo Guaitini, Enza Maltese, Anna Laura Mancini, Daniele Marangoni, Vincenzo Mariani,
Andrea Orame, Massimiliano Paolicelli, Massimiliano Rigon, Stefania Romano, Gabriele Rovigatti, Giuseppe Saporito,
Silvia Spadafora, Andrea Venturini, Giacomo Ziglio
© Banca d’Italia, 2023
Indirizzo
Via Nazionale, 91 – 00184 Roma – Italia
Telefono
Sito internet
http://www.bancaditalia.it
ISSN 2283-9615 (stampa)
ISSN 2283-9933 (online)
Tutti i diritti riservati. È consentita la riproduzione a fini didattici e non commerciali, a condizione che venga citata la fonte
Aggiornato con i dati disponibili al 26 ottobre 2023, salvo diversa indicazione
Grafica e stampa a cura della Divisione Editoria e stampa della Banca d’Italia
INDICE
1. Il quadro di insieme
Riquadro: Produzione e consumo di energia nelle macroaree
2. Le imprese
L’andamento dell’attività
Riquadro: Struttura ed evoluzione del settore agricolo
La domanda estera
Riquadro: La dipendenza strategica dall’estero
La redditività e l’indebitamento delle imprese
3. Le famiglie
Il reddito, i consumi e la povertà
Riquadro: Disuguaglianza dei redditi da lavoro e povertà lavorativa
nelle macroaree
Riquadro: L’aumento dei prezzi al consumo e la povertà energetica
La ricchezza delle famiglie
L’indebitamento delle famiglie
Riquadro: I mutui alle famiglie e l’impatto dell’aumento dei tassi di interesse 35
4. Il mercato del lavoro
L’occupazione e le ore lavorate
Riquadro: L’andamento del lavoro a bassa retribuzione nelle macroaree
L’offerta di lavoro e la disoccupazione
Le retribuzioni
5. Le politiche pubbliche
Le Amministrazioni locali
Riquadro: La spesa energetica degli enti territoriali
Riquadro: Gli appalti del Piano nazionale di ripresa e resilienza
Le politiche di coesione
6. Le banche
La struttura dell’industria bancaria
Riquadro: Gli sportelli bancari sul territorio
I finanziamenti e la qualità del credito
Riquadro: L’andamento della domanda e dell’offerta di credito
nei primi sei mesi del 2023
APPENDICE STATISTICA
AVVERTENZE
Le elaborazioni, salvo diversa indicazione, sono eseguite dalla Banca d’Italia; per i dati dell’Istituto si omette l’indicazione
della fonte.
Eventuali differenze rispetto a dati pubblicati in precedenza di fonte segnalazioni di vigilanza, AnaCredit, Centrale dei
rischi e Rilevazione analitica dei tassi di interesse attivi sono riconducibili, se non indicato diversamente, a rettifiche di
segnalazione da parte degli intermediari.
Segni convenzionali:
il fenomeno non esiste;
….
il fenomeno esiste ma i dati non si conoscono;
i dati non raggiungono la cifra significativa dell’ordine minimo considerato;
i dati sono statisticamente non significativi.
Per la denominazione dei paesi indicati in sigla all’interno della pubblicazione, cfr. il Manuale interistituzionale di
1. IL QUADRO DI INSIEME
Lo scorso anno, dopo l’eccezionale recupero del 2021, l’attività ha continuato a
crescere in maniera robusta in tutte le aree, beneficiando anche dell’eliminazione delle
residue misure di contenimento dovute alla crisi sanitaria. L’espansione è stata più
marcata nel Nord Est e al Centro (tav. a1.1). L’incremento del PIL è stato trainato
dalle costruzioni, sostenute dagli incentivi all’edilizia residenziale, e dal terziario.
Nell’industria in senso stretto l’attività si è indebolita in ogni macroarea, riflettendo
soprattutto la difficoltà dei comparti a maggiore intensità energetica, più colpiti dai
rincari. La capacità dell’economia italiana di fare fronte agli shock energetici potrà in
futuro essere rafforzata da una riduzione della dipendenza dalle fonti fossili, nonché da
una maggiore efficienza energetica nei processi produttivi, coerentemente con quanto
previsto dagli obiettivi climatici dell’Unione europea (cfr. il riquadro: Produzione e
consumo di energia nelle macroaree).
PRODUZIONE E CONSUMO DI ENERGIA NELLE MACROAREE
L’Unione europea ha recentemente rivisto gli obiettivi climatici da conseguire
entro il 2030. Fra i vari impegni, gli Stati membri dovranno ridurre i consumi finali
di energia dell’11,7 per cento rispetto alle previsioni formulate nel 2020 e coprire
almeno il 42,5 per cento di questi ultimi con fonti energetiche rinnovabili (FER)1.
Consumi finali di energia. – Secondo i dati dell’ENEA, nel 20192 i consumi finali
di energia3 in Italia sono stati circa 120 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio
(TEP), attorno a due tonnellate per abitante. Gli usi civili, che includono il settore
terziario e quello domestico, assorbivano circa il 40 per cento dei consumi finali, i
trasporti il 30 e l’industria il 27. I consumi pro capite erano più alti al Nord rispetto al
resto del Paese, con un differenziale particolarmente ampio nel settore degli usi civili,
che risente in parte delle più sfavorevoli condizioni climatiche (figura A, pannello a).
L’incidenza degli utilizzi industriali risultava assai significativa nel Nord Est, a causa
sia del peso del settore, sia della sua elevata intensità energetica (consumi finali per
euro di valore aggiunto); il Mezzogiorno si caratterizzava invece per una bassa presenza
dell’industria, ma concentrata in attività ad alto consumo di energia.
Tra il 2012 e il 2019 i consumi energetici sono molto scesi al Centro (-7,1
per cento) e più moderatamente nel resto del Paese (figura A, pannello b). In tutte
le aree, ad eccezione del Nord Est, il calo è stato prevalentemente trainato dalla
componente industriale. Ciò ha riflesso la diminuzione dell’intensità energetica
Nel 2009 la quota di queste fonti sui consumi finali lordi corrispondeva al 12,8 per cento; nel 2019 ha
raggiunto il 18,2, superando l’obiettivo stabilito per il 2020 (17 per cento). Il nuovo obiettivo è molto più
ambizioso: la quota delle FER dovrebbe aumentare di oltre 24 punti percentuali in meno di un decennio.
Il 2020, ultimo anno per cui sono disponibili i dati ENEA, è stato escluso dall’analisi in quanto contraddistinto
da un forte calo dei consumi finali di energia a causa delle ripercussioni della pandemia.
Il consumo finale di energia è la quantità necessaria per soddisfare il fabbisogno di imprese, enti e famiglie,
al netto delle variazioni di scorte, delle perdite di distribuzione e trasporto e dell’attività di trasformazione di
energia.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
delle imprese4 e – nel caso del Mezzogiorno – un andamento meno favorevole
dell’attività produttiva. Nell’intero Paese la contrazione dei consumi è stata più
contenuta nei trasporti e negli usi civili, nonostante gli apprezzabili guadagni di
efficienza5. Per rispettare gli impegni assunti entro il 2030, la riduzione media
annua dei consumi finali dovrebbe essere circa tre volte quella conseguita nel
periodo in esame.
Figura A
Consumi finali di energia (1)
(a) TEP per abitante nel 2019 (2)
(unità)
(b) andamento storico
(numeri indice: 2012=100)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
agricoltura, pesca e altro
uso civile
Nord Ovest
Nord Est
trasporti
industria
Sud e Isole
Italia
Centro
Fonte: elaborazioni su dati ENEA.
(1) Includono anche i consumi finali a uso non energetico, attribuiti interamente all’industria. Il TEP è l’unità di misura energetica pari
all’energia termica ottenibile dalla combustione di una tonnellata di petrolio. – (2) La linea tratteggiata rappresenta la media nazionale.
La produzione di energia primaria. – Nel 2019 la produzione di energia primaria6
in Italia è stata prossima a 37 milioni di TEP, poco meno del 31 per cento dei
consumi finali. In considerazione della scarsità di risorse fossili, quasi tre quarti della
produzione è basata sulle FER7. Il differenziale negativo tra produzione e consumi
finali, più elevato al Nord (circa 24 per cento) rispetto al resto del Paese, viene
colmato attraverso l’importazione di materie prime energetiche.
Secondo l’indice di efficienza energetica (energy efficiency index of industry, ODEX), tra il 2012 e il 2019 tutti
i settori hanno mostrato un guadagno di efficienza, che è stato particolarmente rilevante nell’industria.
Nel comparto residenziale hanno pesato negativamente sia l’incremento del patrimonio immobiliare, sia
il miglioramento del comfort abitativo. Nei servizi l’efficientamento energetico è stato molto limitato. Sui
consumi dei trasporti hanno pesato negativamente l’aumento del traffico passeggeri e il minore carico medio
nel trasporto merci. Cfr. Odyssee-Mure, Italy. Energy profile, marzo 2021.
Le fonti di energia primaria includono i prodotti energetici estratti o ricavati direttamente da risorse naturali. Si
distinguono in fonti esauribili (tra cui i combustibili solidi, quelli gassosi e i prodotti petroliferi) e rinnovabili
(ad es. energia solare, idrica, eolica, biomasse). Le fonti energetiche secondarie (come l’energia elettrica)
derivano invece dalla trasformazione di una fonte primaria.
Dalle FER si ottengono energia elettrica, termica (in larga parte attraverso biomasse) e, in misura ancora assai
limitata, biocarburanti.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Il settore elettrico. – Secondo i dati
forniti da Terna, tra il 2012 e il 2022
la potenza installata è complessivamente
scesa del 3,7 per cento, nonostante
l’incremento di quella generata dagli
impianti alimentati dalle FER (23,3
per cento). La quota di potenza
riconducibile alle FER è pertanto salita
al 49,5 per cento nel 2022, dal 38,6 nel
2012; alla fine del 2022 era più elevata
nel Nord Est e nel Mezzogiorno (oltre
il 50 per cento in ciascuna delle aree;
figura B).
Figura B
Potenza installata per impianto (1)
(megawatt)
Nord Ovest
idroelettrico
Nord Est
fotovoltaico
Centro
eolico
Sud e Isole
altre FER
tradizionale
Tra le FER l’aumento della capacità
produttiva è stato particolarmente Fonte: elaborazioni su dati Terna.
Potenza efficiente lorda. Per tradizionale si intendono gli
intenso per gli impianti fotovoltaici: (1)
impianti alimentati da fonti non rinnovabili, ad esempio quelli
termoelettrici e idroelettrici di pompaggio. Per altre FER si
nel 2022 questi rappresentavano quasi intendono gli impianti termoelettrici alimentati da fonti rinnovabili,
un quinto della potenza installata di quali le biomasse, i rifiuti solidi urbani o l’energia geotermica.
energia elettrica complessiva. La loro
distribuzione era piuttosto omogenea sul territorio nazionale, con un’incidenza
leggermente maggiore nel Mezzogiorno, dove era collocato più di un terzo della
potenza totale. Le fonti di produzione eoliche erano presenti quasi esclusivamente
in quest’area, mentre quelle idroelettriche erano maggiormente concentrate al Nord.
Secondo l’indicatore trimestrale dell’economia regionale (ITER) elaborato dalla
Banca d’Italia, nella prima metà del 2023 la dinamica del PIL si è progressivamente
affievolita in tutte le ripartizioni (fig. 1.1), risentendo del rallentamento della domanda
interna ed estera. Al contempo, le difficoltà di approvvigionamento di materie prime
e beni intermedi sono progressivamente venute meno, così come quelle connesse
con i rincari energetici. I piani di investimento delle imprese si sono indeboliti, pur
beneficiando in parte dell’avanzamento dei progetti del Piano nazionale di ripresa
e resilienza (PNRR). I prestiti bancari alle imprese si sono ridotti, in particolare al
Centro. Il rapporto tra le attività più liquide e i debiti a breve scadenza delle imprese
si è collocato ancora su valori nettamente superiori a quelli registrati nel periodo
precedente l’emergenza sanitaria.
Nella prima metà dell’anno in corso l’occupazione, tornata già nel 2022 al di sopra
dei livelli precedenti la pandemia in ogni ripartizione, è ulteriormente cresciuta, con
tassi leggermente più pronunciati al Centro Nord. Nel Paese è proseguito l’aumento
della partecipazione al mercato del lavoro. Nonostante il diffuso calo del tasso di
disoccupazione, permangono ampi margini di forza lavoro inutilizzata, specialmente
nelle regioni meridionali. La dinamica delle retribuzioni – debolmente positiva lo scorso
anno – si è rafforzata durante il 2023, per effetto dei rinnovi contrattuali in alcuni
comparti manifatturieri, maggiormente concentrati nelle regioni centro-settentrionali.
Anche grazie all’incremento dell’occupazione, nel 2022 è proseguita in tutte
le macroaree l’espansione del reddito disponibile delle famiglie; il rialzo dei prezzi
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Economie regionali
Figura 1.1
Andamento dell’attività economica nelle macroaree (1)
(variazioni percentuali sul periodo corrispondente)
(a) Nord Ovest
(b) Nord Est
1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2°
1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2°
(a) Centro
(b) Sud e Isole
1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2°
ITER (variazioni trimestrali)
1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2°
Istat (variazioni annuali)
Fonte: elaborazioni su dati INPS, Istat, Banca d’Italia, Terna, Infocamere, Osservatorio del mercato immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle
Entrate.
(1) Il dato dell’Istat relativo al 2022 è quello preliminare; le stime dell’ITER per il 2022 sono coerenti sia con il dato preliminare del PIL
annuale dell’Istat, sia con il totale del PIL nazionale trimestrale. Le stime dell’ITER dei primi 2 trimestri del 2023 sono bilanciate rispetto
al solo PIL trimestrale nazionale.
ne ha però eroso il valore reale. Ciò nonostante i consumi hanno continuato a
crescere ovunque; la propensione al risparmio è diminuita e il credito al consumo
ha accelerato. Gli scambi sul mercato immobiliare si sono progressivamente
indeboliti e i nuovi mutui si sono ridotti, soprattutto a seguito dell’aumento del
costo dei finanziamenti.
Il rallentamento dei prestiti bancari al settore privato non finanziario,
iniziato nel quarto trimestre del 2022, si è gradualmente accentuato nel primo
semestre del 2023, trasformandosi in una contrazione nell’intero Paese, fuorché
nel Mezzogiorno. I criteri di concessione dei prestiti utilizzati dagli intermediari
sono stati improntati a una maggiore selettività, riflettendo il più alto costo della
provvista e l’accresciuta percezione del rischio sulle prospettive economiche.
Il tasso di deterioramento dei prestiti seguita ovunque a mantenersi su livelli molto
contenuti.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Gli investimenti delle Amministrazioni locali, che nel 2022 sono aumentati a tassi
più moderati rispetto alla media del triennio precedente, nei primi otto mesi dell’anno
in corso sono risultati in forte espansione in ogni ripartizione. Sono stati sostenuti anche
dall’impiego dei fondi di coesione europei del ciclo di programmazione 2014?2020, il
cui ritmo di spesa dovrà però accelerare al fine di completare i pagamenti entro il
termine stabilito del 2023. Nei prossimi anni si prefigura un ulteriore irrobustimento
degli investimenti locali, connesso con la realizzazione dei progetti del PNRR. A questi
si affiancheranno gli interventi nell’ambito del ciclo di programmazione 2021-27
delle politiche di coesione italiane ed europee, che prevede nuove risorse per oltre 140
miliardi di euro.
Analogamente a quanto accaduto in crisi precedenti, durante la pandemia il
prodotto pro capite del Centro Nord si era ridotto più intensamente di quello del
Mezzogiorno, anche per il minore peso del settore pubblico, meno sensibile al ciclo
economico. Si era pertanto osservata una flessione dei divari territoriali, che si è tuttavia
interrotta nel corso della successiva ripresa. Gli andamenti recenti, generalmente
più favorevoli per le regioni centro-settentrionali, non sembrano prospettare un
ridimensionamento dei differenziali tra aree nell’anno in corso.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
2. LE IMPRESE
Nel 2022 l’attività economica è cresciuta in maniera robusta nel Paese, trainata
da un andamento particolarmente vivace nel settore delle costruzioni e nel terziario;
quello dell’industria, su cui hanno pesato maggiormente i rincari dei beni energetici, è
invece stato positivo solo al Centro.
Nella prima metà dell’anno in corso il prodotto ha rallentato rispetto al 2022,
a causa dell’indebolimento sia della domanda interna sia di quella estera. Anche la
dinamica degli investimenti si è progressivamente affievolita, nonostante l’avanzamento
dei progetti del PNRR abbia in parte contribuito a sostenerla. In tutti i settori si sono
attenuate le difficoltà di approvvigionamento degli input intermedi, così come le
pressioni sui costi connesse con i rincari energetici. L’incertezza legata all’evoluzione
del quadro geopolitico rimane tuttavia elevata.
La quota di imprese che prevedono di chiudere l’esercizio in utile nel 2023 è aumentata
ovunque. Il rapporto tra le attività più liquide e i debiti a breve scadenza è diminuito
nel 2022, ma continua a collocarsi su valori nettamente superiori a quelli registrati nel
periodo precedente la pandemia. I prestiti bancari alle imprese hanno progressivamente
rallentato e nel primo semestre del 2023 si sono ridotti in ogni macroarea.
L’andamento dell’attività
Industria e servizi. – Lo scorso anno il valore aggiunto dell’industria in senso stretto
è rimasto stabile: la flessione nei comparti a più alta intensità energetica e nei settori
che producono energia è stata compensata dall’espansione nel resto della manifattura.
Secondo stime preliminari dell’Istat, l’attività è cresciuta al Centro, ha ristagnato nel
Nord Est, è scesa nel Nord Ovest e nel Mezzogiorno (tav. a2.1). Quest’ultima ripartizione
avrebbe risentito della maggiore intensità energetica delle imprese localizzate nell’area
(cfr. il riquadro: Produzione e consumo di energia nelle macroaree del capitolo 1).
Nei primi sei mesi del 2023 l’attività industriale in Italia si è contratta a
seguito dell’indebolimento della domanda interna ed estera, per poi stabilizzarsi nel
terzo trimestre. Al Centro Nord il saldo fra le quote di aziende manifatturiere che
dichiaravano un livello di commesse, rispettivamente, “alto” e “basso”, già in calo nel
2022, è diminuito ancora (fig. 2.1); nel Mezzogiorno l’indicatore è invece rimasto
complessivamente stabile. La dinamica negativa degli ordinativi è stata solo in parte
mitigata dall’attuazione del PNRR che, sulla base del Sondaggio congiunturale sulle
imprese industriali e dei servizi (Sondtel) condotto in autunno, ha comportato un
aumento degli ordini per meno di un decimo delle aziende.
Secondo la medesima indagine, nei primi tre trimestri del 2023 le imprese
industriali si sono divise in parti pressoché uguali fra quelle con vendite in calo,
invariate o in crescita. I casi di espansione sono più diffusi nel Nord Ovest, quelli
di contrazione nel Nord Est. La quota di aziende che per il semestre successivo alla
rilevazione si attendono una stabilità del fatturato nominale è in forte aumento in
tutto il Paese (tav. a2.2).
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Figura 2.1
Andamento degli ordini dell’industria manifatturiera (1)
(valori percentuali)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: elaborazioni su dati Istat.
(1) Saldi tra le quote di risposte “alto” e “basso”. Dati destagionalizzati. Per aprile 2020 i dati non sono disponibili, poiché in quel mese la
rilevazione è stata sospesa a causa delle difficoltà operative legate alla pandemia.
Le conseguenze negative della crisi energetica (cfr. il capitolo 6: Le imprese nella
Relazione annuale sul 2022) si sono attenuate nell’anno in corso. I dati di Sondtel
indicano che nei primi nove mesi del 2023 il rapporto fra la spesa per l’energia e quella
complessiva per beni e servizi è tornato su valori uguali o inferiori a quelli registrati nel
2021 per due terzi delle aziende. Fra le rimanenti, solo una minoranza – leggermente
più concentrata nel Nord Ovest e nel Mezzogiorno – dichiara un’incidenza dei costi
di elettricità e gas elevata (ossia superiore al 10 per cento). Per mitigare le ripercussioni
dei rincari, nel 2023 quasi un terzo di imprese nel Mezzogiorno e un quarto al
Centro Nord hanno aumentato l’efficienza dei macchinari o l’autoproduzione di
elettricità, o adeguato gli impianti a fonti energetiche alternative; pressoché il 15 per
cento ha rinegoziato i contratti di fornitura; circa il 20, in particolare al Nord, ha
incrementato i prezzi finali dei propri prodotti. A differenza del 2022, la riduzione dei
margini di profitto e la flessione della produzione sono risultate le strategie adottate
meno di frequente.
Anche le difficoltà nel reperimento di materie prime e beni intermedi sui
mercati internazionali, che hanno interessato il comparto produttivo dalla metà del
2021, appaiono in via di risoluzione in tutte le macroaree. Nei primi tre trimestri
del 2023 queste difficoltà sono state indicate come abbastanza rilevanti da meno del
21 per cento delle imprese industriali e come molto rilevanti solo dal 2, in netto calo
rispetto al 2022, quando tali quote erano rispettivamente più alte di 20 e 40 punti
percentuali.
Secondo stime preliminari dell’Istat, nel 2022 il valore aggiunto dei servizi
è cresciuto in maniera marcata in tutte le aree del Paese, con limitate differenze
territoriali. Le branche riconducibili alle attività commerciali, ai pubblici esercizi,
ai trasporti e alle telecomunicazioni sono aumentate significativamente, anche
grazie alla ripresa del turismo dopo la pandemia. I servizi finanziari, immobiliari
e professionali si sono ampliati a un ritmo più elevato al Nord. L’espansione delle
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Economie regionali
rimanenti branche, che includono anche quelle riferibili alle Amministrazioni
pubbliche, è stata superiore nel Mezzogiorno, dove la loro incidenza sul PIL è più
elevata.
In base ai dati di Sondtel riferiti ai servizi privati non finanziari oltre il 35
per cento delle imprese, soprattutto al Centro Nord, ha registrato un incremento
delle vendite nei primi tre trimestri del 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno
precedente; una quota analoga, leggermente maggiore nel Mezzogiorno, dichiara
invece una stabilità. Come per l’industria in senso stretto, la quota di aziende che si
attendono un fatturato nominale invariato nei sei mesi successivi alla rilevazione è in
significativo aumento.
Anche nei servizi privati non finanziari le difficoltà connesse con
l’approvvigionamento di materie prime e beni intermedi e con i rincari energetici
appaiono in via di superamento. In prospettiva, sull’attività del comparto potrebbe
incidere positivamente l’avanzamento del PNRR che nei primi tre trimestri del 2023
ha generato maggiori commesse per il 17 per cento delle imprese al Centro Nord
e per il 7 nel Mezzogiorno. L’impatto è concentrato in particolare fra le aziende
informatiche, che plausibilmente beneficiano dei considerevoli investimenti che il
Piano destina alla transizione digitale.
Il 2022 e i primi nove mesi del 2023 sono stati caratterizzati da numerosi eventi
meteorologici estremi – come, tra i più significativi, l’alluvione in Emilia-Romagna1 –
e da temperature elevate nel confronto storico. Le anomalie climatiche possono
avere effetti negativi sull’attività delle imprese2. Secondo Sondtel, la quota di aziende
industriali e dei servizi con almeno 20 addetti interessate negli ultimi tre anni da
episodi atmosferici straordinari è stata pari al 20 per cento al Centro Nord e all’8 nel
Mezzogiorno. Questa incidenza è più alta fra le imprese che già nel 2019 giudicavano
la propria esposizione a tali fenomeni nel triennio successivo come abbastanza o
molto rilevante; è consistente anche fra quelle che la giudicavano nulla o trascurabile.
Nel 2022 il tasso di natalità netto delle imprese, calcolato come differenza tra
i tassi di natalità e di mortalità, è sceso dal picco dell’anno precedente allo 0,6 per
cento nel Nord Est e a circa l’1 nelle restanti macroaree. Al calo ha contribuito la
contrazione del tasso di natalità, più pronunciata al Sud e nelle Isole (fig. 2.2.a).
Proseguendo la decrescita in atto da almeno un decennio, questo tasso si è portato
ovunque su livelli più bassi rispetto al 2019, ma con una riduzione maggiore nel
Mezzogiorno. È al contempo salito il tasso di mortalità, restando tuttavia su livelli
ancora inferiori a quelli precedenti la pandemia in tutte le ripartizioni (fig. 2.2.b),
anche grazie alle misure di sostegno alle imprese e alla forte ripresa dell’attività
economica. In base a nostre elaborazioni sui dati del primo semestre, nell’anno in
corso i tassi di natalità e di mortalità rimarrebbero sostanzialmente stabili in ogni
macroarea.
L’economia dell’Emilia-Romagna, Banca d’Italia, Economie regionali, 8, 2023.
M. Alpino, L. Citino, G. de Blasio e F. Zeni, Gli effetti del cambiamento climatico sull’economia italiana. Un
progetto di ricerca della Banca d’Italia, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 728, 2022.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Figura 2.2
Demografia di impresa
(valori percentuali)
(a) tasso di natalità
(b) tasso di mortalità
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: elaborazioni su dati Infocamere. Cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Natalità e mortalità
di impresa.
Investimenti. – I dati dell’Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (Invind)
segnalano che nel 2022 gli investimenti sono cresciuti nell’intero Paese, con l’eccezione
del Centro, dove ha inciso un andamento particolarmente negativo nel settore dei servizi.
Nel resto d’Italia l’accumulazione di capitale nel terziario è invece salita sensibilmente, a
un tasso superiore rispetto a quello dell’industria.
Le aziende prefiguravano per il 2023 un calo o un rallentamento in ogni ripartizione,
tranne che al Centro. Secondo Sondtel, i piani di investimento formulati sarebbero
realizzati da due terzi delle imprese (tav. a2.2). La dinamica è stata in parte sostenuta
dagli incentivi del PNRR per l’accumulazione di beni strumentali (Transizione 4.0)
e da quelli per aumentare l’efficienza energetica e l’autoproduzione di elettricità da
fonti rinnovabili, di cui hanno beneficiato rispettivamente un quarto e un sesto delle
imprese.
Costruzioni. – Nel 2022 il valore aggiunto delle costruzioni ha continuato a
espandersi a ritmi elevati (tav. a2.3). La crescita ha interessato in misura omogenea
tutte le macroaree ed è stata sospinta dagli incentivi fiscali per la riqualificazione del
patrimonio abitativo e per il miglioramento dell’efficienza energetica. L’espansione ha
riguardato anche il comparto delle opere pubbliche che, sulla base delle informazioni
sui nuovi bandi, dovrebbe continuare ad aumentare nei prossimi anni. I dati
dell’Istat segnalano che i permessi per costruire nuove abitazioni – un indicatore
prospettico sull’andamento dell’attività del comparto – sono cresciuti al Centro e nel
Mezzogiorno, sebbene a ritmi più contenuti rispetto all’anno precedente, mentre si
sono significativamente ridotti nelle regioni settentrionali.
Secondo Sondtel, tra le imprese con almeno dieci addetti l’espansione sta
continuando anche nel 2023. Il saldo fra le aziende che prefigurano un ampliamento
della produzione e quelle che se ne attendono un calo è elevato nell’intero Paese
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(44 per cento nel Nord Ovest e 35 nelle altre ripartizioni). Le aspettative sul 2024
sono altrettanto positive.
Nell’anno in corso la dinamica ha continuato a essere alimentata dalle agevolazioni
fiscali del Superbonus e dagli ingenti investimenti infrastrutturali contenuti nel PNRR;
queste misure hanno indotto un aumento delle commesse per il 42 per cento delle
imprese operanti nell’edilizia privata e per il 60 di quelle del comparto delle opere
pubbliche (68 per cento al Nord, 52 nel resto d’Italia).
Sull’attività hanno pesato ancora le difficoltà nel reperire manodopera, indicate come
un ostacolo alla produzione da circa due quinti delle imprese in tutte le ripartizioni. Risultano
invece in netto miglioramento i problemi di approvvigionamento di materie prime e beni
intermedi, che nell’anno in corso hanno riguardato il 38 per cento delle imprese al Nord e
il 30 nelle restanti aree, a fronte della quasi totalità delle aziende nel 2022.
Agricoltura. – Lo scorso anno il valore aggiunto del settore primario, in cui è in
atto una profonda trasformazione strutturale (cfr. il riquadro: Struttura ed evoluzione
del settore agricolo), è cresciuto nel Nord Est e al Centro e si è contratto nel Nord Ovest
e nel Mezzogiorno.
STRUTTURA ED EVOLUZIONE DEL SETTORE AGRICOLO
Nei due decenni scorsi il peso dell’agricoltura nell’economia italiana si è
ridotto, proseguendo una tendenza in atto da lungo tempo e comune a tutti i paesi
industrializzati: tra il 2000 e il 2020 il contributo del settore al valore aggiunto
complessivo è sceso dal 2,9 al 2,2 per cento1. Il calo ha interessato tutte le macroaree
ed è stato leggermente più marcato nel Nord Est, dove la quota è diminuita di quasi
un punto percentuale (al 2,5 per cento nel 2020). L’incidenza del settore primario si
è confermata superiore nel Mezzogiorno e meno rilevante nel Nord Ovest (3,9 e 1,3
per cento, rispettivamente).
Sulla base degli ultimi Censimenti generali dell’agricoltura dell’Istat, nel periodo
esaminato la superficie agricola utilizzata (SAU) si è ridotta (-4,9 per cento). La
flessione è stata più netta nelle regioni centrali; non ha interessato il Mezzogiorno,
in cui si è invece registrato un lieve incremento. Al Centro Nord è aumentata la
superficie coltivata a seminativi, arrivata a rappresentare circa due terzi della SAU
complessiva; nel Mezzogiorno la quota di queste colture è rimasta inferiore alla metà
(figura, pannello a). Tra i seminativi in tutto il Paese è sceso il peso delle produzioni
di cereali a favore di quelle foraggere. Nelle regioni meridionali è cresciuta l’area
destinata a prati e pascoli, che ha raggiunto il 30 per cento della SAU, a fronte di un
calo di quella dedicata a coltivazioni legnose, in particolare di olivo e vite.
Nel ventennio in esame si è osservato un processo di consolidamento del tessuto
produttivo in tutto il territorio nazionale: il numero di aziende si è dimezzato, e la
dimensione media è più che raddoppiata (a 11,1 ettari, da 5,5). I divari tra le aree si
Il 2020 è l’anno a cui si riferisce il più recente Censimento generale dell’agricoltura dell’Istat. Nel 2021, ultimo
anno per il quale sono disponibili i dati sul valore aggiunto, il peso del settore è rimasto inalterato.
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sono mantenuti ampi: nel 2020 la SAU media nel Mezzogiorno era circa la metà di
quella del Nord Ovest e inferiore del 29,3 e del 20,5 per cento a quella del Nord Est e
del Centro, rispettivamente (figura, pannello b). Tali differenze potrebbero riflettere
anche la specializzazione delle aree in tipologie di colture diverse.
Figura
Struttura del settore agricolo
(a) utilizzo dei terreni (1)
(valori percentuali)
(b) caratteristiche delle aziende
(indici: Italia=100; dati riferiti al 2020)
dimensione
media (4)
imprenditori
giovani (10)
40 imprenditori con
investimenti
innovativi (5)
Nord Ovest Nord Est
Centro
Sud e Isole
cereali
foraggere
altri seminativi (2)
prati e pascoli
olivo e vite
altre legnose (3)
capitalizzazione
agraria (6)
diploma o laurea
redditività
della terra (8)
Nord Ovest
Nord Est
produttività del
lavoro (7)
Centro
Sud e Isole
Fonte: per il pannello (a), Istat, Censimenti generali dell’agricoltura; per il pannello (b), elaborazioni su dati pseudonimizzati forniti
dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea) e Istat, Censimenti generali dell’agricoltura e Conti
economici territoriali.
(1) Distribuzione della superficie agricola utilizzata (SAU) rispetto alle diverse tipologie di coltivazioni. – (2) Comprende anche le
colture ortive. – (3) Comprende principalmente le piante da frutto. – (4) SAU/numero di aziende. – (5) Aziende che hanno effettuato
almeno un investimento innovativo nel triennio 2018-2020. – (6) Capitale totale agrario (macchine, impianti, bestiame)/unità di
lavoro. – (7) Valore aggiunto/unità di lavoro. – (8) Redditi netti/SAU. – (9) Quota di aziende con imprenditore diplomato o laureato. –
(10) Quota di aziende con imprenditore di età inferiore a 45 anni.
Alla maggiore dimensione media delle imprese settentrionali si è associata una
più alta spesa per investimenti: secondo i Conti economici territoriali dell’Istat, nel
periodo 2000-2020 quella realizzata al Nord, in rapporto alle unità di lavoro, è
stata pari al triplo e al doppio di quella rilevata nelle regioni meridionali e centrali,
rispettivamente. I dati dell’ultimo Censimento confermano la più elevata propensione
all’innovazione delle aziende settentrionali: nel triennio 2018-2020 il 22,2 per cento
di queste ha effettuato almeno un investimento innovativo, quota che sale al 43,2
per le aziende con imprenditori giovani, valori di circa quattro e due volte superiori
a quelli osservati nel Mezzogiorno e al Centro. Secondo i dati del Consiglio per la
ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), nel 2020 l’indice di
capitalizzazione, calcolato come rapporto tra il capitale totale agrario e le unità di
lavoro, era al Nord più che doppio rispetto al Mezzogiorno e superiore di oltre il 40
per cento nel confronto con il Centro. Questi divari si riflettono sulla produttività
del lavoro, che nel Mezzogiorno mostra un forte ritardo: nel 2020 la produzione
per unità di lavoro era inferiore del 50,5 e del 38,2 per cento ai valori registrati
rispettivamente nelle regioni settentrionali e centrali (tav. a2.4)2.
Anche i dati Crea evidenziano che il valore aggiunto per unità di lavoro e la redditività della terra (redditi netti/SAU)
nelle regioni meridionali si collocano molto al di sotto di quelli delle altre aree (figura, pannello b).
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Economie regionali
Nei venti anni considerati la produttività è tuttavia cresciuta intensamente
in tutte le ripartizioni; nelle regioni del Nord ha beneficiato anche della dinamica
positiva del prodotto, nelle altre è invece interamente legata al calo, di oltre un quarto,
delle unità lavorative. All’incremento della produttività potrebbe avere contribuito
anche il sensibile miglioramento del livello medio di istruzione degli imprenditori
osservato in ogni macroarea: la quota di quelli che possedeva almeno un diploma è
aumentata nella media nazionale dal 19,3 al 41,2 per cento, risultando quasi doppia
nelle aziende gestite da giovani. L’incidenza di queste ultime è rimasta comunque
ridotta: nel 2020 solo il 13,5 per cento degli imprenditori aveva un’età inferiore a
45 anni, mentre il 57,5 ne aveva almeno 60 (erano 17,7 e 50,7 per cento nel 2000,
rispettivamente).
La domanda estera
Nel 2022 è proseguita l’espansione delle esportazioni a valori correnti in tutte
le macroaree, in parte sospinte dal rialzo dei valori medi unitari (fig. 2.3). Nostre
elaborazioni suggeriscono che le vendite estere sono aumentate anche in termini reali
(tav. a2.5); l’incremento più elevato si è verificato al Centro, per effetto della dinamica
molto positiva del settore farmaceutico marchigiano. Le esportazioni sono salite a
un tasso inferiore rispetto alla domanda potenziale nel Nord Est e, se si escludono i
prodotti petroliferi, nel Mezzogiorno; a un tasso superiore nelle restanti macroaree.
Figura 2.3
Andamento delle esportazioni (1)
(numeri indice: media 2008=100)
1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1°
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Sud e Isole senza petrolio
Fonte: elaborazioni su dati Istat.
(1) Dati semestrali a prezzi correnti.
Nel primo semestre del 2023 le vendite estere in termini nominali hanno
rallentato in tutto il Paese, in special modo nel Nord Est e nel Mezzogiorno (tav. a2.6).
Circa la metà della crescita osservata nel Nord Ovest è attribuibile all’esportazione di
mezzi di trasporto, mentre al Centro un contributo attorno al 70 per cento è stato
fornito dal settore farmaceutico. Nel Mezzogiorno l’andamento positivo di questi due
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settori ha compensato la netta diminuzione delle esportazioni di prodotti petroliferi.
L’espansione nel Nord Est è riconducibile unicamente all’aumento delle vendite di
macchinari.
Nella prima metà dell’anno in corso le vendite verso i paesi dell’Unione europea
sono cresciute in ogni macroarea ad eccezione del Centro (tav. a2.7). I flussi commerciali
verso il resto del mondo si sono ampliati ovunque, in maniera più marcata nel Nord
Ovest (in particolare verso il Nord America) e al Centro (soprattutto verso l’Asia).
È inoltre proseguito il calo delle esportazioni in Russia, che già prima dell’invasione
dell’Ucraina incidevano in misura limitata sul totale delle vendite estere.
Anche le importazioni dalla Russia si sono ridotte: la loro quota sul totale
è passata da 3,9 per cento del 2021 a 0,9 del primo semestre del 2023 (da 5,9 a
0,4 per cento nel Mezzogiorno, dove pesavano maggiormente gli acquisti di beni
energetici). L’approvvigionamento di input produttivi scarsamente sostituibili da
paesi a rischio geopolitico può rappresentare una criticità rilevante per l’attività del
settore manifatturiero, principalmente al Centro e nel Nord Ovest (cfr. il riquadro:
La dipendenza strategica dall’estero).
LA DIPENDENZA STRATEGICA DALL’ESTERO
In un recente studio1 la Commissione europea ha proposto una metodologia
per identificare i fattori produttivi non energetici importati che risultano
particolarmente esposti al rischio di indisponibilità, a causa della notevole
concentrazione dell’offerta o della limitata sostituibilità (input vulnerabili).
Applicando tale metodologia all’Italia, nel 2019 questi input erano 333 su circa
5.000 beni oggetto di analisi2 (cfr. il riquadro: L’autonomia strategica del settore
produttivo italiano del capitolo 6 nella Relazione annuale sul 2022).
Nel 2019 il Centro e il Nord Est erano le macroaree con la maggiore quota
di importazioni di input vulnerabili da parte di imprese appartenenti al settore
manifatturiero3 (figura A, pannello a). Al Centro Nord le importazioni di questi
beni si concentravano tra le materie prime e i semilavorati in metallo, oltre che tra i
prodotti della chimico-farmaceutica; nel Sud e nelle Isole erano ripartite in misura
simile tra materie prime alimentari, minerali, prodotti agricoli e tessili (figura A,
pannello b).
International Relations Committee Work stream on Open Strategic Autonomy, The EU’s Open Strategic
Autonomy from a central banking perspective. Challenges to the monetary policy landscape from a changing
geopolitical environment, European Central Bank, Occasional Paper Series, 311, 2023.
I beni oggetto di analisi sono materie prime non energetiche, beni intermedi e beni capitali, con valore delle
importazioni superiore al milione di euro. Questi input sono definiti vulnerabili quando caratterizzati dalla
compresenza di tre condizioni: (a) elevata concentrazione delle importazioni per paese fornitore (indice
di Herfindahl superiore a 0,4); (b) quota di importazioni da paesi extra UE superiore al 50 per cento;
(c) difficoltà di sostituzione delle importazioni con beni prodotti in paesi della UE (rapporto tra importazioni
ed esportazioni superiore a 1).
L’analisi è riferita alla sola manifattura sia per la difficoltà di definire il valore aggiunto per le imprese
appartenenti ad alcuni comparti dei servizi, sia per l’utilizzo dei dati sui bilanci delle società di capitali,
maggiormente rappresentativi delle dinamiche aggregate delle imprese manifatturiere.
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Figura A
Input vulnerabili del settore manifatturiero nel 2019 (1)
(valori percentuali)
(a) quota sulle importazioni
delle macroaree (2)
(b) tipologia
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Nord Ovest
Nord Est
Centro
prodotti agricoli
prodotti alimentari
chimico-farmac.
Sud e Isole
minerali
sistema moda
metalli
altro
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Agenzia delle Dogane e dei monopoli, Cerved e Infocamere. Cfr. nelle Note metodologiche. L’economia
delle regioni italiane sul 2022 la voce Dipendenza strategica dall’estero.
(1) Dati riferiti alle imprese per le quali è stato possibile attribuire la macroarea della sede legale e il settore Ateco. – (2) Le quote sono
calcolate come rapporto tra il valore delle importazioni di prodotti vulnerabili e quello dell’import di materie prime non energetiche, beni
intermedi e beni capitali con valore superiore a 1 milione di euro.
Alla luce di queste informazioni e di quelle relative ai paesi di provenienza,
è possibile simulare4 l’impatto sul valore aggiunto del settore manifatturiero di
un’eventuale riduzione delle importazioni di input vulnerabili da paesi ad alto
rischio geopolitico5, non compensata da acquisti da altri paesi. Considerando
un calo delle importazioni di tali beni del 25 o del 50 per cento e ipotizzando
diversi livelli di elasticità di sostituzione tra input vulnerabili e non, l’impatto
complessivo sul valore aggiunto manifatturiero oscillerebbe tra -0,1 e -6,7 per
cento, con flessioni generalmente più marcate al Centro e nel Nord Ovest (figura
B, pannello a). La variabilità dell’impatto dipende dall’interazione tra l’entità del
calo delle importazioni dei beni vulnerabili e la difficoltà delle imprese di sostituirli
nel processo produttivo; nel medio periodo queste difficoltà potrebbero essere
attenuate da una maggiore capacità delle imprese di riorganizzare i propri canali di
approvvigionamento o le tecnologie di produzione. I settori più colpiti sarebbero il
tessile al Centro e nel Mezzogiorno, il farmaceutico nel Nord Est, l’abbigliamento
nel Nord Ovest (figura B, pannello b).
La metodologia di stima utilizza anche le informazioni sui settori di appartenenza delle imprese importatrici;
cfr. R. Bachmann, D. Baqaee, C. Bayer, M. Kuhn, A. Löschel, B. Moll, A. Peichl, K. Pittel e M. Schularick,
What if? The economic effects for Germany of a stop of energy imports from Russia, Cesifo, Econpol Policy
Report, 36, 6, 2022.
Sono definiti paesi ad alto rischio geopolitico quelli che non hanno espresso un voto favorevole alla risoluzione
ONU del 23 febbraio 2023 sulla pace in Ucraina. Questa definizione si basa sulla metodologia di B. Javorcik,
L. Kitzmüller, H. Schweiger e M. Yildirim, Economic costs of friend-shoring, CEPR Discussion Paper,
17764, 2022.
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Figura B
Valore aggiunto manifatturiero a rischio nel 2019
(valori percentuali)
(a) per macroarea (impatto complessivo) (1)
(b) per settore delle imprese importatrici (2)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Agenzia delle Dogane e dei monopoli, Cerved e Infocamere. Cfr. nelle Note metodologiche. L’economia
delle regioni italiane sul 2022 la voce Dipendenza strategica dall’estero.
(1) Gli estremi delle barre rappresentano l’impatto massimo e minimo sul valore aggiunto; gli estremi dell’area rossa indicano il 25°
e il 75° percentile della distribuzione. – (2) Impatto massimo sul valore aggiunto di un calo del 50 per cento delle importazioni da
paesi ad alto rischio geopolitico. Sono riportati i settori nei quali per almeno una macroarea si osserverebbe una flessione superiore
al 5 per cento. I numeri sull’asse delle ascisse corrispondono ai settori Ateco a 2 cifre: 13 industrie tessili; 14 confezione di articoli di
abbigliamento, confezione di articoli in pelle e pelliccia; 21 fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e di preparati farmaceutici;
24 metallurgia; 26 fabbricazione di computer e prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e
di orologi; 30 fabbricazione di altri mezzi di trasporto; 32 altre industrie manifatturiere; 33 riparazione, manutenzione ed installazione di
macchine ed apparecchiature.
La redditività e l’indebitamento delle imprese
Nel 2022 i risultati d’esercizio delle società non finanziarie sono rimasti in linea
con quelli dell’anno precedente. Secondo i dati Invind, la quota di imprese che hanno
dichiarato di avere chiuso il bilancio in utile o in pareggio è lievemente salita nel Nord e
si è confermata sostanzialmente stabile al Centro e nel Mezzogiorno; si è mantenuta su
livelli nel complesso leggermente superiori a quelli precedenti la pandemia (fig. 2.4.a).
Il miglioramento della redditività è stato marcato in tutte le aree per le imprese
delle costruzioni, che hanno beneficiato del sostegno derivante dai bonus fiscali per la
riqualificazione del patrimonio abitativo.
In base ai dati di Sondtel, la quota di aziende dell’industria e dei servizi che
prevedono di chiudere l’esercizio 2023 in utile è aumentata ovunque rispetto alla
rilevazione dell’anno precedente, riflettendo anche la progressiva riduzione delle
difficoltà connesse con l’approvvigionamento di beni intermedi e i rincari energetici.
Anche tra le imprese delle costruzioni la quota di chi prevede di chiudere il bilancio in
attivo è salita nell’intero Paese.
L’indice di liquidità finanziaria, definito dal rapporto tra le attività più liquide
detenute presso il sistema bancario e i debiti a breve scadenza verso banche e società
finanziarie, è diminuito ovunque nel primo trimestre del 2022 (fig. 2.4.b); ha risentito
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dell’incremento dell’indebitamento a breve termine, dovuto anche al rialzo dei costi
di approvvigionamento. Nei mesi successivi e durante i primi due trimestri dell’anno
in corso, nonostante il recente calo dei depositi, l’indicatore è rimasto sostanzialmente
stabile, rispecchiando anche l’attenuazione dei rincari energetici; continua comunque
a collocarsi su valori nettamente superiori a quelli registrati nel periodo precedente
l’emergenza sanitaria, soprattutto al Centro e nel Mezzogiorno.
Figura 2.4
Risultato economico e indice di liquidità finanziaria
(valori percentuali)
(a) quota di imprese in utile o in pareggio
(b) indice di liquidità finanziaria (1)
Nord Ovest
Nord Est
1°2°3°4°1°2°3°4°1°2°3°4°1°2°3°4°1°2°3°4°1°2°3°4°1°2°
Centro
Sud e Isole
Fonte: per il pannello (a), Banca d’Italia, Invind; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Indagine
sulle imprese industriali e dei servizi (Invind). Per il pannello (b), segnalazioni di vigilanza e Centrale dei rischi.
(1) L’indice di liquidità è calcolato come rapporto tra l’avanzo, costituito dai depositi con scadenza entro l’anno e dai titoli quotati detenuti
presso le banche, e il disavanzo, dato dai prestiti con scadenza entro l’anno ricevuti da banche e società finanziarie.
La crescita dei prestiti è stata sostenuta nella prima parte del 2022, per
effetto dell’andamento positivo del quadro economico; i finanziamenti hanno poi
progressivamente rallentato nel semestre successivo in tutte le aree geografiche e in
ogni comparto produttivo, fino a risultare nel complesso in contrazione al Centro e
nel Nord Ovest (cfr. il paragrafo: I finanziamenti e la qualità del credito del capitolo 6),
a seguito del peggioramento congiunturale e dell’aumento dei tassi di interesse che
hanno scoraggiato la domanda di credito.
Nel primo semestre del 2023 il calo dei finanziamenti bancari si è esteso a
tutti i settori in ciascuna macroarea, ad eccezione delle erogazioni alle costruzioni
nel Mezzogiorno, per le quali si è comunque osservato un rallentamento (fig. 2.5 e
tav. a2.8). La diminuzione ha riflesso anche una decelerazione degli investimenti,
nonché l’ampia disponibilità di fonti di finanziamento interne; ha interessato
soprattutto le piccole imprese ed è stata più marcata al Centro, dove ha pesato anche
la contrazione dei finanziamenti ad alcune aziende di grande dimensione attive nei
comparti della manifattura e dei servizi; è stata invece più contenuta nel Mezzogiorno
in tutti i comparti produttivi.
Nell’anno in corso è proseguito l’incremento del costo del credito iniziato nel
2022. I tassi di interesse mediamente applicati ai prestiti connessi con le esigenze di
liquidità delle imprese sono saliti con un andamento simile nelle diverse aree e tra
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le diverse branche di attività economica; rispetto alla fine del 2022 il rialzo è stato
solo lievemente più ampio per le aziende medio-grandi e per quelle operanti al Nord.
Le condizioni di costo si sono tuttavia confermate relativamente meno favorevoli, in
media, per le imprese delle costruzioni, per quelle di minore dimensione e per le aziende
del Mezzogiorno (tav. a6.4). Il tasso annuo effettivo globale (TAEG) mediamente
applicato ai nuovi finanziamenti a fini di investimento, rappresentati da operazioni a
scadenza prolungata, è cresciuto in misura significativa in tutte le aree geografiche.
Figura 2.5
Prestiti bancari alle imprese per branca di attività economica
(dati mensili; variazioni percentuali sui 12 mesi)
(a) manifattura
(b) costruzioni
(c) servizi
2022 ’23
Nord Ovest
Nord Est
2022 ’23
Centro
2022 ’23
Sud e Isole
Fonte: segnalazioni di vigilanza; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Prestiti bancari.
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LE FAMIGLIE
Nel 2022 è proseguita in tutte le macroaree, anche grazie all’incremento
dell’occupazione, l’espansione del reddito disponibile delle famiglie; l’aumento dei
prezzi ne ha però eroso il valore reale, che risulta al di sotto dei livelli precedenti
la pandemia. I consumi, pur riflettendo il peggioramento della fiducia per effetto
dell’aggressione russa dell’Ucraina, hanno continuato a crescere in ogni area del
Paese; sono però rimasti inferiori ai valori antecedenti la crisi sanitaria.
Le famiglie meno abbienti hanno risentito maggiormente delle pressioni
inflazionistiche, anche a causa della composizione del loro paniere di spesa: in tutte
le ripartizioni la quota di nuclei in povertà assoluta è salita; l’incidenza si conferma
più elevata nel Mezzogiorno, soprattutto per le famiglie con minori e per quelle con
stranieri.
La ricchezza netta complessiva delle famiglie è diminuita nel 2022, in seguito
alla flessione dei prezzi delle attività finanziarie. I depositi bancari hanno rallentato,
rispecchiando un cambiamento nelle preferenze delle famiglie per la composizione
del proprio portafoglio, per poi ridursi nel primo semestre del 2023 (specialmente
nel Nord Ovest), trainati dal calo dei conti correnti.
Lo scorso anno la crescita dei prezzi delle abitazioni, più marcata nelle aree
settentrionali del Paese, ha sostenuto la ricchezza reale delle famiglie, ma si è
mantenuta ben al di sotto dell’inflazione al consumo in tutte le ripartizioni.
Nel primo semestre del 2023 i prezzi delle case hanno continuato ad aumentare
nelle sole regioni settentrionali. Al contempo, il numero di transazioni immobiliari
è sceso ovunque; il flusso di nuovi mutui si è decisamente ridotto a seguito del
rapido rialzo dei tassi di interesse e, in generale, dell’irrigidimento delle condizioni
di offerta.
Il reddito, i consumi e la povertà
Il reddito. – Nel 2022 il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è
cresciuto a tassi sostenuti a prezzi correnti, ma si è contratto in termini reali a causa
dell’elevata inflazione. Secondo nostre elaborazioni su dati di fonte Prometeia, la
dinamica è stata sostanzialmente simile tra aree (fig. 3.1); i redditi in termini reali
sono rimasti al di sotto di quelli precedenti l’emergenza sanitaria, soprattutto nel
Nord Est e al Centro.
I redditi da lavoro dipendente, che costituiscono oltre tre quinti del reddito
familiare disponibile, hanno beneficiato ovunque dell’espansione dell’occupazione
(cfr. il capitolo 4: Il mercato del lavoro). Fra i trasferimenti, si è ridotto significativamente
il contributo delle integrazioni salariali, mentre sono aumentate le prestazioni sociali
anche per effetto delle misure di contrasto all’impatto dei rincari energetici e di
sostegno delle famiglie in condizioni di difficoltà (cfr. il capitolo 10: La finanza
pubblica nella Relazione annuale sul 2022).
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Figura 3.1
Reddito disponibile delle famiglie (1)
(variazioni percentuali)
’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
reale
nominale
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Conti economici territoriali, e Prometeia per il 2022; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle
regioni italiane sul 2022 la voce Reddito e consumi delle famiglie.
(1) Variazioni percentuali sull’anno precedente del reddito disponibile delle famiglie consumatrici residenti nella macroarea al lordo degli
ammortamenti. I valori per il 2022 sono relativi al totale delle famiglie consumatrici e produttrici.
Secondo nostre elaborazioni su
dati relativi a famiglie in cui non sono
presenti pensionati e la persona di
riferimento ha meno di 65 anni, la quota
degli individui in nuclei familiari in cui
nessun componente è occupato è scesa
in tutte le macroaree, con maggiore
intensità al Centro e nel Mezzogiorno
(fig. 3.2). In quest’ultima ripartizione
tale quota resta tuttavia tra le più alte
a livello europeo (cfr. il riquadro:
Disuguaglianza dei redditi da lavoro e
povertà lavorativa nelle macroaree).
Figura 3.2
Individui in famiglie senza
redditi da lavoro (1)
(valori percentuali)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
È diminuito ovunque il ricorso
al reddito di cittadinanza (RdC),
anche se in misura meno intensa nel Fonte: elaborazioni su dati Istat, RFL.
Quota di individui in famiglie in cui nessun componente è occupato.
Mezzogiorno, dove l’incidenza dei (1)
Si considerano le famiglie in cui non sono presenti pensionati e dove
nuclei beneficiari di questa misura la persona di riferimento ha un’età compresa tra 15 e 64 anni.
sul totale delle famiglie residenti si
mantiene molto più elevata rispetto al resto del Paese (8,4 per cento contro 4,0 nella
media italiana; fig. 3.3) e dove anche l’importo medio erogato è maggiore (606 euro
mensili, contro 528).
Il Governo ha modificato la disciplina dell’RdC per il 2023 e in sua sostituzione ha
istituito dal prossimo anno l’assegno di inclusione (AdI; cfr. il capitolo 5: Le famiglie nella
Relazione annuale sul 2022). L’ammissione all’AdI è soggetta ad alcune condizioni sulla
composizione del nucleo familiare, unitamente ad altre inerenti reddito, patrimonio e
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residenza. In particolare l’introduzione
del requisito sulla presenza di almeno
una persona minorenne o con più di 59
anni comporterebbe, in base al modello
di microsimulazione della Banca d’Italia
(BIMic), una riduzione della platea
dei nuclei potenzialmente beneficiari
rispetto a quella dell’RdC di circa il
30 per cento nel complesso del Paese,
senza sostanziali differenze tra Centro
Nord e Mezzogiorno1. Per le persone
in condizione di disagio economico
in età da lavoro, il Governo ha inoltre
introdotto, a partire dal 1° settembre
2023, il supporto per la formazione e
il lavoro (SFL), un’indennità di durata
limitata (dodici mesi) e non rinnovabile.
Figura 3.3
Famiglie beneficiarie di RdC e PdC (1)
(valori percentuali)
’21 ’22 ’21 ’22
Nord Ovest Nord Est
’21 ’22 ’21 ’22 ’21 ’22
Centro Sud e Isole
Italia
Fonte: elaborazioni su dati INPS, Osservatorio Reddito e Pensione di
Cittadinanza e Istat, RFL.
(1) Quote percentuali di famiglie beneficiarie del reddito di cittadinanza
(RdC) e della pensione di cittadinanza (PdC) sul totale delle famiglie
residenti. Il dato sui beneficiari è relativo al mese di dicembre; il
numero delle famiglie residenti è stimato con riferimento alla media
dell’anno.
Per le famiglie con figli a carico
di età inferiore a 21 anni, da marzo
del 2022 è iniziata l’erogazione
dell’assegno unico e universale. In base ai dati dell’INPS, lo scorso anno il sussidio ha
riguardato oltre 9,6 milioni di figli in Italia, corrispondenti a circa l’88 per cento della
platea di riferimento, con percentuali di copertura più alte nel Mezzogiorno (oltre
il 92 per cento; 3,5 milioni di giovani). La diffusione della misura si è confermata
ampia anche nei primi sei mesi del 2023.
DISUGUAGLIANZA DEI REDDITI DA LAVORO E POVERTÀ LAVORATIVA NELLE MACROAREE
Tra le principali economie dell’area dell’euro, in Italia e in Spagna la
disuguaglianza del reddito da lavoro, calcolata per la popolazione tra 15 e 64
anni, è più elevata sia tra le famiglie1 sia tra gli individui, considerando l’insieme
degli occupati e dei non occupati (figura A). Nel nostro paese emergono tuttavia
ampie eterogeneità territoriali: la dispersione reddituale è infatti particolarmente
marcata nel Mezzogiorno ma assai più contenuta al Centro Nord, dove si colloca
su valori simili a quelli di Francia e Germania e ampiamente inferiori a quelli
della Spagna.
Alti livelli di disuguaglianza dei redditi da lavoro tra le persone nella fascia di
età 15-64 anni possono derivare da bassi tassi di occupazione o da una notevole
G. Bovini, E. Ciani, M. De Philippis e S. Romano, Labour income inequality and in-work poverty: a comparison
between euro area countries, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 806, 2023.
Le altre condizioni sulla composizione del nucleo familiare riguardano la presenza di individui con disabilità o
assistititi dai servizi socio-sanitari; queste informazioni non sono disponibili nei dati utilizzati. Per approfondimenti,
cfr. il riquadro: La revisione delle misure di contrasto alla povertà del capitolo 5 nella Relazione annuale sul 2022 e
G. Bovini, E. Dicarlo e A. Tomasi, La revisione delle misure di contrasto alla povertà in Italia, Banca d’Italia,
Questioni di economia e finanza, di prossima pubblicazione.
Economie regionali
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dispersione della remunerazione del
lavoro tra gli occupati. Il primo di
questi fattori rileva maggiormente in
Italia, soprattutto al Sud e nelle Isole,
dove una quota rilevante di persone
tra 15 e 64 anni non percepisce alcun
reddito da lavoro2 (figura B, pannello a).
La dispersione dei redditi da lavoro fra i
soli occupati è invece inferiore a quella
della Spagna e comparabile a quella di
Francia e Germania; è molto simile tra
Centro Nord e Mezzogiorno (figura A).
Il basso tasso di occupazione, che
riguarda soprattutto le donne, spiega
anche la maggiore disuguaglianza dei
redditi da lavoro familiari equivalenti
osservata nel Sud e nelle Isole rispetto
al resto del Paese e alle altre economie
analizzate. Nel Mezzogiorno sono più
diffuse le famiglie senza percettori di
Figura A
Disuguaglianza del reddito
da lavoro annuale (1)
(valori percentuali)
Centro
Sud e
Isole
Italia
Germania Francia
Spagna
redditi familiari equivalenti
redditi individuali (solo tra gli occupati)
redditi individuali (tra gli occupati e i non occupati)
Fonte: indagine Eurostat sul reddito e le condizioni di vita (European
Union statistics on income and living conditions, EU?SILC). Dati
riferiti ai redditi del 2018.
(1) La disuguaglianza è misurata con l’indice di Gini tra le persone
di età compresa tra 15 e 64 anni; cfr. nelle Note metodologiche.
L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Disuguaglianza
dei redditi da lavoro e povertà lavorativa nelle macroaree.
Figura B
Non occupazione e disuguaglianza del reddito da lavoro
(valori percentuali)
(a) scomposizione della disuguaglianza del
reddito da lavoro individuale (1)
(b) distribuzione degli individui tra famiglie,
per numero di occupati (2)
Centro
Sud e
Isole
Italia
Centro
Germania Francia
Sud e
Isole
Spagna
disuguaglianza dovuta alla dispersione di reddito tra coloro con
reddito da lavoro positivo
Italia
Germania Francia
nessun occupato
1 occupato
Spagna
2 o più occupati
disuguaglianza dovuta alla quota di persone senza reddito da lavoro
Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC. Dati riferiti ai redditi del 2018.
(1) La disuguaglianza complessiva è misurata con l’indice di Gini calcolato sul reddito da lavoro individuale tra le persone di età
compresa tra 15 e 64 anni; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Disuguaglianza dei redditi
da lavoro e povertà lavorativa nelle macroaree. – (2) Quota di individui di età compresa tra 15 e 64 anni appartenenti a famiglie con
almeno 2 adulti, per numero di occupati nel nucleo familiare. Per la definizione di occupato, cfr. nelle Note metodologiche. L’economia
delle regioni italiane sul 2022 la voce Disuguaglianza dei redditi da lavoro e povertà lavorativa nelle macroaree.
E. Ciani e R. Torrini, The geography of Italian income inequality: recent trends and the role of employment, Banca
d’Italia, Questioni di economia e finanza, 492, 2019.
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Economie regionali
reddito o nelle quali è occupato un
solo componente, generalmente uomo
(oltre il 70 per cento dei casi): tra le
persone di età compresa tra 15 e 64
anni che vivono in nuclei con almeno
due adulti, nel Mezzogiorno circa il
60 per cento appartiene a famiglie
monoreddito o senza redditi da lavoro;
al Centro Nord e nelle principali
economie dell’area dell’euro questa
quota è invece inferiore al 40 per cento
(figura B, pannello b).
Figura C
Quota di lavoratori poveri e
a bassa retribuzione
(valori percentuali)
Rispetto a Francia e Germania,
Centro
Sud e
Italia
Isole
l’Italia presenta infine una percentuale
Germania Francia Spagna
maggiore di lavoratori poveri, ossia
lavoratori poveri (1)
che vivono in famiglie con un reddito
lavoratori con basse retribuzioni individuali (2)
disponibile annuo equivalente (che
include anche le fonti di reddito Fonte: elaborazioni su dati EU-SILC. Dati riferiti ai redditi del
Cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni
diverse da quelle da lavoro) inferiore al 2018.
italiane sul 2022 la voce Disuguaglianza dei redditi da lavoro e
povertà
lavorativa nelle macroaree.
60 per cento della mediana nazionale.
(1) Lavoratori tra 15 e 64 anni che vivono in famiglie con un
Il valore osservato al Sud e nelle Isole reddito disponibile annuo equivalente (inclusivo di tutte le fonti
inferiore al 60 per cento della mediana nazionale. –
è oltre il doppio di quelli del Centro di(2)reddito)
Lavoratori tra 15 e 64 anni che percepiscono un reddito da
Nord, della Germania e della Francia lavoro annuo inferiore al 60 per cento della mediana nazionale.
(figura C). Ciò discende sia dall’elevata
presenza di lavoratori a bassa retribuzione (cfr. anche il riquadro: L’andamento del
lavoro a bassa retribuzione nelle macroaree del capitolo 4), sia dall’alta probabilità
che questi vivano in nuclei senza altri componenti che lavorano.
I consumi. – Nel 2022, secondo le stime di Prometeia, la ripresa dei consumi
in termini reali è proseguita in tutte le ripartizioni, con un’intensità simile a quella
dell’anno precedente e leggermente superiore nelle regioni settentrionali (fig. 3.4.a).
Tuttavia i livelli del 2019 non sono stati pienamente recuperati, con un divario
lievemente più ampio per il Nord Est e per il Centro. La dinamica dei consumi ha
beneficiato dell’espansione dell’occupazione, ma è stata frenata dal rialzo dei prezzi
e dal peggioramento della fiducia delle famiglie dopo lo scoppio della guerra in
Ucraina (fig. 3.4.b).
L’incremento della spesa nel 2022 è stato più marcato per la componente
destinata all’acquisto di servizi, che incide per circa la metà del totale nelle regioni
centro-settentrionali e per poco meno in quelle meridionali.
A fronte della dinamica più sostenuta dei consumi rispetto ai redditi, la
propensione al risparmio, che era fortemente cresciuta durante la crisi sanitaria,
ha continuato a diminuire in tutte le macroaree nel 2022, permanendo su livelli
strutturalmente più contenuti nel Mezzogiorno (cfr. il capitolo 5: Le famiglie nella
Relazione annuale sul 2022).
Economie regionali
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Figura 3.4
Consumi e clima di fiducia dei consumatori
(a) consumi (1)
(variazioni percentuali)
(b) clima di fiducia dei consumatori (2)
(numeri indice: 2010=100)
8 120
4 115
0 110
-4 105
-8 100
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: per il pannello (a), elaborazioni su dati Istat, Conti economici territoriali e Prometeia per il 2022; per il pannello (b), elaborazioni su
dati Istat, Indagine sulla fiducia dei consumatori. Cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Reddito
e consumi delle famiglie.
(1) Variazioni percentuali dei consumi nella macroarea rispetto all’anno precedente; valori a prezzi costanti. – (2) Dati mensili destagionalizzati;
medie mobili dei 3 mesi terminanti in quello di riferimento.
Nella prima metà del 2023, secondo i Conti economici trimestrali dell’Istat
riferiti all’intero Paese, la dinamica dei consumi in termini reali, pur sostenuta dalla
componente della spesa per servizi, si è progressivamente indebolita.
La povertà. – Nonostante l’incremento occupazionale abbia interessato soprattutto
le famiglie meno abbienti2, secondo i dati dell’Istat nel 2022 l’incidenza della povertà
assoluta è aumentata in tutte le ripartizioni, risentendo della significativa erosione del
potere d’acquisto che ha interessato in particolare le famiglie con livelli di consumo
più bassi. La quota di nuclei in povertà assoluta si è collocata nella media del Paese
all’8,3 per cento (pari a 2,2 milioni di famiglie), dal 7,7 nel 20213; si è confermata
più elevata nel Sud e nelle Isole (10,7 per cento) e più contenuta nel Nord (7,5) e al
Centro (6,4).
L’aumento della povertà assoluta ha penalizzato in particolare le famiglie con
stranieri nel Mezzogiorno e al Centro. La crescita ha riguardato in misura simile le
famiglie senza minori al loro interno e quelle con almeno un minore; l’incidenza del
fenomeno rimane tuttavia più marcata fra queste ultime, specialmente nelle regioni
meridionali (14,4 per cento, 4 punti percentuali in più di quelle centro-settentrionali).
G. Dachille, M. Paiella, A. Dalla Zuanna ed E. Viviano, L’impatto distributivo della crescita occupazionale e
dell’inflazione: 2018-2021, Banca d’Italia e INPS, “Note Covid-19”, 31 maggio 2023.
Una famiglia è considerata in povertà assoluta se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore al valore
monetario, a prezzi correnti, di un paniere di beni e servizi considerati essenziali; tale valore è definito in base
all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza. L’Istat ha recentemente
rivisto la metodologia di stima della povertà assoluta (cfr. Istat, Le statistiche dell’Istat sulla povertà. Anno 2022,
comunicato stampa del 25 ottobre 2023). La revisione ha comportato un leggero incremento dell’incidenza a
livello nazionale per il 2021 (al 7,7 per cento, dal 7,5). La correzione al rialzo è stata lievemente più marcata per
il Centro; il differenziale tra il Nord e il Mezzogiorno è rimasto sostanzialmente invariato.
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Economie regionali
I rincari dei beni energetici nel 2022, seppure mitigati dagli interventi governativi,
potrebbero avere accresciuto il rischio di povertà energetica, una condizione
strutturalmente più diffusa nel Sud e nelle Isole (cfr. il riquadro: L’aumento dei prezzi
al consumo e la povertà energetica).
L’AUMENTO DEI PREZZI AL CONSUMO E LA POVERTÀ ENERGETICA
L’inflazione al consumo ha raggiunto il massimo nell’ultima parte del
2022, registrando valori particolarmente alti soprattutto nelle Isole1. Nei primi
mesi di quest’anno la dinamica dei prezzi si è gradualmente attenuata e sono
contestualmente diminuiti anche i differenziali geografici (figura A, pannello
a). Lo scorso settembre in Italia l’inflazione sui dodici mesi, misurata dall’indice
nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), risultava pari al 5,3
per cento: era di poco inferiore nel Nord Est e nel Sud, lievemente superiore nel
Nord Ovest, al Centro e nelle Isole (tav. a3.1).
Figura A
Inflazione al consumo sui 12 mesi e contributo delle divisioni di spesa
(a) inflazione al consumo (1)
(variazioni percentuali)
(b) contributo delle divisioni di spesa
all’inflazione di settembre 2023
(variazioni e punti percentuali)
Italia
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Isole
Nord Nord Est Centro
Ovest
alimentari
abitaz., acqua,elettr.,combust.
mobili, articoli e servizi
per la casa
Isole
Italia
trasporti
servizi ricettivi e ristorazione
altro (2)
differenziale inflazionistico
Fonte: elaborazioni su dati Istat; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Aumento dei prezzi
al consumo e povertà energetica.
(1) Variazioni sui 12 mesi del NIC. – (2) Include le seguenti divisioni di spesa: bevande alcoliche e tabacchi; abbigliamento e calzature;
servizi sanitari e spese per la salute; comunicazioni; ricreazione, spettacoli e cultura; istruzione; altri beni e servizi.
A settembre il maggiore contributo alla dinamica dei prezzi è giunto
dai beni alimentari2, soprattutto nel Sud e nelle Isole (figura A, pannello b),
Per approfondimenti, cfr. il riquadro: L’aumento dei prezzi al consumo nelle macroaree, in Economia delle regioni
italiane. Dinamiche recenti e aspetti strutturali, Banca d’Italia, Economie regionali, 22, 2022.
Le voci di spesa considerate fanno riferimento alla classificazione dei consumi individuali secondo lo scopo
(Classification of individual consumption by purpose, Coicop) a due cifre utilizzata dall’Istat.
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dove il peso di queste voci nel paniere delle famiglie è più elevato. Seppure
ancora rilevante in tutte le aree, l’apporto dei consumi per l’abitazione (che
includono i beni energetici) è molto diminuito rispetto alla fine dello scorso
anno, per effetto soprattutto del deciso calo dei prezzi di gas ed energia elettrica.
L’inflazione è rimasta sostenuta per le restanti voci del paniere, in particolare
per i servizi ricettivi e di ristorazione: il loro contributo alla crescita dell’indice
NIC è risultato superiore nel Nord Est e al Centro nel confronto con le altre
ripartizioni, risentendo sia di una dinamica dei prezzi più accentuata, sia del
maggiore peso di queste voci nei panieri di consumo dei residenti. Nei mesi più
recenti è tornato a crescere il contributo delle spese per i trasporti, in misura
omogenea tra aree geografiche.
Figura B
Dalla metà del 2021 nell’intero
Differenziale di inflazione
Paese il tasso di inflazione è stato più
tra le famiglie nel primo e nell’ultimo
alto per le famiglie con minori livelli di
quinto di spesa a settembre 2023 (1)
spesa (primo quinto della distribuzione
(punti percentuali)
della spesa equivalente) rispetto
ai nuclei con consumi più elevati 4
(ultimo quinto). Tale differenziale ha
raggiunto il picco nell’ultima parte del
2022, con valori superiori alla media
nel Nord Ovest; dall’inizio del 2023,
in concomitanza con il calo dei prezzi 0
dei beni energetici, il differenziale si
è ridotto fortemente. A settembre di
quest’anno in Italia l’inflazione stimata -2 Nord Nord Est Centro Sud Isole Italia -2
Ovest
per le famiglie del primo quinto si
servizi ricettivi e ristorazione
alimentari
manteneva comunque superiore di
altro (2)
abitaz., acqua, elettr., combust.
differenziale inflazionistico
mobili, articoli e servizi per la casa
1,1 punti percentuali rispetto a quella
trasporti
dell’ultimo quinto, con un divario
lievemente più marcato nel Nord Est e Fonte: elaborazioni su dati Istat; cfr. nelle Note metodologiche.
delle regioni italiane sul 2022 la voce Aumento dei
nelle Isole (figura B). Il maggiore peso L’economia
prezzi al consumo e povertà energetica.
Differenza
tra l’inflazione sui 12 mesi stimata per le famiglie
dei beni alimentari e delle spese per
del primo e dell’ultimo quinto della distribuzione della spesa
l’abitazione e per le utenze nel paniere equivalente. – (2) Include le seguenti divisioni di spesa: bevande
e tabacchi; abbigliamento e calzature; servizi sanitari
delle famiglie meno abbienti tende alcoliche
e spese per la salute; comunicazioni; ricreazione, spettacoli e
ad ampliare il differenziale; di contro cultura; istruzione; altri beni e servizi.
altre voci, tra cui quelle relative ai
servizi ricettivi e di ristorazione ? che pure hanno avuto una dinamica dei prezzi
sostenuta ? contribuiscono a contenerlo, in quanto più rilevanti per le famiglie
con livelli di consumo superiori3.
I rincari potrebbero avere reso più difficile l’acquisto di beni energetici
soprattutto tra i nuclei con livelli di reddito inferiori. Nella media 2017-2021
L’aumento dei prezzi potrebbe anche essere stato sospinto dai maggiori consumi per servizi turistico-ricreativi
segnalati dalle famiglie più abbienti. Per maggiori dettagli, cfr. A. Colabella, E. Guglielminetti e C. Rondinelli,
The distribution and use of Italian households’ savings after the pandemic, Banca d’Italia, Questioni di economia
e finanza, 797, 2023.
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Economie regionali
l’incidenza delle famiglie in povertà
energetica4 era pari all’8,5 per cento,
con forti differenze a livello territoriale
(figura C). Nonostante il clima più
favorevole5, la percentuale di nuclei in
povertà energetica nel Mezzogiorno è
molto consistente, in particolare nelle
Isole dove il fenomeno interessa quasi
una famiglia su cinque. La diffusione
della povertà energetica è di gran lunga
più alta tra i nuclei in condizioni di
fragilità economica ? come quelli in
cui la persona di riferimento della
famiglia è in cerca di occupazione o ha
un basso livello di istruzione (tav. a3.2)
? o che vivono in case più vecchie,
generalmente caratterizzate da una
minore efficienza energetica (tav. a3.3).
Figura C
Quota di famiglie in povertà
energetica (1)
(valori percentuali)
Ovest
Nord Est Centro
Isole
Italia
Fonte: elaborazioni su dati Istat; cfr. nelle Note metodologiche.
L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Aumento dei
prezzi al consumo e povertà energetica.
(1) Media 2017-2021.
Per contrastare gli effetti regressivi dell’inflazione e sostenere i redditi delle
famiglie, nel 2021 e nel 2022 il Governo ha potenziato i bonus sociali sulle utenze
domestiche. Lo scorso anno, in base ai dati dell’Autorità di regolazione per energia,
reti e ambiente (ARERA), 3,7 milioni di famiglie hanno fatto ricorso al bonus
elettrico e 2,4 a quello per la fornitura di gas naturale; nel complesso i beneficiari
sono aumentati di oltre il 50 per cento rispetto al 20216. Nel Mezzogiorno quasi
un quinto delle utenze di elettricità e gas ha usufruito dell’agevolazione, a fronte
di valori più contenuti nelle altre aree (la media nazionale è stata per entrambi i
bonus di circa il 12 per cento).
Una famiglia è considerata in povertà energetica se l’accesso ai servizi energetici implica un impiego di risorse
superiore a quanto ritenuto socialmente accettabile, oppure se non è in grado di sostenere l’acquisto di un
paniere di beni e servizi energetici giudicati essenziali; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni
italiane sul 2022 la voce Aumento dei prezzi al consumo e povertà energetica.
In base ai dati Eurostat nel 2021 il riscaldamento delle abitazioni assorbiva oltre due terzi dei consumi di
energia delle famiglie italiane.
Dal 1° gennaio 2021 il bonus elettrico e quello per il gas sono concessi automaticamente a tutte le famiglie
che presentino la dichiarazione sostitutiva unica (DSU) e un’attestazione ISEE inferiore a 8.265 euro (soglia
innalzata a 12.000 per il 2022 e a 15.000 per il 2023). Precedentemente l’accesso al beneficio avveniva su
domanda degli interessati.
La ricchezza delle famiglie
Nel 2022 la ricchezza netta delle famiglie italiane, data dal valore delle
attività finanziarie e reali al netto delle passività, è scesa (-1,7 per cento, a fronte
di un aumento del 4,5 nel 2021) in seguito al deciso calo dei prezzi delle attività
finanziarie (cfr. il capitolo 5: Le famiglie nella Relazione annuale sul 2022). Sulla
base dei dati più recenti disponibili a livello territoriale, tra il 2008 e il 2021 il valore
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nominale della ricchezza netta è salito al Nord e, in misura minore, nel Mezzogiorno
(fig. 3.5.a); è rimasto invece complessivamente invariato al Centro, dove la più
consistente riduzione del valore delle attività reali è stata appena compensata dalla
crescita della componente finanziaria (fig. 3.5.b e tav. a3.4). Nel 2021 la ricchezza
netta era pari a 9,5 volte il reddito disponibile al Centro Nord e 7,1 volte nel
Mezzogiorno.
Figura 3.5
Ricchezza totale netta delle famiglie e sue componenti (1)
(a) dinamica
(numeri indice: 2008=100)
(b) composizione
(miliardi di euro)
5.000
5.000
4.000
4.000
3.000
3.000
2.000
2.000
1.000
1.000
’08 ’09 ’10 ’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21
90 -1.000
Nord Ovest Nord Est
Centro
Sud e Isole
-1.000
Nord Ovest
Nord Est
abitazioni
altre attività reali
Centro
Sud e Isole
attività finanziarie
passività finanziarie
ricchezza netta
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia e Istat; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Ricchezza
delle famiglie.
(1) La ricchezza totale netta delle famiglie è data dalla somma delle attività reali e finanziarie al netto delle passività.
La ricchezza reale e il mercato delle abitazioni. – Tra il 2008 e il 2021 il valore
corrente della ricchezza reale delle famiglie, costituita prevalentemente da abitazioni, è
diminuito del 4,6 per cento in termini nominali nel complesso del Paese; il calo è stato
molto marcato al Centro (-13,0 per cento) e quasi nullo nel Nord Est (-0,5). Nel 2021
il peso delle attività reali sulla ricchezza lorda variava tra il 47 per cento del Nord Ovest
(57 nel 2008) e il 59 del Mezzogiorno (67 nel 2008).
Nel 2022 la crescita del numero delle compravendite di abitazioni si è attenuata
ovunque rispetto alla forte espansione del 2021 (fig. 3.6.a e tav. a3.5). Gli scambi
sono stati ancora vivaci nella prima metà dell’anno, specialmente nelle aree centrali e
meridionali. Successivamente le transazioni sono diminuite ovunque, in connessione
soprattutto con il deciso rialzo dei tassi di interesse sui mutui. Nella media dell’anno
i prezzi delle case sono ancora saliti in tutte le ripartizioni, con un’intensità maggiore
nelle regioni settentrionali (fig. 3.6.b), ma la crescita è rimasta ben al di sotto
dell’inflazione al consumo (cfr. il riquadro: L’aumento dei prezzi al consumo e la
povertà energetica).
Nel primo semestre del 2023 l’ulteriore peggioramento delle condizioni di accesso
al credito ha contribuito a una notevole riduzione delle compravendite in tutte le aree;
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il calo è stato particolarmente marcato al Centro, dove sono scese del 16 per cento
rispetto allo stesso periodo del 2022. I prezzi delle case hanno continuato ad aumentare
nelle regioni settentrionali; al Centro e nel Mezzogiorno si sono invece mantenuti sui
livelli medi dell’anno precedente.
Figura 3.6
Mercato delle abitazioni
(dati semestrali; numeri indice: media 2019=100)
(a) compravendite
(b) prezzi (1)
1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°
’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23
Nord Ovest
Nord Est
1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°2°1°
’11 ’12 ’13 ’14 ’15 ’16 ’17 ’18 ’19 ’20 ’21 ’22 ’23
Centro
Sud e Isole
Fonte: elaborazioni su dati Osservatorio del mercato immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle Entrate e Istat.
(1) Indice dei prezzi delle abitazioni per ripartizione geografica riferito al totale delle abitazioni.
La ricchezza finanziaria. – Nel 2021, ultimo anno per cui sono disponibili i dati
a livello territoriale, le attività finanziarie delle famiglie italiane al netto delle passività
sono aumentate dell’11,2 per cento, per effetto della significativa crescita delle attività
(9,8 per cento). L’espansione di queste ultime ha riguardato sia la componente relativa
a depositi e circolante sia le quote di fondi comuni. L’incremento della ricchezza
finanziaria è stato più intenso nel Nord Est e più contenuto nel Mezzogiorno; le attività
finanziarie lorde erano comprese fra 3,2 volte il reddito disponibile (nel Sud e nelle
Isole) e 5,6 volte (nel Nord Ovest).
Nel 2022 la ricchezza finanziaria si è invece ridotta nel complesso del Paese,
risentendo della forte svalutazione delle attività. Questa dinamica è stata accompagnata
da una ricomposizione del portafoglio delle famiglie: le preferenze di investimento
si sono indirizzate verso i titoli obbligazionari, in particolare i titoli di Stato italiani,
a fronte di un lieve deflusso di risorse dagli strumenti del risparmio gestito. In un
contesto di elevata inflazione, la crescita dei depositi bancari si è assai indebolita
in tutte le aree4. Nel primo semestre del 2023 i depositi a vista hanno iniziato a
diminuire (con cali compresi tra il 3,6 per cento nel Mezzogiorno e l’8,6 nel Nord
Ovest), considerato anche il limitato adeguamento dei tassi passivi da parte degli
intermediari; i depositi vincolati invece hanno ripreso ad aumentare, riflettendo il
rialzo delle remunerazioni.
Per i depositi bancari sono disponibili dati territoriali più aggiornati rispetto al complesso della ricchezza
finanziaria.
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L’indebitamento delle famiglie
Nel primo semestre del 2023 i prestiti di banche e società finanziarie alle
famiglie hanno registrato un marcato rallentamento in ogni ripartizione, dopo la
decisa espansione del biennio precedente (fig. 3.7 e tav. a3.6). Tra le componenti
del debito delle famiglie, i mutui immobiliari hanno decelerato, mentre il credito al
consumo è cresciuto su valori prossimi a quelli del 2022 in tutte le aree geografiche.
Figura 3.7
Credito alle famiglie consumatrici (1)
(variazioni e punti percentuali)
’20 ’21 ’22
Nord Ovest
’21 ’22
Nord Est
prestiti per l’acquisto di abitazioni
’21 ’22
Centro
credito al consumo
altri prestiti (2)
’20 ’21 ’22
Sud e Isole
totale
Fonte: segnalazioni di vigilanza.
(1) Dati di fine periodo. Variazioni percentuali sui 12 mesi per il totale e contributi alla crescita in punti percentuali per le componenti del
debito delle famiglie. Per il 2023 il tasso di variazione è calcolato alla fine del mese di giugno. – (2) Altre componenti del debito delle famiglie,
tra cui le più rilevanti sono le aperture di credito in conto corrente e i mutui diversi da quelli per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione
di unità immobiliari a uso abitativo.
Nel 2022 i prestiti per l’acquisto di abitazioni sono saliti in tutte le ripartizioni,
con un ritmo compreso tra il 4,4 per cento del Nord Ovest e il 5,4 del Nord Est.
Secondo i dati della Rilevazione analitica dei tassi di interesse attivi, l’espansione è
stata ovunque trainata dai mutui concessi alla clientela più giovane (fig. 3.8.a); per
i debitori di età superiore a 34 anni, invece, le erogazioni sono diminuite in tutte
le aree, soprattutto al Centro Sud. I mutui destinati ai giovani hanno continuato
a beneficiare della garanzia pubblica per l’acquisto della prima casa (fig. 3.8.b):
l’ammontare di nuovi finanziamenti a clienti di età inferiore a 36 anni con garanzia a
valere sul Fondo prima casa ha raggiunto 10,8 miliardi nel 2022 (3,9 nel 2021), con
una crescita diffusa in tutte le ripartizioni e particolarmente marcata al Centro, dove
si è registrato un incremento superiore al 200 per cento rispetto all’anno precedente.
Il flusso di nuovi mutui si è tuttavia ridotto in ogni macroarea nella seconda
parte del 2022 (fig. 3.9) per poi contrarsi ulteriormente nei primi mesi del 2023,
soprattutto al Centro (-35 per cento nel confronto con il primo semestre del 2022).
La riduzione rispecchia il calo della domanda di credito da parte delle famiglie, dovuta
prevalentemente al deciso rialzo dei tassi di interesse (cfr. Bollettino economico, 2, 2023
e il riquadro: L’andamento della domanda e dell’offerta di credito nei primi sei mesi del
2023 del capitolo 6).
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Figura 3.8
Nuovi mutui per classe di età
(a) andamento dell’ammontare (1)
(numeri indice: 2019=100)
(b) erogazioni di mutui con garanzia del
Fondo prima casa
(milioni di euro)
5.000
5.000
4.000
4.000
3.000
3.000
2.000
2.000
1.000
1.000
’19 ’20 ’21 ’22 ’19 ’20 ’21 ’22 ’19 ’20 ’21 ’22
fino a 34 anni tra 35 e 44 anni oltre 44 anni
’19’20’21’22’19’20’21’22’19’20’21’22’19’20’21’22
Nord Ovest Nord Est
Centro
Sud e Isole
Nord Ovest
Nord Est
giovani con garanzia al 50% (2)
Centro
Sud e Isole
giovani con garanzia all’80% (2)
altro (3)
Fonte: per il pannello (a), Rilevazione analitica dei tassi di interesse attivi; per il pannello (b), Consap.
(1) I dati sono riferiti alla clientela la cui esposizione complessiva verso l’intermediario erogante (comprensiva del nuovo mutuo) supera la
soglia di censimento di 75.000 euro. Nel caso di rapporti relativi a più cointestatari, le informazioni per classe di età sono state calcolate
attribuendo a ciascun mutuatario la relativa quota di pertinenza. – (2) Importo dei finanziamenti avviati nella fascia di età inferiore a 36 anni
con garanzia a valere sul Fondo prima casa. Il DL 73/2021 ha previsto l’innalzamento della garanzia all’80 per cento del capitale finanziato
per particolari categorie di mutuatari. – (3) Importo dei restanti finanziamenti con garanzia a valere sul Fondo prima casa.
Nel 2022 i tassi di interesse sui nuovi mutui sono aumentati sensibilmente in
tutte le ripartizioni (fig. 3.9): secondo la Rilevazione analitica dei tassi di interesse
attivi, il costo medio delle nuove operazioni è cresciuto fra 1,5 punti percentuali
Figura 3.9
Erogazioni di mutui e tassi di interesse (1)
(milioni di euro e valori percentuali)
10.000
8.000
6.000
4.000
2.000
1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1°
2022 ’23 2020
2022 ’23 2020
2022 ’23 2020
2022 ’23
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
nuovi mutui a tasso fisso
nuovi mutui a tasso variabile
tasso fisso (2)
tasso variabile (2)
Fonte: segnalazioni di vigilanza e Rilevazione analitica dei tassi di interesse attivi.
(1) I dati sono relativi ai nuovi prestiti erogati nel semestre con finalità di acquisto o ristrutturazione di abitazioni, si riferiscono alla località di
destinazione dell’investimento (abitazione) e sono al netto di operazioni agevolate accese nel periodo. I tassi di interesse rappresentano il
tasso medio praticato sulle nuove erogazioni nel periodo. – (2) Scala di destra.
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nel Nord Est e 1,8 al Centro. Il differenziale di costo tra contratti a tasso fisso e
variabile, negativo nel biennio 2020-21, è tornato positivo nel 2022. La preferenza
delle famiglie per un importo iniziale della rata più contenuto avrebbe favorito
l’incremento delle nuove erogazioni a tasso variabile, la cui quota è salita nettamente,
soprattutto nel secondo semestre. Nel Nord Est, dove risultava già superiore alle
altre aree, è raddoppiata nel 2022 rispetto all’anno precedente (al 46 per cento); nel
Mezzogiorno, in cui è strutturalmente maggiore la preferenza per i mutui a tasso
fisso, la quota di quelli a tasso variabile è più che triplicata (al 31 per cento; cfr. il
riquadro: I mutui alle famiglie e l’impatto dell’aumento dei tassi di interesse).
I MUTUI ALLE FAMIGLIE E L’IMPATTO DELL’AUMENTO DEI TASSI DI INTERESSE
Figura A
I mutui rappresentano la passività
Caratteristiche dei mutui (1)
più rilevante nei bilanci delle famiglie
(numeri indice: Italia=100)
italiane: nel 2021, ultimo anno per
il quale si dispone di dati a livello
durata
territoriale, essi variavano tra il 37,3 per
residua
cento del reddito disponibile al Centro
e il 25,4 nel Mezzogiorno. Alla fine di
giugno del 2023 la quota di famiglie con
durata
originaria
mutui era compresa fra il 10 per cento nel
Mezzogiorno e il 17 nel Nord Ovest. La
durata dei mutui in essere, sia originaria
(circa 25 anni) sia residua (prossima a
importo
importo
19), era invece comparabile nelle varie
originario
residuo
aree (figura A). Il Centro si caratterizzava
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
per gli importi originari e residui più
elevati (120.000 e quasi 90.000 euro,
elaborazioni su dati della Centrale dei rischi e della BCE.
rispettivamente), riflettendo un livello Fonte:
(1) Dati riferiti a giugno 2023; cfr. nelle Note metodologiche.
delle regioni italiane sul 2022 la voce Stime relative
dei prezzi immobiliari mediamente L’economia
ai mutui delle famiglie consumatrici sulla base dei dati della
superiore alle altre ripartizioni; gli Centrale dei rischi.
importi erano invece inferiori alla media
nel Mezzogiorno. La rata mediana del Nord Est era prossima a quella del Centro
(circa 600 euro) e maggiore di oltre 50 euro a quella del Sud e delle Isole.
Fino all’inizio del 2022 l’indebitamento per l’acquisto di abitazioni è stato
sostenuto dal basso costo dei finanziamenti. Il differenziale contenuto tra tassi fissi
e variabili ha accentuato la preferenza delle famiglie per i primi; ciò ha contribuito
a limitare l’esposizione dei nuclei al rischio di tasso. La quota di mutui in essere a
tasso variabile, che aveva raggiunto il valore massimo nel 2014 (74,3 per cento), era
scesa al 36,1 alla fine di giugno del 2023. I contratti a tasso variabile sono diminuiti
in tutte le macroaree (figura B, pannello a); la loro incidenza si collocava su livelli
superiori alla media nazionale al Nord, a fronte di una maggiore preferenza per i
mutui a tasso fisso nel Mezzogiorno.
Con l’avvio del ciclo restrittivo di politica monetaria, nel 2022 le famiglie che
avevano già contratto un mutuo a tasso variabile hanno subito un incremento del
servizio del debito. Il rialzo dell’Euribor a tre mesi, uno dei parametri più diffusi per
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l’indicizzazione dei tassi applicati ai mutui, è stato di 4,1 punti percentuali tra giugno
del 2021 e giugno del 20231. L’aumento della rata mediana mensile dei mutui a tasso
variabile si è collocato fra 245 euro nel Mezzogiorno e 276 al Centro (figura B,
pannello b). In termini percentuali l’incremento è stato omogeneo fra aree (47 per
cento nella media nazionale). Per i mutui con rate inferiori alla mediana nazionale,
verosimilmente contratti soprattutto da famiglie a basso reddito, l’impatto è stato
più contenuto, con limitati scostamenti tra aree.
Figura B
Mutui a tasso variabile
(a) incidenza (1)
(valori percentuali)
(b) impatto sulle rate dell’aumento
dell’Euribor a 3 mesi (2)
(euro)
100 1.000
1.000
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
giu. 2023
Nord Ovest Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: segnalazioni di vigilanza ed elaborazioni su dati della Centrale dei rischi e della BCE.
(1) Consistenze di fine periodo. Quota dei mutui a tasso variabile sul totale dei prestiti per l’acquisto di abitazioni. – (2) Importo della rata
mediana relativa ai mesi di giugno 2021 e giugno 2023 dei soli contratti a tasso variabile.
Secondo stime basate anche su informazioni tratte dall’ultima Indagine sui
bilanci delle famiglie italiane (IBF), il maggiore onere avrebbe rappresentato l’8 per
cento circa del reddito mensile disponibile mediano delle famiglie italiane indebitate.
Questa incidenza risulterebbe leggermente più elevata nelle regioni del Mezzogiorno
(circa 9 punti percentuali).
I tassi Euribor a uno e a sei mesi sono aumentati, rispettivamente, di 3,9 e di 4,3 punti percentuali.
Nel primo semestre del 2023 tuttavia il differenziale di costo tra contratti a tasso
fisso e variabile è tornato negativo e la quota di nuove erogazioni a tasso fisso ha ripreso
a crescere in tutte le aree.
Nel 2022 il credito al consumo ha accelerato in tutte le ripartizioni, con tassi di
crescita compresi tra 5,5 per cento al Centro e 6,1 nel Nord Ovest. L’espansione è
stata trainata dai prestiti personali e dalle cessioni del quinto dello stipendio e della
pensione; sono saliti anche i prestiti finalizzati all’acquisto di autoveicoli, ma in misura
di gran lunga inferiore rispetto al periodo precedente la pandemia. Nel primo semestre
del 2023 il credito al consumo ha continuato ad aumentare, con maggiore intensità
nel Nord Ovest; in tutte le aree si è rafforzato l’incremento dei prestiti finalizzati
all’acquisto di beni durevoli, inclusi gli autoveicoli.
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4. IL MERCATO DEL LAVORO
Nel 2022 l’occupazione è cresciuta in misura sostenuta in tutte le macroaree,
recuperando i livelli precedenti la pandemia, grazie soprattutto all’aumento della
domanda di lavoro nei comparti delle costruzioni, del commercio, dell’alloggio e della
ristorazione. L’espansione del numero di occupati è continuata nel primo semestre di
quest’anno, con maggiore intensità nel Centro Nord.
Lo scorso anno è proseguito l’incremento della partecipazione al mercato del lavoro,
in special modo nelle regioni centro-settentrionali, interessando anche le classi di età più
elevate; il recupero dei tassi di attività rispetto ai valori del 2019 si è completato anche
nel Nord nella prima parte del 2023. L’ammontare complessivo delle forze di lavoro è
però salito solo nel Centro Nord, mentre nel Mezzogiorno è rimasto sostanzialmente
invariato, risentendo del più intenso calo della popolazione in età da lavoro.
La dinamica positiva dell’occupazione ha determinato una diminuzione del tasso
di disoccupazione e della quota di individui tra 15 e 29 anni che non studia, non lavora
e non è impegnata in corsi formativi (Not in education, employment or training, NEET),
in particolare nel Mezzogiorno.
Permangono tuttavia ampi margini di forza lavoro inutilizzata, soprattutto nelle
regioni meridionali. Nel confronto con il resto del Paese quest’area è ancora caratterizzata
da una bassa partecipazione (soprattutto tra le donne), un’alta disoccupazione (specie
tra i giovani), una forte incidenza del part-time involontario e un maggiore ricorso alle
ore di integrazione salariale.
Le retribuzioni contrattuali nel settore privato non agricolo sono cresciute in misura
contenuta nel 2022, in linea con l’anno precedente. Per effetto della composizione
settoriale dell’occupazione, l’incremento sarebbe stato lievemente più sostenuto nel
Nord Est. La dinamica retributiva si è rafforzata nel corso del 2023, sospinta dalla
manifattura, concentrata nelle regioni centro-settentrionali.
L’occupazione e le ore lavorate
Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro (RFL) dell’Istat, nel corso del
2022 in tutte le macroaree il numero degli occupati ha recuperato i livelli antecedenti la
pandemia (fig. 4.1). Nella media dell’anno l’occupazione è salita soprattutto al Centro
(3,1 per cento; tav. a4.1).
In tutte le ripartizioni gli incrementi occupazionali sono stati maggiori nelle
costruzioni, la cui attività è stata sospinta dagli incentivi all’edilizia residenziale; la
crescita è stata molto significativa nel Mezzogiorno e nel Nord Ovest (9,6 e 8,7 per
cento, rispettivamente). Nell’industria in senso stretto l’occupazione è assai aumentata
al Centro (5,4 per cento), a fronte di un’espansione più modesta nel Nord e di una
stazionarietà nelle regioni meridionali. Il numero di occupati nei servizi è salito in
modo omogeneo sul territorio, in particolare nei comparti del commercio, dell’alloggio
e della ristorazione.
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Figura 4.1
Occupazione nelle macroaree (1)
(numeri indice: media 2015=100)
1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2° 3° 4° 1° 2°
Centro
Sud e Isole
Italia
Fonte: Istat, RFL.
(1) Dati trimestrali destagionalizzati.
Nel Nord anche il lavoro autonomo è tornato a crescere, mentre nel resto del
Paese l’incremento occupazionale è stato interamente trainato da quello alle dipendenze
(tav. a4.2). Diversamente da quanto avvenuto nel 2021, la componente a tempo
indeterminato ha fornito il contributo principale alla crescita dei dipendenti (oltre
tre quarti nel Nord e nel Mezzogiorno, più della metà al Centro). L’incidenza delle
posizioni lavorative temporanee è più elevata nel Sud e nelle Isole (circa il 23 per cento
degli occupati dipendenti nel 2022, a fronte di meno del 15 nel Centro Nord), un
fattore che concorre al divario retributivo tra le aree (cfr. il riquadro: L’andamento del
lavoro a bassa retribuzione nelle macroaree).
L’ANDAMENTO DEL LAVORO A BASSA RETRIBUZIONE NELLE MACROAREE
Secondo i dati dell’INPS, la percentuale di lavoratori del settore privato
non agricolo che percepiscono una bassa retribuzione annua1 è progressivamente
aumentata: all’inizio degli anni novanta si collocava poco al di sopra del 20 per cento2
e ha raggiunto il 30 durante la pandemia (figura). Tale quota è strutturalmente più
alta nel Mezzogiorno nel confronto con il Centro Nord (rispettivamente pari al 30
Una retribuzione è convenzionalmente definita bassa se inferiore al 60 per cento del valore mediano della
distribuzione nell’intero Paese. Per una descrizione dell’indicatore, cfr. D. Depalo e S. Lattanzio, The increase
in earnings inequality and volatility in Italy: the role and persistence of atypical contracts, Banca d’Italia, Questioni
di economia e finanza, 801, 2023. Il gruppo di lavoro istituito dal Ministro del Lavoro e delle politiche sociali
con il DM 126/2021 (Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa; cfr. la Relazione del gruppo di
lavoro sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia del novembre 2021) ha impiegato
la stessa definizione.
È possibile utilizzare soglie diverse per la definizione di bassa retribuzione: le considerazioni qualitative esposte
continuano a valere anche qualora vengano presi in esame i soli lavoratori con contratti a tempo pieno e che
lavorano per tutto l’anno; cfr. G. Bovini, E. Ciani, M. De Philippis e S. Romano, Labour income inequality
and in-work poverty: a comparison between euro area countries, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza,
806, 2023.
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e al 20 per cento nel 1990 e a oltre il 40
e il 25 per cento nel 2021); analoghe
differenze si osservano nel livello di
disuguaglianza tra le retribuzioni
(cfr. il riquadro: Disuguaglianza dei
redditi da lavoro e povertà lavorativa nelle
macroaree del capitolo 3). Nell’ultimo
decennio il divario tra le due aree
nell’incidenza delle persone con una
bassa retribuzione si è ampliato, per
effetto del forte incremento registrato
nelle regioni meridionali.
Figura
Lavoratori a bassa retribuzione (1)
(valori percentuali)
L’espansione del fenomeno è
Centro Nord
Sud e Isole
Italia
stata determinata prevalentemente
dalla crescente diffusione di contratti
elaborazioni su dati INPS.
temporanei e a tempo parziale, che Fonte:
(1) Quota sul totale dei lavoratori del settore privato non agricolo.
dati INPS forniscono informazioni sulla storia lavorativa e
hanno contribuito a ridurre il numero Iretributiva
dei lavoratori dipendenti tra il 1990 e il 2021. Per
di settimane lavorate in media nell’anno, ulteriori dettagli, cfr. nota 1 del riquadro.
a parità di salario medio settimanale.
La contrazione nel numero delle settimane lavorate è stata significativa in tutte le
ripartizioni, ma più intensa nel Mezzogiorno (otto settimane contro le cinque del
Centro Nord).
Dagli anni novanta la dinamica del prodotto e quella dell’occupazione sono
state decisamente peggiori nel Mezzogiorno rispetto al Centro Nord, in particolare
dopo la doppia crisi attraversata dall’Italia tra il 2008 e il 20133. Nel Mezzogiorno è
stata più elevata la crescita delle quote di occupati in posizioni a termine e a tempo
parziale; inoltre vi è un’incidenza maggiore di occupati a termine che desidererebbero
un impiego a tempo indeterminato e di occupati a tempo parziale che vorrebbero
un’occupazione a tempo pieno. In generale, in tutte le ripartizioni gli impieghi
precari o a tempo ridotto, spesso di natura involontaria, sono nettamente più diffusi
tra le donne, i giovani e gli immigrati.
Negli ultimi due decenni nel settore privato non agricolo è divenuta più
persistente la condizione di occupato a bassa retribuzione, a cui si associa anche una
maggiore probabilità di rimanere nel tempo senza un’occupazione; queste dinamiche
sono state più marcate nel Mezzogiorno.
Per un recente confronto delle dinamiche economiche tra Centro Nord e Mezzogiorno, cfr. A. Accetturo,
G. Albanese, R. Torrini, D. Depalo, S. Giacomelli, G. Messina, F. Scoccianti e V.P. Vacca, Il divario
Nord?Sud: sviluppo economico e intervento pubblico, Banca d’Italia, Seminari e convegni, 25, 2022.
L’espansione dell’occupazione è stata ovunque sostenuta dal lavoro a tempo
pieno; solo nelle regioni settentrionali è aumentato anche quello a tempo parziale.
Nel Mezzogiorno è più alta la quota del part-time involontario, ossia di coloro che
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sarebbero disponibili a lavorare di più (quasi il 14 per cento degli occupati, a fronte del
9 nelle restanti ripartizioni).
Secondo i dati di contabilità nazionale dell’Istat, nel 2022 le ore lavorate per
addetto sono cresciute del 2,2 per cento in Italia. Sulla base dell’RFL, l’incremento è
stato più intenso della media nazionale nel Nord Est e al Centro. Il maggiore utilizzo del
fattore lavoro si è associato a un calo nel ricorso agli strumenti di integrazione salariale:
secondo i dati dell’INPS, le ore autorizzate di Cassa integrazione guadagni e dei fondi
di solidarietà si sono ridotte di quasi l’80 per cento, in modo sostanzialmente uniforme
tra le aree (tav. a4.3). Ciò nonostante, nell’intero Paese l’ammontare di ore autorizzate
era ancora più che doppio nel confronto con i livelli precedenti la pandemia; in termini
di occupati equivalenti, aveva un’incidenza più elevata al Centro e nel Sud.
L’aumento dell’occupazione, al netto dei fattori stagionali, è proseguito anche
nella prima metà del 2023, in misura più marcata al Centro e nel Nord (1,3 e 1,1 per
cento nel secondo trimestre rispetto all’ultimo dell’anno precedente; 0,8 nel Sud e
nelle Isole). In tutte le aree l’incremento è stato trainato dalla manifattura e dai servizi
del commercio, dell’alloggio e della ristorazione; nel Nord Ovest e nel Mezzogiorno
la dinamica di questi due comparti ha più che compensato la contrazione nelle
costruzioni. Seppure in misura più contenuta del lavoro alle dipendenze, anche
l’occupazione autonoma è cresciuta, in tutte le macroaree ad eccezione del Centro.
L’espansione dell’occupazione subordinata ha continuato a essere sospinta dalla
componente a tempo indeterminato, a fronte di un calo di quella temporanea, con
maggiore intensità nel Mezzogiorno. Il ricorso agli strumenti di integrazione salariale
è ulteriormente diminuito.
L’offerta di lavoro e la disoccupazione
Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è ancora salito in tutte le ripartizioni,
raggiungendo il 66,5 per cento nel complesso del Paese nel secondo trimestre del
2023. Anche nel Nord si è così completato il recupero dei livelli antecedenti la crisi
sanitaria, già avvenuto nel corso del 2022 al Centro e nel Mezzogiorno (tav. a4.4).
Nella media dello scorso anno il tasso di attività è cresciuto meno intensamente nelle
regioni meridionali, dove l’ammontare complessivo delle forze di lavoro è rimasto
sostanzialmente stabile, per effetto del maggiore calo della popolazione in età da
lavoro; vi ha influito anche la significativa ripresa dei flussi migratori interni verso il
Centro Nord. In tutte le aree si è registrato un incremento consistente degli afflussi
netti dall’estero, concentrati nelle fasce di età attiva, su valori superiori a quelli
precedenti l’emergenza pandemica.
L’aumento della partecipazione al mercato del lavoro ha riguardato sia gli uomini
sia le donne, risultando più accentuato per queste ultime nel Nord Est e al Centro.
Il divario di genere si è collocato in ogni macroarea su valori analoghi a quelli 2019;
nel Mezzogiorno (26,4 punti percentuali) era quasi il doppio di quello delle regioni
centro-settentrionali. Il tasso di attività è cresciuto in modo diffuso tra le fasce di età:
rispetto alle altre aree del Paese, nel Nord l’incremento è stato più intenso sia tra gli
individui tra 55 e 64 anni – dopo il calo nel triennio 2020-22 – sia tra i giovani di
età compresa tra 15 e 34 anni.
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Il tasso di disoccupazione è
progressivamente sceso in tutte le
ripartizioni (fig. 4.2 e tav. a4.4)
grazie alla dinamica positiva della
domanda di lavoro. In media
d’anno la diminuzione è stata più
marcata nel Mezzogiorno (-2,1 punti
percentuali, al 14,3 per cento) che al
Centro Nord (-1,1 punti, al 5,6 per
cento); il divario geografico, seppure
attenuato, resta considerevole. È
proseguita la riduzione della quota
dei giovani NEET, al 19,0 per cento:
nelle regioni del Mezzogiorno rimane
circa il doppio che nel Centro Nord
(rispettivamente, 27,9 e 14,0 per
cento).
Figura 4.2
Tasso di disoccupazione (1)
(valori percentuali)
Centro
Sud e Isole
Italia
Fonte: elaborazioni su dati Istat, RFL.
(1) Dati trimestrali destagionalizzati. Il tasso di disoccupazione è
calcolato sulla popolazione tra 15 e 74 anni.
Le retribuzioni
Nel 2022 le retribuzioni orarie minime stabilite dai contratti collettivi nazionali
nel settore privato non agricolo sono cresciute in misura modesta (1,0 per cento
nella media nazionale, in linea con l’anno precedente). La dinamica nelle aree
è influenzata, oltre che da accordi territoriali e di secondo livello, anche dalla
composizione settoriale dell’occupazione e dalla cadenza temporale degli accordi di
rinnovo. Sulla base di nostre stime, la crescita delle retribuzioni contrattuali sarebbe
stata leggermente più sostenuta nel Nord Est per la maggiore presenza di industrie in
comparti come il metalmeccanico e l’alimentare, in cui gli aumenti salariali sono stati
più alti. Nel Mezzogiorno la dinamica retributiva ha beneficiato degli incrementi nel
settore edile, ma è stata in parte frenata dall’ampia quota di lavoratori con contratti
scaduti nel comparto turistico, entrambi settori con un peso significativo nelle regioni
meridionali.
In base a nostre elaborazioni sui dati forniti nei rapporti annuali dell’INPS,
le retribuzioni giornaliere di fatto nel settore privato non agricolo (che tengono
conto delle ore effettivamente lavorate e di eventuali integrazioni salariali rispetto
ai minimi dei contratti collettivi nazionali) sono salite maggiormente nelle regioni
centro?settentrionali, dove sono in media superiori di oltre il 30 per cento a quelle del
Mezzogiorno. La contrazione delle retribuzioni reali sarebbe stata più accentuata nelle
regioni meridionali, anche per il più deciso rialzo dei prezzi nelle Isole (cfr. il riquadro:
L’aumento dei prezzi al consumo e la povertà energetica del capitolo 3). Il costo del
lavoro nelle regioni meridionali ha continuato a essere contenuto anche a causa delle
misure di decontribuzione per i lavoratori1.
Si fa riferimento alla cosiddetta decontribuzione Sud, introdotta dal DL 104/2020 e poi estesa dalla L. 178/2020.
La misura, soggetta periodicamente ad autorizzazione da parte della Commissione europea, prevede uno sgravio
dei contributi previdenziali dovuti dai datori di lavoro privati con sede in una delle regioni del Mezzogiorno pari
al 30 per cento fino al 31 dicembre 2025, al 20 nel periodo 2026-27 e al 10 nel periodo 2028-29.
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Nel 2023 i dati disponibili riferiti alle retribuzioni contrattuali mostrano che la
dinamica salariale si è rafforzata, accelerando nel secondo trimestre all’1,9 per cento
su base annua nel settore privato non agricolo. Il divario territoriale potrebbe essersi
ampliato in connessione con i più marcati incrementi retributivi previsti nei contratti
dell’industria metalmeccanica e di quella tessile, entrambe più diffuse al Centro Nord,
e in attesa dei rinnovi nei comparti del commercio e del turismo, le cui trattative
sono ancora in corso. Nel complesso dell’economia, il differenziale delle retribuzioni
contrattuali tra aree è stato in parte limitato dagli adeguamenti nel settore pubblico, il
cui peso è maggiore nel Mezzogiorno.
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5. LE POLITICHE PUBBLICHE
Nel 2022 il conto economico delle Amministrazioni locali (Regioni, Province,
Città metropolitane e Comuni) ha registrato un incremento delle spese, trainate dalla
componente sanitaria, di poco inferiore a quello delle entrate. Il saldo di bilancio è di
conseguenza lievemente migliorato. Il debito degli enti in rapporto al PIL è leggermente
diminuito, riflettendo la crescita del prodotto. Le informazioni al momento disponibili
suggeriscono che la dinamica delle uscite sia più sostenuta di quella delle entrate nella
prima parte dell’anno in corso.
Alla spesa pubblica ordinaria si aggiungono le risorse delle politiche di coesione
italiane ed europee, stanziate con l’obiettivo di ridurre i divari tra le aree del Paese. Sono
stati previsti circa 140 miliardi di euro sia nel ciclo di programmazione 2014-2020 sia
in quello 2021-27. Nell’ambito dei Fondi strutturali europei, le risorse a disposizione
ammontavano a 65 miliardi nel primo ciclo (da spendere entro la fine dell’anno in
corso) e a 73 nel secondo. Nei prossimi mesi la programmazione di entrambi i cicli
potrebbe subire alcune variazioni, anche per effetto delle prospettate modifiche al Piano
nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Le Amministrazioni locali
Le entrate. – Nel 2022 le risorse complessive delle Amministrazioni locali sono
aumentate del 4,2 per cento (a 279,5 miliardi, pari al 14,4 per cento del PIL italiano;
tav. a5.1), beneficiando della crescita delle entrate proprie. Fra queste ultime, quelle
di natura tributaria sono salite di oltre il 9 per cento (a 80,3 miliardi). L’incremento
ha interessato soprattutto le imposte indirette (tav. a5.2); in particolare il gettito
dell’IRAP, già in espansione nel 2021, è aumentato di oltre il 20 per cento (a 27,9
miliardi), grazie al quadro congiunturale favorevole. Fra le imposte dirette sono
cresciute le entrate relative all’addizionale all’Irpef (a 17,9 miliardi) e quelle dovute
alle tasse automobilistiche pagate dalle famiglie (a 5,4 miliardi). Le entrate proprie
di natura extra tributaria, anch’esse in forte espansione (a 34,4 miliardi), sono state
trainate dall’incremento dei proventi dei servizi pubblici locali.
I trasferimenti sono lievemente saliti (163,7 miliardi): la componente corrente
è rimasta sostanzialmente stabile, pur beneficiando delle risorse riconosciute agli enti
territoriali per fare fronte ai rincari energetici (cfr. il riquadro: La spesa energetica degli
enti territoriali); i trasferimenti in conto capitale sono invece aumentati in misura
consistente (16,6 per cento, a 15,2 miliardi), anche in relazione alle assegnazioni di
risorse a valere sul PNRR.
LA SPESA ENERGETICA DEGLI ENTI TERRITORIALI
I forti rincari dei beni energetici verificatisi tra la seconda metà del 2021 e la
fine del 2022 hanno gravato sui bilanci degli enti territoriali, i cui consumi di energia
risultano difficilmente comprimibili, in quanto legati soprattutto alla fornitura di servizi
essenziali. La dinamica dei prezzi di questi beni, più che raddoppiati nel corso del 2022,
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ha determinato un marcato rialzo della bolletta energetica delle Amministrazioni locali
rispetto al triennio 2017-191, di intensità differenziata tra le macroaree.
Gli enti del Nord, che presentano livelli di spesa pro capite storicamente più
elevati, hanno registrato un aumento più contenuto in termini percentuali (44,0 per
cento) rispetto a quelli del Centro (58,9) e del Mezzogiorno (53,8; tav. a5.3 e figura).
All’incremento hanno contribuito in larga misura i costi per l’elettricità, in particolar
modo al Sud e nelle Isole (dove rappresentano quasi l’80 per cento della bolletta
energetica), mentre al Nord hanno avuto un ruolo rilevante anche quelli per il gas.
Figura
Bolletta energetica (1)
(euro pro capite)
Nord Centro Sud Italia Nord Centro Sud Italia Nord Centro Sud Italia Nord Centro Sud Italia Nord Centro Sud Italia Nord Centro Sud Italia
e Isole
e Isole
e Isole
e Isole
e Isole
e Isole
elettricità
carburante
Fonte: elaborazioni su dati Siope aggiornati al 23 agosto 2023.
(1) Si considerano Regioni, Province e Città metropolitane, Comuni e loro Unioni, Comunità montane e gestioni commissariali
(ad eccezione della gestione commissariale del Comune di Roma), aziende sanitarie locali e aziende ospedaliere.
Pur costituendo ancora una quota modesta della spesa corrente primaria (1 per
cento per le Regioni e per gli enti sanitari e fra il 4 e il 6 per Comuni, Province e
Città metropolitane), l’inatteso e significativo rialzo della componente energetica ha
gravato sulle risorse disponibili di amministrazioni generalmente caratterizzate da
una spesa rigida (in particolare nel Mezzogiorno). L’incremento della spesa è stato
tuttavia limitato da diverse iniziative nazionali di contenimento dei consumi e quasi
integralmente compensato dai ristori statali.
I rincari possono riflettersi in diversa misura sui bilanci degli enti a seconda di
fattori quali i contratti di fornitura, la quota di energia autoprodotta o l’efficienza
energetica del patrimonio immobiliare. Inoltre gli assetti organizzativi nella
gestione dei servizi pubblici essenziali, come il trasporto pubblico o la raccolta dei
rifiuti urbani, possono comportare l’uscita totale o parziale dai bilanci delle relative
entrate e spese.
Nel biennio 2020-21 la spesa energetica ha risentito delle misure straordinarie adottate durante la pandemia,
con effetti tuttavia diversificati tra aree: da un lato la sospensione di numerosi servizi pubblici ha contribuito
a limitarla, in particolar modo al Centro Nord; dall’altro la maggiore liquidità trasferita agli enti, utilizzata
anche per il pagamento dei debiti pregressi, ha concorso a incrementarla, soprattutto nel Mezzogiorno.
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In merito ai contratti di fornitura, gli enti aderiscono in via ordinaria a
convenzioni quadro avvalendosi della Consip o di centrali di committenza regionali2,
sulla base di considerazioni di vantaggio economico-finanziario. I dati Open ANAC
mostrano che a livello nazionale nel triennio 2020-22 prevale l’approvvigionamento
mediante la Consip. Le convenzioni quadro regionali, presumibilmente più
favorevoli3, risultano più diffuse al Centro Nord; nel Mezzogiorno sono invece più
frequenti i contratti afferenti ai regimi di ultima istanza, a condizioni di prezzo
solitamente peggiorative rispetto alle convenzioni.
Gli enti possono inoltre ridurre i consumi per la bolletta elettrica attraverso
l’autoproduzione da fonti energetiche rinnovabili4. Una misura della diffusione di
tale fenomeno è fornita dall’incidenza, sulla loro bolletta energetica, degli incentivi
statali ricevuti dalle Amministrazioni locali per questo tipo di investimenti: nel
2021 l’incidenza corrispondeva al 2,5 per cento al Centro, contro il 4,1 al Nord e il
3,4 nel Mezzogiorno (tav. a5.4).
In base ai dati del Ministero dell’Economia e delle finanze, la quota di edifici
pubblici costruiti prima del 1990, spesso caratterizzati da un’efficienza energetica
ridotta, è pari all’80 per cento5 in tutte le aree (tav. a5.5). Nel Mezzogiorno la
presenza di vincoli paesaggistici o architettonici sul 42,6 per cento degli immobili
(31,3 a livello nazionale) rende inoltre più complesso il processo di efficientamento
energetico. Al Centro Nord la maggiore incidenza di strutture sanitarie e scuole, i cui
consumi sono meno comprimibili, comporta una spesa energetica più rigida.
Per approfondimenti, cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Spesa
energetica degli enti territoriali.
La diversa sensibilità della bolletta alle variazioni di prezzo dipende tuttavia dalla durata e dalla tipologia di
contratto stipulato (a prezzo fisso o variabile).
Dal 2020 le regioni sede di impianti idroelettrici con una potenza nominale media di almeno 3 megawattora
hanno diritto, previa approvazione di una specifica legge regionale, a ricevere gratuitamente una quota
dell’energia prodotta da questi impianti da utilizzare prevalentemente per servizi pubblici; in alternativa
possono monetizzare tale quota. Dal 2021 quest’ultima scelta è stata esercitata per lo più dalle regioni
localizzate al Centro Nord.
La quota comprende anche gli edifici il cui anno di costruzione non è indicato in quanto presumibilmente
antecedente al 1990, anno di introduzione della L. 10/1991.
L’incidenza delle risorse trasferite su quelle complessive degli enti è risultata in
lieve riduzione rispetto al 2021 (dal 60,3 al 58,6 per cento), ma permane su livelli
elevati nel confronto con la media dei vent’anni precedenti.
La spesa. – Nel 2022 la spesa delle Amministrazioni locali è salita del 3,7 per
cento (a 278,7 miliardi, pari al 14,3 per cento del PIL; tav. a5.1), soprattutto nella
componente corrente (cresciuta del 4,2 per cento, a 244,2 miliardi) e in particolare
per gli esborsi legati alla sanità. Anche la spesa in conto capitale si è nel complesso
lievemente ampliata in termini nominali (dello 0,2 per cento, a 34,5 miliardi), per effetto
della crescita degli investimenti pubblici. I dati di cassa segnalano una dinamica della
spesa più sostenuta rispetto a quella delle entrate nella prima parte dell’anno in corso.
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La spesa sanitaria. – La spesa sanitaria, che rappresenta quasi la metà di quella
complessiva delle Amministrazioni locali, ha continuato ad aumentare (del 2,9
per cento, a circa 131,1 miliardi), sebbene in rallentamento rispetto al 2021; in
rapporto al PIL è scesa al 6,7 per cento, dal 7,0 del 2021 (nel quinquennio 2015-19
ammontava in media al 6,5 per cento).
La componente relativa ai consumi intermedi è salita ulteriormente (3,7 per
cento, a 44,4 miliardi); nel biennio precedente si era ampliata a ritmi più sostenuti
a causa della gestione della pandemia. Anche la spesa per il personale ha continuato
ad aumentare (5,7 per cento, a 40,4 miliardi) riflettendo sia il potenziamento
degli organici, sia il rinnovo dei contratti del personale non dirigenziale. La spesa
farmaceutica e quella assistenziale sono rimaste pressoché invariate.
In base alle informazioni disponibili più recenti (riferite alla fine del 2021), il
personale sanitario delle strutture pubbliche ed equiparate è cresciuto negli ultimi
anni, con una ricomposizione degli organici verso i contratti a termine. Persistono
tuttavia significative differenze tra le ripartizioni (tav. a5.6): la dotazione di personale
è compresa tra 111 unità ogni 10.000 abitanti nel Sud e nelle Isole e 156 nel Nord Est.
Il divario tra Centro Nord e Mezzogiorno resta piuttosto marcato per gli infermieri
e, in misura minore, per il personale tecnico; è praticamente nullo per i medici.
La spesa per investimenti. – La spesa per investimenti delle Amministrazioni locali
ha continuato a espandersi nel 2022, anche se in maniera meno vigorosa rispetto alla
media del triennio precedente: in base ai dati di contabilità nazionale è aumentata del
3,1 per cento (a 28,5 miliardi); la sua incidenza in rapporto al PIL è tuttavia rimasta
sostanzialmente invariata (intorno all’1,5 per cento) e non ha ancora recuperato i
livelli osservati prima della crisi finanziaria e di quella del debito sovrano (2,1 nel
2007)1.
Il dettaglio territoriale della spesa, ricostruito a partire dai dati del Sistema
informativo delle operazioni degli enti pubblici (Siope), evidenzia una dinamica più
favorevole per gli enti del Centro Nord nel confronto con quelli del Mezzogiorno
(con tassi di crescita rispettivamente di oltre il 5 e di circa il 3 per cento; fig. 5.1).
La dinamica degli investimenti locali è destinata a irrobustirsi con la progressiva
attuazione dei progetti inclusi nel PNRR (cfr. il riquadro: Gli appalti del Piano
nazionale di ripresa e resilienza): sulla base dei dati preliminari relativi ai primi otto
mesi dell’anno in corso, l’attività di investimento locale sarebbe in forte espansione
in tutte le aree del Paese.
Il debito. – Nel 2022 l’incidenza del debito delle Amministrazioni locali sul
prodotto è lievemente diminuita (di 0,3 punti, al 4,5 per cento), per effetto della
crescita sostenuta dell’attività economica; in valore assoluto il debito è rimasto
sostanzialmente stabile (a 87,7 miliardi).
Le Amministrazioni locali erogano oltre la metà della spesa per investimenti della Pubblica amministrazione.
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Figura 5.1
Spesa delle Amministrazioni locali per investimenti fissi
(euro pro capite)
Centro Nord
Sud e Isole
Italia
Fonte: elaborazioni su dati Siope.
GLI APPALTI DEL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA
Nell’ambito del PNRR si stima che a settembre del 2023 circa 114 miliardi di
euro fossero stati già assegnati a soggetti attuatori pubblici1. Il 38 per cento di tali
risorse è destinato a enti nazionali, il resto alle Amministrazioni locali; tra queste
ultime, la quota maggiore è quella attribuita ai Comuni (26 per cento del totale;
tav. a5.7).
Dei 111 miliardi che hanno una chiara destinazione territoriale2, il 42 per cento
è stato assegnato a soggetti attuatori pubblici localizzati nel Sud e nelle Isole, una
quota coerente con l’obiettivo di coesione territoriale del Piano (almeno il 40 per
cento dei fondi al Mezzogiorno). Al Nord Ovest è destinato il 23 per cento delle
risorse, mentre la restante parte è egualmente divisa tra il Nord Est e il Centro. Alcune
differenze nelle assegnazioni tra macroaree sono imputabili alla concentrazione
geografica di determinati interventi strategici nazionali, come l’ammodernamento
della rete ferroviaria.
Per gli interventi che richiedono esecuzione di lavori o fornitura di beni o servizi,
all’attribuzione delle risorse fanno seguito le fasi di progettazione e pubblicazione
L’importo stimato è la differenza tra la dotazione finanziaria totale del PNRR (191,5 miliardi) e le risorse
destinate alla realizzazione delle riforme (2 miliardi) e a soggetti attuatori privati o i cui beneficiari sono
imprese private (35 miliardi); i rimanenti 41 miliardi sono risorse non ancora allocate o per le quali non
è disponibile un documento ufficiale di assegnazione. L’ammontare assegnato è calcolato sulla base dei
dati contenuti nei documenti ufficiali (decreti, bandi, avvisi). I soggetti attuatori comprendono Regioni e
Province autonome, Province e Città metropolitane, Comuni, Unioni di comuni, Comunità montane, altri
enti locali (università pubbliche, enti parco, ecc.), enti e imprese partecipate nazionali (RFI, Anas, Infratel
Italia, ministeri).
I progetti che non possono essere assegnati a macroaree presentano caratteristiche essenzialmente non locali
(ad es. lo sviluppo di infrastrutture digitali) o si sviluppano in più macroaree. Questi progetti vengono esclusi
dall’analisi territoriale.
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delle gare di appalto3. Secondo i dati dell’Autorità nazionale anticorruzione
(ANAC), fra gennaio del 2021 e giugno del 2023 l’importo delle gare pubblicate
relative ai progetti finanziati dal PNRR ammontava a 46,3 miliardi (il 44 per cento
delle risorse assegnate la cui spesa richiede un bando pubblico). Il Mezzogiorno è
l’area con il valore più elevato delle gare (19,1 miliardi), corrispondente al 44 per
cento dei fondi assegnati.
Nel Nord Ovest e al Centro i Comuni hanno gestito oltre il 40 per cento
delle risorse messe a gara (figura, pannello a). Nelle altre ripartizioni è stato invece
preponderante il ruolo delle Amministrazioni centrali, connesso con gli interventi di
potenziamento della rete ferroviaria.
I provvedimenti del PNRR sono raggruppati in sei missioni: digitalizzazione,
innovazione, competitività, cultura e turismo (missione 1); rivoluzione verde e
transizione ecologica (missione 2); infrastrutture per una mobilità sostenibile
(missione 3); istruzione e ricerca (missione 4); inclusione e coesione (missione 5);
salute (missione 6). Le quote più significative di risorse sono assegnate alla missione 2
(oltre il 20 per cento nel complesso del Paese) e alla missione 3, con valori differenziati
a livello territoriale (tav. a5.8).
In tutte le ripartizioni, ad eccezione del Centro, la missione 6 è caratterizzata
da una bassa incidenza dei bandi avviati in rapporto alle risorse assegnate (figura,
pannello b). Nella missione 1 il rapporto tra il valore delle gare e i fondi disponibili
Figura
Bandi per i progetti del PNRR (1)
(a) per soggetto attuatore
(miliardi di euro)
(b) per missione (2)
(valori percentuali)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Amm. centrale
Regioni
Nord Ovest
Nord Est
Province/Città metrop.
Comuni
Sud e Isole
Italia (3)
Centro
altre Amm. loc.
Fonte: elaborazioni su dati ANAC e Italia Domani; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce
Risorse e procedure di gara del PNRR.
(1) Importi messi a bando nel periodo gennaio 2021-giugno 2023, per progetti territorializzabili afferenti al PNRR. – (2) M1: digitalizzazione,
innovazione, competitività, cultura e turismo; M2: rivoluzione verde e transizione ecologica; M3: infrastrutture per una mobilità sostenibile;
M4: istruzione e ricerca; M5: inclusione e coesione; M6: salute. Il valore delle gare d’appalto è rapportato alle risorse assegnate la cui
spesa necessita della pubblicazione di un bando. – (3) Il dato nazionale comprende anche gli interventi non territorializzabili.
Non sono allocate mediante gara le risorse destinate, ad esempio, al finanziamento di programmi di ricerca o
alle borse di studio, che sono escluse da questa analisi.
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è superiore al 45 per cento in ogni macroarea ad eccezione del Nord Ovest. Per tale
missione la quota di risorse messe a bando aumenta se si includono anche le gare
non territorializzabili, che rappresentano una parte significativa degli interventi
previsti. La differente distribuzione geografica dei progetti infrastrutturali influisce
sull’ampia eterogeneità che caratterizza la realizzazione degli interventi della
missione 3: in quest’ambito la quota di risorse bandite sul totale delle assegnazioni
varia tra circa il 29 per cento nel Nord Ovest e il 69 nel Nord Est. Lo stato di
avanzamento della missione 2 beneficia di una più alta incidenza di interventi in
essere, ossia in fase di progettazione già avanzata al momento della loro inclusione
nel perimetro del Piano.
A livello di macroarea il debito è aumentato solo al Centro (a 25,3 miliardi),
mentre si è ridotto in tutte le altre ripartizioni. In rapporto alla popolazione residente
(fig. 5.2) i valori sono prossimi alla media nazionale (intorno a 1.490 euro) nel Nord
Ovest e nel Mezzogiorno; sono sensibilmente più elevati al Centro (circa 2.160) e
inferiori nel Nord Est (attorno a 980).
Figura 5.2
Debito delle Amministrazioni locali per macroarea
(euro pro capite, numeri indice: Italia=100)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia e Istat.
I dati relativi al primo semestre dell’anno in corso segnalano che il debito delle
Amministrazioni locali sarebbe diminuito in valore assoluto e ulteriormente sceso in
rapporto al prodotto.
Le politiche di coesione
Le politiche di coesione nazionali ed europee hanno l’obiettivo di ridurre i divari
territoriali. Il loro orizzonte di programmazione dura sette anni; l’attività di spesa delle
risorse a valere sul ciclo relativo al periodo 2014-2020 è ancora in corso, ma è già stata
avviata la pianificazione del ciclo 2021-27. Nei prossimi mesi il contenuto di entrambi
i cicli potrà tuttavia subire alcune modifiche volte a potenziare il coordinamento di
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queste risorse con il PNRR, anche alla luce del nuovo strumento europeo per ridurre
la dipendenza energetica dalla Russia e accelerare la transizione verde (REPowerEU)2.
Il DL 13/2023 ha esteso il sistema di monitoraggio del PNRR a tutti i finanziamenti
europei, compresi i Fondi strutturali, e ha modificato la governance delle politiche di
coesione, disponendo anche la soppressione dell’Agenzia per la coesione territoriale e
trasferendone le funzioni al Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza
del Consiglio dei ministri.
Il ciclo di programmazione 2014-2020. – Le risorse complessivamente stanziate
ammontano a circa 140 miliardi, di cui 65 per le politiche europee e la restante parte
per quelle nazionali.
Le politiche europee per la coesione sono attuate mediante i Fondi strutturali,
le cui risorse – 48 miliardi di provenienza comunitaria e 17 di cofinanziamento
nazionale3 – dovranno essere impiegate entro la fine del 2023 per evitarne il disimpegno
automatico4. Sulla base dei dati di monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato
(RGS), alla fine dello scorso giugno era stato erogato circa il 65 per cento delle risorse
programmate5. Se il ritmo di utilizzo nella rimanente parte dell’anno si mantenesse
in linea con quello dei primi sei mesi del 2023, la quota di fondi effettivamente
erogati risulterebbe di poco superiore al 70 per cento.
Le risorse sono suddivise in parti pressoché uguali fra i programmi gestiti dalle
Amministrazioni regionali e quelli operati dalle Amministrazioni centrali (tav. a5.9).
Il grado di attuazione finanziaria è al momento mediamente superiore per le prime (77
per cento), con valori particolarmente elevati per la Puglia e per alcune Amministrazioni
del Centro Nord, che gestiscono tuttavia un ammontare di risorse in rapporto al
PIL assai più contenuto (fig. 5.3). Le Amministrazioni centrali hanno utilizzato il
52 per cento delle dotazioni disponibili; anche in questo caso l’assorbimento delle
risorse è generalmente più rapido al Centro Nord, sebbene con differenze molto
meno marcate fra aree. L’attuazione è lenta soprattutto per i progetti riconducibili al
programma di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d’Europa (Recovery
Assistance for Cohesion and the Territories of Europe, React-EU), che ha integrato
la dotazione dei Fondi strutturali europei con 14 miliardi aggiuntivi, stanziati per
superare gli effetti negativi sull’economia della crisi sanitaria; di tali risorse (anch’esse
da impiegare entro il 2023) risultava speso al 30 giugno circa il 30 per cento (attorno
a 4 miliardi).
Atto n. 182. Affare assegnato concernente la Relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e
resilienza (PNRR), aggiornata al 31 maggio 2023 (Doc. XIII, n. 1), memoria della Banca d’Italia, 4a Commissione
permanente (Politiche dell’Unione europea) e 5a Commissione permanente (Programmazione economica,
bilancio), Senato della Repubblica, Roma, 12 settembre 2023.
I Fondi strutturali considerati includono il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo sociale
europeo (FSE) al netto dei programmi di Cooperazione territoriale europea.
Regolamento UE/2021/1060 recante le disposizioni comuni sui Fondi strutturali.
La quota di pagamenti salirebbe a circa il 73 per cento della dotazione disponibile considerando l’eliminazione del
cofinanziamento nazionale concordata con la Commissione europea per alcuni programmi per i periodi contabili
2020-21 e 2021-22 (stimata dalla RGS a circa 7,6 miliardi).
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Figura 5.3
Risorse e attuazione finanziaria dei programmi dei Fondi strutturali europei
gestiti dalle Amministrazioni regionali (1)
(valori percentuali)
(a) dotazioni (2)
(b) pagamenti in rapporto alle dotazioni
Fonte: RGS, Monitoraggio delle Politiche di coesione. Dati al 30 giugno 2023 riferiti al ciclo di programmazione 2014-2020.
(1) Programmi operativi regionali finanziati dal FESR e dall’FSE al netto dei programmi di Cooperazione territoriale europea. – (2) Valori in
rapporto al PIL del 2021.
Nei prossimi mesi l’attuazione finanziaria potrebbe beneficiare dell’entrata in
vigore del regolamento di REPowerEU, che consente di finanziare con i fondi europei
2014-2020 anche misure temporanee eccezionali già erogate a supporto delle famiglie
vulnerabili e delle piccole e medie imprese colpite dai rincari energetici nel periodo
2022-236.
Le politiche di coesione nazionali per gli anni 2014-2020 stanno evidenziando
un ritmo di spesa mediamente ancora più lento: al 30 giugno 2023 era stato erogato
meno di un quarto della dotazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC)7 e
appena il 10 per cento dei circa 17 miliardi destinati a programmi complementari
a quelli europei, finanziati con il Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche
comunitarie.
Sulla base delle informazioni riportate nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023,
le risorse da riprogrammare corrisponderebbero a oltre 1,6 miliardi, sostanzialmente destinate al finanziamento
del bonus sociale elettrico a sostegno delle famiglie in condizioni di disagio economico.
Dati dal portale OpenCoesione aggiornati al 30 giugno 2023. La quota di risorse spese è calcolata considerando
solo quelle monitorate, corrispondenti a circa 47 miliardi. Complessivamente, in base ai dati del Dipartimento
per le politiche di coesione, le risorse dell’FSC 2014-2020 per la coesione ammontano a 59 miliardi.
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Il ciclo di programmazione 2021-27. – Le risorse per la coesione ammontano al
momento a oltre 140 miliardi, di cui 73 a valere sui Fondi strutturali (8 in più rispetto
al ciclo precedente)8; la restante parte è finanziata dalle politiche nazionali.
L’impianto strategico delle politiche di coesione europee è stato definito
dall’Accordo di partenariato tra l’Unione europea e l’Italia, approvato il 19 luglio 2022,
in base al quale circa due terzi delle risorse sono assegnate alle regioni del Mezzogiorno
(sostanzialmente in linea con il ciclo precedente)9. La programmazione potrebbe essere
aggiornata in seguito all’introduzione del programma REPowerEU, che consente di
destinare il 7,5 per cento dei Fondi strutturali europei 2021-27 alle priorità individuate
nel capitolo dedicato del PNRR.
Con riferimento alle politiche nazionali, secondo i dati del Dipartimento per le
politiche di coesione aggiornati alla fine di giugno, le risorse a disposizione dell’FSC
ammontano a 61 miliardi; in base a quanto previsto dalla legge di bilancio per il 2021,
l’80 per cento della dotazione del Fondo dovrà essere destinata alle regioni meridionali.
A queste risorse si aggiungono 6 miliardi per finanziare programmi complementari a
quelli comunitari attraverso il Fondo di rotazione.
Considerando anche le risorse del Fondo europeo affari marittimi pesca e acquacoltura, del Fondo per una
transizione giusta, della Cooperazione territoriale europea, del Fondo sicurezza interna, dello Strumento
di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere e la politica dei visti e del Fondo asilo, migrazione e
integrazione, la cui programmazione è definita contestualmente a quella dei fondi dedicati alla coesione (FESR
e FSE+), per il ciclo di programmazione 2021-27 l’Italia avrà a disposizione complessivamente circa 78 miliardi,
di cui 45 di risorse comunitarie.
Per ulteriori dettagli, cfr. L’economia delle regioni italiane. Dinamiche recenti e aspetti strutturali, Banca d’Italia,
Economie regionali, 22, 2022.
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6. LE BANCHE
Dal quarto trimestre del 2022 i prestiti bancari al settore privato non finanziario
hanno progressivamente rallentato, per poi contrarsi nella prima metà dell’anno in
corso in tutte le aree ad eccezione del Mezzogiorno. I finanziamenti alle imprese si sono
ridotti ovunque, con una flessione più marcata al Centro. L’espansione del credito alle
famiglie è stata molto contenuta, in particolare al Centro Nord.
L’incidenza dei crediti deteriorati è ulteriormente diminuita, continuando a
riflettere i modesti flussi in ingresso e le cospicue operazioni di smobilizzo degli attivi;
resta più elevata nel Mezzogiorno. Anche il peso dei prestiti alle imprese in bonis per i
quali le banche hanno osservato un aumento del rischio di credito (stadio 2, secondo la
terminologia dello standard contabile IFRS 9) è sceso, pur mantenendosi su valori più
alti rispetto a quelli precedenti la pandemia.
La struttura dell’industria bancaria
Alla fine del 2022 il sistema bancario italiano consisteva di 438 banche individuali
o appartenenti a gruppi (18 in meno del 2021); di queste, 155 avevano sede
amministrativa nel Nord Ovest, 117 nel Nord Est, 87 al Centro e 79 nel Mezzogiorno.
È proseguito il processo di razionalizzazione della rete territoriale: dal 2009 il numero
dei punti operativi bancari è diminuito di oltre un terzo, ma ciò non ha compromesso
l’accesso ai servizi bancari, in quanto i tempi di percorrenza per raggiungere i comuni
serviti da sportelli bancari e postali rimangono in media contenuti (cfr. il riquadro: Gli
sportelli bancari sul territorio). Nel contempo l’utilizzo dei canali digitali ha continuato
ad aumentare. Nel 2022 la quota di bonifici effettuati attraverso modalità telematiche
o automatizzate ha superato per la prima volta l’80 per cento in tutte le aree (fig. 6.1.a).
Figura 6.1
Strumenti di home banking (1)
(a) quota di bonifici disposti online (2)
(valori percentuali)
(b) servizi di home banking ogni 100 abitanti (3)
(unità)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: segnalazioni di vigilanza e Istat.
(1) Si considera solo la clientela retail (famiglie consumatrici e produttrici). – (2) Quota degli ordini di bonifico effettuati per via telematica
o telefonica. – (3) Numero di clienti (solo famiglie) con servizi di home banking di tipo informativo e/o dispositivo ogni 100 abitanti; sono
esclusi i servizi di phone banking.
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Economie regionali
Permane un ampio divario nella diffusione dei contratti di home banking tra le regioni
del Nord e quelle del Centro e, soprattutto, del Mezzogiorno, dove il dato è inferiore a
50 clienti ogni 100 abitanti (fig. 6.1.b).
GLI SPORTELLI BANCARI SUL TERRITORIO
Negli ultimi 15 anni la rete territoriale dei gruppi bancari ha subito profondi
mutamenti. Il numero di sportelli ha iniziato a diminuire nel 2009, riflettendo sia
la ricerca di maggiore efficienza operativa da parte degli intermediari, sia importanti
riorganizzazioni del settore (cfr. L’Economia delle regioni italiane. Dinamiche
recenti e aspetti strutturali, Banca d’Italia, Economie regionali, 23, 2017). Il calo
si è successivamente intensificato, stimolato dalle innovazioni tecnologiche e dalle
nuove abitudini di pagamento della clientela: tra il 2015 e il 2022 gli sportelli si
sono ridotti del 30,7 per cento1, a 35,7 unità ogni 100.000 abitanti2.
La flessione è stata maggiore al
Centro (32,3 per cento) e più contenuta
nel Mezzogiorno (27,5). Questo
diverso andamento ha contribuito ad
attenuare il divario territoriale, che
resta tuttavia ampio: alla fine del 2022
il numero di sportelli bancari ogni
100.000 abitanti era compreso tra
48, nelle regioni del Nord Est, e 23,
in quelle del Mezzogiorno (figura A e
tav. a6.1).
Figura A
Sportelli bancari
(unità per 100.000 abitanti)
Italia
Nord Nord Centro Sud e Italia Nord Nord Centro Sud e
Ovest Est
Isole
Ovest Est
Isole
segnalazioni
degli intermediari (cfr. nelle Note
media area dell’euro (1)
metodologiche. L’economia delle regioni
italiane sul 2022 la voce Sportelli Fonte: archivi anagrafici degli intermediari, Istat ed Eurostat.
bancari sul territorio), oltre il 60 per (1) Per i paesi dell’area dell’euro i dati sono disponibili fino al 2021.
cento delle chiusure è riconducibile
alla riorganizzazione del settore e alla razionalizzazione delle reti distributive.
Le chiusure di altro tipo hanno riguardato per lo più comuni di dimensione
compresa fra 1.000 e 20.000 abitanti, con un grado di urbanizzazione intermedio.
Alla fine del 2022 non era presente uno sportello bancario nel 39,9 per cento
dei comuni (28,4 alla fine del 2015). Questa quota, più elevata nel Mezzogiorno e
nel Nord Ovest, era particolarmente contenuta nel Nord Est (figura B e tav. a6.2).
Rispetto al 2008 il calo era dell’11,4 per cento alla fine del 2015; è del 38,6 nell’intero periodo esaminato.
Una dinamica simile si è osservata anche negli altri paesi dell’area dell’euro, dove alla fine del 2021 ? ultimo
anno per il quale sono disponibili i dati ? la dotazione di punti operativi si collocava in media a 33 sportelli
ogni 100.000 abitanti.
Economie regionali
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Figura B
Distribuzione degli sportelli bancari (1)
(unità per 100.000 abitanti)
(a) Nord
(b) Centro, Sud e Isole
Fonte: archivi anagrafici degli intermediari e Istat.
(1) I dati si riferiscono alla fine del 2022. I valori indicati nelle legende rappresentano i quartili della distribuzione nazionale degli sportelli
a livello comunale.
I comuni privi di sportelli hanno un livello di attività economica modesto e un
reddito imponibile delle persone fisiche inferiore alla media nazionale. La percentuale
di popolazione che vi risiede varia tra il 2,2 per cento nel Nord Est e il 10,4 nel
Mezzogiorno.
Considerando anche gli sportelli postali, che sono in grado di offrire servizi
analoghi a quelli delle dipendenze bancarie, la quota dei comuni non serviti scende
sensibilmente, al 2,7 per cento del totale; l’incidenza è massima nel Nord Ovest
(5,9 per cento), molto bassa nel Mezzogiorno (0,5 per cento) e pressoché nulla al
Centro. In 13 regioni tutti i comuni hanno almeno uno sportello bancario o postale;
la popolazione che risiede in comuni non serviti da tali sportelli corrisponde allo
0,2 per cento del totale nazionale.
L’assenza di uno sportello bancario o postale nel comune si associa frequentemente
a carenze in altri servizi: ad esempio, in tre su cinque non è disponibile una
tabaccheria, in uno su quattro manca una scuola, solo in uno su dieci è attiva una
farmacia e raramente è presente una stazione ferroviaria.
I tempi di percorrenza per raggiungere in automobile i comuni serviti da
uno sportello bancario o postale sono tuttavia contenuti: meno di dieci minuti in
quelli più lontani (ultimo quartile della distribuzione). Inoltre la crescente offerta
di servizi bancari e postali online consente di accedere a questi servizi anche da
remoto: nei comuni privi di sportelli bancari o postali oltre il 70 per cento delle
famiglie ha la possibilità di collegarsi alla rete fissa ad alta velocità.
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Economie regionali
I finanziamenti e la qualità del credito
I finanziamenti. – Nel 2022 il tasso di crescita dei prestiti delle banche
al settore privato non finanziario è sceso, per effetto del forte rallentamento
dell’ultimo trimestre, principalmente al Centro Nord. Nei primi sei mesi del
2023 il credito ha iniziato a contrarsi in tutte le aree ad eccezione del Mezzogiorno
(tav. a6.3).
Lo scorso anno la dinamica dei finanziamenti ha riflesso in prevalenza quella
dei prestiti al settore produttivo. Nei dodici mesi terminanti in dicembre il credito
alle aziende si è infatti ridotto lievemente: si è osservata una contrazione nel Nord
Ovest e, soprattutto, al Centro (cfr. il capitolo 2: Le imprese), dove nella seconda
parte dell’anno i criteri di offerta si sono inaspriti più che in altre ripartizioni;
il credito ha continuato invece ad aumentare per le imprese del Nord Est e del
Mezzogiorno (1,0 e 2,0 per cento, rispettivamente). Nel primo semestre del 2023
la flessione dei prestiti si è intensificata (fig. 6.2.a), risentendo sia di una decisa
caduta della domanda di credito, sia di un ulteriore irrigidimento delle condizioni
di offerta (cfr. il riquadro: L’andamento della domanda e dell’offerta di credito
nei primi sei mesi del 2023). Il calo dei finanziamenti è proseguito in estate e ha
riguardato ogni macroarea.
Nel 2022 i prestiti alle famiglie sono ulteriormente cresciuti in ogni ripartizione
territoriale, a tassi pressoché simili a quelli dell’anno precedente (fig. 6.2.b).
A seguito del progressivo aumento dei tassi di interesse (tav. a6.4), dal quarto
trimestre il credito alle famiglie ha iniziato a rallentare, soprattutto per effetto della
decelerazione dei mutui per l’acquisto di abitazioni (cfr. il capitolo 3: Le famiglie);
l’indebolimento si è accentuato nella prima parte del 2023, in misura più marcata
al Centro Nord.
Figura 6.2
Prestiti bancari (1)
(dati mensili; variazioni percentuali sui 12 mesi)
(a) imprese (2)
(b) famiglie consumatrici
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: segnalazioni di vigilanza; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Prestiti bancari.
(1) I dati di agosto 2023 sono provvisori. – (2) Società non finanziarie e famiglie produttrici.
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L’ANDAMENTO DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA DI CREDITO NEI PRIMI SEI MESI DEL 2023
Secondo l’indagine sull’andamento della domanda e dell’offerta di credito a
livello territoriale (Regional Bank Lending Survey, RBLS) svolta tra agosto e settembre,
nel primo semestre del 2023 in tutte le aree del Paese si è intensificato il calo della
domanda di prestiti da parte delle imprese; la flessione è stata più accentuata al Centro
(figura A, pannello a). In un contesto di rallentamento congiunturale e di rialzo dei
tassi di interesse, sono diminuite le richieste sia per il sostegno degli investimenti,
soprattutto nel Nord Ovest e al Centro, sia per la copertura del capitale circolante,
anche per la disponibilità di fonti di finanziamento interne.
I criteri di offerta applicati dalle banche ai prestiti alle aziende sono divenuti
più restrittivi in ogni ripartizione, in misura lievemente più marcata nel Nord Est e
nel Mezzogiorno (figura A, pannello b). La maggiore selettività degli intermediari è
riconducibile all’accresciuto costo della provvista e al peggioramento della rischiosità
percepita, soprattutto per particolari settori, imprese o aree. L’irrigidimento delle
condizioni, più diffuso tra le banche di minore dimensione, si è manifestato attraverso
una riduzione delle quantità concesse e un incremento degli spread applicati sulle
posizioni giudicate più rischiose.
Figura A
Domanda e offerta di credito delle imprese (1)
(indici di diffusione)
(a) domanda (2)
(b) offerta (3)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: RBLS; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Indagine regionale sul credito bancario
(Regional Bank Lending Survey, RBLS).
(1) L’indice di diffusione sintetizza le informazioni sull’evoluzione della domanda e dell’offerta di credito nei 2 semestri dell’anno. –
(2) Valori positivi (negativi) dell’indice segnalano un’espansione (contrazione) della domanda. – (3) Valori positivi (negativi) dell’indice
segnalano una restrizione (allentamento) dell’offerta.
In tutte le macroaree la domanda di prestiti per l’acquisto di abitazioni da parte
delle famiglie si è indebolita (figura B, pannello a; cfr. il paragrafo: L’indebitamento
delle famiglie del capitolo 3), soprattutto al Centro. Dopo la decisa contrazione nel
secondo semestre del 2022, nella prima parte del 2023 le richieste di credito per
finalità di consumo sono tornate ad aumentare.
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Economie regionali
I criteri di offerta si sono irrigiditi per i mutui alle famiglie per l’acquisto di
abitazioni (figura B, pannello b) e, maggiormente, per il credito al consumo. Gli
intermediari hanno segnalato un peggioramento delle condizioni applicate sui mutui
in termini di: (a) percentuale finanziata (rapporto tra l’ammontare del prestito e
quello dell’immobile a garanzia, loan-to-value ratio); (b) scoring1 interno minimo per
l’accesso al credito; (c) garanzie richieste a sostegno dei prestiti. I margini mediamente
applicati alla clientela si sono invece lievemente ridotti. La maggiore selettività da
parte delle banche è riconducibile ai più elevati costi della provvista e all’accresciuta
percezione del rischio sulle prospettive economiche.
Figura B
Domanda e offerta di prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni (1)
(indici di diffusione)
(a) domanda (2)
(b) offerta (3)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: RBLS; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Indagine regionale sul credito bancario
(Regional Bank Lending Survey, RBLS).
(1) L’indice di diffusione sintetizza le informazioni sull’evoluzione della domanda e dell’offerta di credito nei 2 semestri dell’anno. –
(2) Valori positivi (negativi) dell’indice segnalano un’espansione (contrazione) della domanda. – (3) Valori positivi (negativi) dell’indice
segnalano una restrizione (allentamento) dell’offerta.
Per la seconda parte dell’anno in corso le banche prefigurano un ulteriore
rallentamento della domanda di finanziamenti di famiglie e imprese, a fronte di un
orientamento dell’offerta ancora improntato alla cautela.
La clientela è classificata in base a metodologie statistiche (credit scoring) che forniscono una rappresentazione
in termini predittivo-probabilistici del profilo di rischio.
La qualità del credito. – Nel 2022 il flusso dei nuovi prestiti deteriorati in
rapporto a quelli in bonis di inizio periodo (tasso di deterioramento) ha continuato
a mantenersi su livelli bassi in tutto il Paese. L’indicatore è rimasto su valori
contenuti anche nel primo semestre dell’anno in corso, nonostante il progressivo
peggioramento del quadro congiunturale e il rialzo dei tassi di interesse: nella media
dei quattro trimestri terminanti a giugno del 2023, il tasso di deterioramento nel
Mezzogiorno si è confermato più elevato di quello delle altre aree (1,4 per cento;
Economie regionali
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tav. a6.5); tuttavia il differenziale dell’indicatore rispetto al Centro Nord si è più che
dimezzato nel confronto con il periodo precedente la pandemia, riflettendo anche
il maggiore ricorso delle imprese meridionali alle misure di sostegno alla liquidità
introdotte a partire dal 20201.
Il tasso di deterioramento dei prestiti al settore produttivo è rimasto
sostanzialmente invariato, dopo il lieve incremento verificatosi nel corso del 2021
(fig. 6.3.a). L’indicatore relativo ai finanziamenti delle famiglie consumatrici si è
invece ridotto nel 2022, collocandosi per la prima volta al di sotto dell’1 per cento in
tutte le aree, per poi salire leggermente nella prima parte del 2023, in particolare nel
Sud e nelle Isole (fig. 6.3.b).
Figura 6.3
Tasso di deterioramento dei prestiti (1)
(dati trimestrali; in percentuale dei prestiti)
(a) imprese (2)
(b) famiglie consumatrici
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: Centrale dei rischi; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Qualità del credito.
(1) I valori sono calcolati come medie mobili di 4 trimestri del rapporto, espresso in ragione d’anno, tra il flusso di prestiti deteriorati rettificati
e le consistenze dei prestiti non deteriorati in essere alla fine del periodo precedente. – (2) Società non finanziarie e famiglie produttrici.
Nel 2022 la quota dei crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti è ancora
diminuita: al lordo delle rettifiche di valore, a dicembre si è collocata tra il 2,5 per
cento al Centro e il 5,2 nel Mezzogiorno, in calo di oltre un punto percentuale in tutte
le aree rispetto all’anno precedente. Vi hanno contribuito le operazioni di cessione
di queste posizioni, che hanno beneficiato della proroga fino al giugno 2022 del
periodo di operatività della Garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (Gacs).
Nel 2022 in ogni ripartizione le banche hanno ceduto o cartolarizzato oltre un terzo delle
esposizioni che risultavano in sofferenza alla fine del 2021 (cfr. nelle Note metodologiche.
L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Cessioni dei prestiti in sofferenza);
ovunque le dismissioni hanno riguardato in misura maggiore i prestiti in sofferenza
delle imprese, a differenza del 2021 quando invece avevano interessato soprattutto i
finanziamenti delle famiglie (cfr. L’economia delle regioni italiane. Dinamiche recenti e
D. Arnaudo, M. Cascarano, R. Greco, V. Michelangeli, L. Mirenda e D. Revelli, I divari territoriali nel ricorso
delle imprese a moratorie e garanzie pubbliche durante la pandemia, Banca d’Italia, Questioni di economia e
finanza, 736, 2022.
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Economie regionali
aspetti strutturali, Banca d’Italia, Economie regionali, 22, 2022). L’attività di smobilizzo
degli attivi è proseguita nella prima parte del 2023, seppure per importi più contenuti.
In base ai dati delle segnalazioni di vigilanza individuali, nel 2022 il rapporto tra
le rettifiche di valore e l’ammontare lordo dei crediti deteriorati (tasso di copertura)
è sceso in tutte le aree, collocandosi tra il 50,6 per cento nel Nord Ovest e il 58,1 nel
Nord Est; vi ha inciso l’attività di cessione delle sofferenze, che sono caratterizzate
da livelli di copertura mediamente superiori. Nel complesso, la quota delle rettifiche
relative ai prestiti in bonis non è salita, sebbene nei settori più esposti al rialzo dei
costi energetici i tassi di copertura siano cresciuti (cfr. il riquadro: Gli effetti sul
rischio di credito del rialzo dei costi energetici: un’analisi per i principali paesi dell’area
dell’euro del capitolo 2 nel Rapporto sulla stabilità finanziaria, 1, 2023).
Secondo le informazioni della rilevazione analitica dei prestiti bancari alle imprese
(AnaCredit), nel 2022 è diminuita l’incidenza dei finanziamenti che hanno registrato
un significativo incremento del rischio di credito (cui segue il passaggio dallo stadio 1
allo stadio 2 della classificazione prevista dal principio contabile IFRS 9) sul totale
dei crediti in bonis. La riduzione è proseguita anche nella prima parte del 2023,
più intensamente nelle regioni del Mezzogiorno: l’indicatore è sceso al di sotto del
15 per cento in tutte le ripartizioni, restando comunque su valori più elevati di quelli
precedenti la pandemia (fig. 6.4).
Figura 6.4
Incidenza dei prestiti alle imprese classificati in stadio 2 (1)
(valori percentuali; dati di fine periodo)
Nord Ovest
dic. 2019
Nord Est
dic. 2020
Centro
dic. 2021
Sud e Isole
dic. 2022
giu. 2023
Fonte: AnaCredit; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Prestiti bancari.
(1) Quota sul totale dei finanziamenti in bonis (classificati in stadio 1 o 2 secondo il principio contabile IFRS 9) in essere a ciascuna data
di riferimento. Ai fini del confronto intertemporale, il totale dei finanziamenti in bonis comprende anche i prestiti originati tra una data di
riferimento e quella precedente e che, al momento dell’erogazione, sono stati classificati automaticamente in stadio 1.
Economie regionali
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APPENDICE STATISTICA
INDICE
1. Il quadro di insieme
Tav. a1.1 Tassi di crescita del PIL
2. Le imprese
Tav. a2.1
” a2.2
” a2.3
” a2.4
” a2.5
” a2.6
” a2.7
” a2.8
Valore aggiunto per settore e area geografica
Fatturato e investimenti delle imprese con almeno 20 addetti
Costruzioni nel 2022
Produttività delle aziende agricole
Esportazioni reali e domanda potenziale nel 2022
Tassi di crescita delle esportazioni (FOB) per settore nel 1° semestre 2023
Tassi di crescita delle esportazioni (FOB) per destinazione nel 1° semestre 2023
Prestiti bancari alle imprese per branca di attività economica a giugno 2023
3. Le famiglie
Tav. a3.1
” a3.2
” a3.3
” a3.4
” a3.5
” a3.6
Inflazione nelle divisioni di spesa a settembre 2023
Famiglie in povertà energetica per caratteristiche della persona di riferimento
nel nucleo e dimensioni della famiglia
Famiglie in povertà energetica per caratteristiche delle abitazioni
Componenti della ricchezza delle famiglie
Numero di transazioni di immobili a uso residenziale per regione
e area geografica
Prestiti di banche e società finanziarie alle famiglie consumatrici
4. Il mercato del lavoro
Tav. a4.1
” a4.2
” a4.3
” a4.4
Occupati e forze di lavoro
Dinamica nella struttura dell’occupazione nel 2022
Ore autorizzate di Cassa integrazione guadagni (CIG) e di Fondi
di solidarietà (FdS)
Principali indicatori del mercato del lavoro
5. Le politiche pubbliche
Tav. a5.1
” a5.2
” a5.3
” a5.4
” a5.5
” a5.6
Conto consolidato delle Amministrazioni locali
Entrate tributarie correnti delle Amministrazioni locali
Spesa energetica degli enti territoriali
Incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel 2021
Caratteristiche del patrimonio immobiliare degli enti territoriali
Personale delle strutture sanitarie pubbliche ed equiparate
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Economie regionali
Tav. a5.7 Risorse del PNRR assegnate per il periodo 2021-26 per soggetto attuatore
” a5.8 Risorse del PNRR assegnate per il periodo 2021-26 per missioni e componenti 89
” a5.9 Avanzamento dei programmi comunitari FESR e FSE 2014-2020
6. Le banche
Tav. a6.1
” a6.2
” a6.3
” a6.4
” a6.5
Sportelli bancari e postali per popolazione dei comuni
Caratteristiche dei comuni privi di sportelli alla fine del 2022
Prestiti bancari per settore di attività economica a giugno 2023
Tassi di interesse bancari attivi a giugno 2023
Qualità del credito: tasso di deterioramento a giugno 2023
Economie regionali
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Tavola a1.1
Tassi di crescita del PIL (1)
(variazioni percentuali)
REGIONI E AREE GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Prov. aut. di Bolzano
Prov. aut. di Trento
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Centro Nord
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
per memoria:
Italia (revisione: settembre 2023)
2007-2022 (2) 2019-2022 (2)
-11,5
-13,2
-10,0
-10,4
-10,0
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Conti economici nazionali, Conti economici territoriali e Stima preliminare del PIL e dell’occupazione a livello territoriale per il 2022.
(1) Variazioni percentuali su valori concatenati; anno di riferimento 2015. I dati non incorporano le revisioni dei conti nazionali diffusi dall’Istat a settembre 2023 (cfr. Istat,
Anni 2020-2022. Conti economici nazionali. Prodotto interno lordo e indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, Statistiche flash, 22 settembre 2023). L’esito
delle revisioni è riportato per memoria nell’ultima riga della tavola. – (2) Tassi di crescita cumulati.
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Economie regionali
Tavola a2.1
Valore aggiunto per settore e area geografica (1)
(variazioni percentuali)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Centro Nord
Sud e Isole
Italia
Per memoria:
Italia
(revisione:
settembre
2023)
-12,7
-30,2
-11,3
-11,2
-22,5
-18,7
-19,7
Agricoltura, silvicoltura e pesca
2007-2022 (3)
2019-2022 (3)
-14,1
-15,9
-11,1
-10,6
Industria in senso stretto
2007-2022 (3)
2019-2022 (3)
-11,3
-10,4
-10,3
-11,9
-13,1
2007-2022 (3)
2019-2022 (3)
-20,5
-25,7
-11,1
Costruzioni
-17,4
Servizi
2007-2022 (3)
2019-2022 (3)
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Conti economici nazionali, Conti economici territoriali e Stima preliminare del PIL e dell’occupazione a livello territoriale per il 2022.
(1) Variazioni percentuali su valori concatenati; anno di riferimento 2015. – (2) I dati non incorporano le revisioni dei conti nazionali diffusi dall’Istat a settembre 2023
(cfr. Istat, Anni 2020-2022. Conti economici nazionali. Prodotto interno lordo e indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, Statistiche flash, 22 settembre
2023), i cui effetti per l’Italia nel suo complesso sono riportati per memoria nell’ultima colonna. – (3) Tassi di crescita cumulati.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a2.2
Fatturato e investimenti delle imprese con almeno 20 addetti
(variazioni percentuali sull’anno precedente e valori percentuali)
Variazione del fatturato nel 2022 (1)
Fatturato gen.-set. 2023 su gen.-set. 2022 (2)
quota in aumento
quota in calo
Prospettive del fatturato a 6 mesi (2) (3)
quota in aumento
quota in calo
Variazione degli investimenti nel 2022 (1)
Variazione programmata degli investimenti nel 2023 (1)
Investimenti effettivi nel 2023 su quelli programmati a fine 2022 (2)
quota in aumento
quota in calo
Investimenti programmati nel 2024 rispetto al 2023 (2)
quota in aumento
quota in calo
Variazione del fatturato nel 2022 (1)
Fatturato gen.-set. 2023 su gen.-set. 2022 (2)
quota in aumento
quota in calo
Prospettive del fatturato a 6 mesi (2) (3)
quota in aumento
quota in calo
Variazione degli investimenti nel 2022 (1)
Variazione programmata degli investimenti nel 2023 (1)
Investimenti effettivi nel 2023 su quelli programmati a fine 2022 (2)
quota in aumento
quota in calo
Investimenti programmati nel 2024 rispetto al 2023 (2)
quota in aumento
quota in calo
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Industria in senso stretto
-14,7
Italia
Servizi privati non finanziari
Fonte: Banca d’Italia, Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (Invind) e Sondaggio congiunturale sulle imprese industriali e dei servizi (Sondtel); cfr. nelle Note
metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 le voci Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (Invind) e Sondaggio congiunturale sulle imprese
industriali e dei servizi (Sondtel).
(1) Dati di fonte Invind; interviste svolte nella primavera 2023. Statistiche ponderate per il peso di riporto al numero delle imprese dell’universo. Valori a prezzi costanti
calcolati sulla base dei deflatori medi rilevati nell’indagine; elaborazioni basate su dati elementari winsorizzati. – (2) Dati di fonte Sondtel; interviste svolte nei mesi di
settembre e ottobre 2023. Valori ponderati per il numero di addetti. – (3) Rispetto al momento dell’intervista.
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Economie regionali
Tavola a2.3
Costruzioni nel 2022
(variazioni percentuali sull’anno precedente)
Valore aggiunto (1)
Valore della produzione (2) (3)
di cui: in opere pubbliche
Valore dei bandi per le opere pubbliche (4) (5)
Numero dei bandi per le opere pubbliche (5) (6)
Nuove abitazioni (7)
Superficie dei nuovi fabbricati non residenziali (7)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Italia
-13,7
239,1
-18,8
114,8
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia, Cresme e Istat.
(1) Istat, Stima preliminare del PIL e dell’occupazione a livello territoriale. Variazioni percentuali su valori concatenati; anno di riferimento 2015. I dati non incorporano
le revisioni dei conti nazionali diffusi dall’Istat a settembre 2023 (cfr. Istat, Anni 2020-2022. Conti economici nazionali. Prodotto interno lordo e indebitamento netto delle
Amministrazioni pubbliche, Statistiche flash, 22 settembre 2023). – (2) Banca d’Italia, Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (Invind); cfr. nelle Note metodologiche.
L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Indagine sulle imprese industriali e dei servizi (Invind). – (3) Valori a prezzi costanti. – (4) Valori a prezzi correnti di fonte
Cresme. I dati includono i bandi con concessioni di servizi per la distribuzione del gas e quelli dei servizi gestionali relativamente agli affidamenti di importo superiore a 50
milioni di euro per servizi integrati nei settori acqua, rifiuti e sanità. – (5) Il totale Italia comprende anche i bandi non ripartibili a livello territoriale. Per il 2022 il dato su questi
ultimi è stato rivisto e incorpora quattro bandi pluriregionali originariamente attribuiti al Nord Ovest, ma poi scorporati in quanto riferiti anche al Lazio. – (6) Sono compresi
anche i bandi di importo non segnalato. – (7) Istat, Statistiche sui permessi di costruire. Dati riferiti al numero di abitazioni in fabbricati residenziali nuovi e superficie totale
dei fabbricati non residenziali nuovi. A partire dall’edizione 2020 è stato modificato il processo di imputazione delle mancate risposte e, in concomitanza con la diffusione
delle tavole di dati 2021, l’Istat ha pubblicato anche la ricostruzione delle serie dal 2010 al 2019 sulla base della nuova procedura.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a2.4
Produttività delle aziende agricole (1)
(euro)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Italia
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Italia
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Italia
Prodotto medio (2)
83.520
109.202
61.047
86.188
36.657
48.140
22.505
31.597
36.108
51.047
Produttività della superficie coltivata (3)
5.365
5.785
6.059
5.943
6.220
6.646
4.006
4.215
4.175
3.980
3.588
3.445
4.594
4.553
4.614
Produttività del lavoro (4)
63.441
65.465
73.644
59.635
69.761
66.891
40.649
46.823
48.418
29.296
32.941
34.500
40.652
46.197
48.418
54.667
42.616
23.059
16.859
25.271
Fonte: elaborazioni su dati Istat.
(1) Valori concatenati, anno di riferimento 2015. – (2) Rapporto tra valore della produzione e numero delle aziende. – (3) Rapporto tra valore della produzione e superficie
(in ettari). – (4) Rapporto tra valore della produzione e unità di lavoro.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a2.5
Esportazioni reali e domanda potenziale nel 2022
(variazioni percentuali sull’anno precedente)
REGIONI E AREE
GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Prov. aut. di Bolzano
Prov. aut. di Trento
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Centro Nord
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Totale
Esportazioni
reali (1)
-24,6
Area dell’euro
Domanda
potenziale (2)
Esportazioni
reali (1) (3)
-13,7
Domanda
potenziale (2)
Extra area dell’euro
Esportazioni
reali (1) (3)
-33,3
-10,1
Domanda
potenziale (2)
Fonte: elaborazioni su dati Istat e FMI; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Esportazioni reali e domanda potenziale.
(1) Le esportazioni di beni in volume a livello regionale sono stimate deflazionando le esportazioni in valore con i prezzi della produzione industriale italiana venduta
all’estero. – (2) La domanda potenziale è calcolata come media ponderata delle importazioni in volume dei partner commerciali della regione, pesate con le rispettive
quote sulle esportazioni regionali in valore. – (3) Per alcuni settori la serie dei prezzi dei beni esportati non contiene la distinzione fra intra ed extra area dell’euro; in questi
casi l’informazione è stata ricostruita utilizzando l’aggregato di livello superiore o i valori medi unitari di fonte Istat. Di conseguenza si possono verificare casi in cui il tasso
di crescita complessivo delle esportazioni reali non è compreso fra quello delle vendite all’interno e quello delle vendite all’esterno dell’area.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a2.6
Tassi di crescita delle esportazioni (FOB) per settore nel 1° semestre 2023
(variazioni percentuali sul periodo corrispondente a prezzi correnti)
REGIONI E AREE
GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
Alimentari, Tradizionali
bevande
e tabacco
-12,4
-11,6
101,9
Chimici,
Metalli
Computer,
farmac.,
e prodotti apparecchi
gomma,
in metallo
plastica e
macchinari
minerali non
metalliferi
-15,8
-15,9
-11,5
-15,3
-21,2
-14,0
-19,1
-23,4
-11,2
-22,3
-11,6
-12,3
-31,7
-12,5
-31,3
-16,5
-34,3
-23,6
-19,4
-11,2
-21,3
Mezzi di
trasporto
-47,8
110,0
-58,8
-30,8
-56,8
Petrolio Altri prodotti
e prodotti
della
raffinazione
del petrolio
-39,0
-40,9
-33,1
-29,3
156,5
-44,8
-37,7
-12,1
-21,4
-23,7
-27,3
-22,4
-20,0
-11,3
-24,5
-16,8
-33,0
Totale
-19,3
-17,2
-24,3
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Le esportazioni delle regioni italiane.
(1) Per beni tradizionali si intendono: tessili e abbigliamento; cuoio, pelli e calzature; altri manifatturieri (mobili, gioielleria, strumenti musicali, articoli sportivi, giochi e
giocattoli, strumenti medici e altri manifatturieri non altrimenti classificati). – (2) Per petrolio e prodotti della raffinazione del petrolio si intendono: fabbricazione di prodotti
di cokeria; fabbricazione di prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio; estrazione di petrolio greggio; estrazione di gas naturale.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a2.7
Tassi di crescita delle esportazioni (FOB) per destinazione nel 1° semestre 2023
(variazioni percentuali sul periodo corrispondente a prezzi correnti)
UE-27
REGIONI E AREE
GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
Extra UE-27
Totale
dell’euro
Altri paesi
UE-27
Totale
Altri
europei
-21,3
-11,1
-16,5
-28,3
-24,0
-12,7
-17,3
-28,9
-10,8
-13,6
-17,0
-12,2
-21,8
-17,0
-29,5
-21,3
-18,1
-16,3
-13,9
-39,0
America
centroAmerica meridionale
-42,3
-30,5
-47,4
-13,6
-12,4
-34,2
-20,6
-11,6
-35,4
-89,0
-33,0
Totale
Altri extra
-29,2
181,0
-27,7
-12,5
-36,4
104,7
-14,4
-36,6
-49,0
-18,9
-26,4
-19,3
-17,2
-24,3
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Le esportazioni delle regioni italiane.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a2.8
Prestiti bancari alle imprese per branca di attività economica a giugno 2023
(variazioni percentuali sui 12 mesi)
REGIONI E AREE GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Trentino-Alto Adige
Prov. aut. di Bolzano
Prov. aut. di Trento
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Centro Nord
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
Manifattura
-18,1
Costruzioni
Servizi
Totale (1)
-11,8
-11,8
Fonte: segnalazioni di vigilanza; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Prestiti bancari.
(1) Il totale include anche i settori primario, estrattivo, fornitura energia elettrica, acqua e gas e le attività economiche non classificate o non classificabili.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a3.1
Inflazione nelle divisioni di spesa a settembre 2023 (1)
(variazioni percentuali sui 12 mesi)
Prodotti alimentari e bevande analcoliche
Bevande alcoliche e tabacchi
Abbigliamento e calzature
Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili
Mobili, articoli e servizi per la casa
Servizi sanitari e spese per la salute
Trasporti
Comunicazioni
Ricreazione, spettacoli e cultura
Istruzione
Servizi ricettivi e di ristorazione
Altri beni e servizi
Indice generale
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Isole
Italia
Fonte: Istat.
(1) Variazioni percentuali dell’indice nazionale dei prezzi al consumo (NIC). Cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Aumento
dei prezzi al consumo e povertà energetica.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a3.2
Famiglie in povertà energetica per caratteristiche della persona di riferimento
nel nucleo e dimensioni della famiglia
(media 2017-2021)
Nord Ovest
Nord Est
Donne
Uomini
Fino a licenza media
Diploma
Almeno la laurea
Quattro o più
Totale
Isole
Italia
Incidenza Migliaia Incidenza Migliaia Incidenza Migliaia Incidenza Migliaia Incidenza Migliaia Incidenza Migliaia
di unità
di unità
di unità
di unità
di unità
di unità
18-34 anni
35-64 anni
65 anni e oltre
Occupato
In cerca di occupazione
Ritirato dal lavoro o altro
Centro
Classe di età
Genere
Titolo di studio
Condizione lavorativa
Numero componenti del nucleo
1.150
1.317
1.589
1.038
2.206
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Indagine sulle spese delle famiglie. Cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Aumento dei prezzi
al consumo e povertà energetica.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a3.3
Famiglie in povertà energetica per caratteristiche delle abitazioni
(media 2017-2021)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Isole
Italia
Incidenza Migliaia Incidenza Migliaia Incidenza Migliaia Incidenza Migliaia Incidenza Migliaia Incidenza Migliaia
di unità
di unità
di unità
di unità
di unità
di unità
Assente
Presente
Proprietà
Affitto, uso gratuito
o usufrutto
Precedente al 1950
1950-59
1960-69
1970-79
1980-89
1990-99
Dal 2000 in poi
Totale
Allacciamento alla rete del gas
Titolo di occupazione
Anno di costruzione dell’immobile
1.362
1.068
1.139
2.206
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Indagine sulle spese delle famiglie. Cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Aumento dei prezzi
al consumo e povertà energetica.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a3.4
Componenti della ricchezza delle famiglie (1)
(miliardi e migliaia di euro a prezzi correnti)
REGIONI E AREE
GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Trentino-Alto Adige
Prov. aut. di Bolzano
Prov. aut. di Trento
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
Attività
reali
Attività
finanz.
434,3
1.140,4
299,1
1.894,0
174,8
544,9
119,2
582,6
1.421,5
3.315,5
511,3
161,5
917,3
1.668,9
101,0
467,0
286,5
104,7
338,1
149,1
1.499,1
6.483,5
358,6
951,0
128,1
1.447,6
349,5
422,3
931,7
2.379,4
254,3
351,3
747,9
226,5
142,8
159,4
743,8
3.871,1
Passività Ricchezza Ricchezza Ricchezza Attività
finanz.
netta
netta pro netta /
reali
capite reddito (2)
181,6
270,5
190,0
460,4
190,6
195,2
846,2
728,8
1.909,8
404,3
3.071,2
233,6
121,5
112,1
817,2
182,9
929,6
2.163,2
5.234,4
705,6
116,7
230,3
1.173,5
2.226,2
146,6
643,4
389,5
150,7
449,1
188,3
2.047,8
9.508,3
166,6
224,8
199,8
254,8
196,3
231,9
246,1
218,2
169,5
149,8
217,4
191,0
194,1
192,4
133,4
150,2
216,2
193,5
111,3
111,2
114,0
160,6
389,4
1.208,0
254,4
1.872,8
202,3
112,3
550,5
116,2
544,8
1.413,9
3.286,7
450,2
142,8
790,2
1.452,5
406,9
276,2
117,0
314,8
176,2
1.447,0
6.186,2
Attività
finanz.
484,2
1.423,8
163,9
2.084,9
132,9
508,2
122,9
558,9
1.322,9
3.407,9
341,1
127,8
475,2
1.010,5
304,5
199,0
207,7
998,9
5.417,2
Passività Ricchezza Ricchezza Ricchezza
finanz.
netta
netta pro netta /
capite reddito (2)
797,9
218,8 2.413,0
392,3
322,6 3.635,1
309,7
171,2
138,5
970,4
218,1
85,7 1.018,0
220,5 2.516,3
543,1 6.151,4
718,8
121,7
246,2
116,4 1.149,0
227,3 2.235,7
165,0
650,4
425,7
179,3
466,7
228,7
233,0 2.212,9
1.003,4 10.600,0
187,1
258,4
242,2
259,1
229,1
288,0
320,8
255,7
199,7
182,1
229,6
217,6
224,2
195,4
141,1
165,1
200,8
190,2
129,1
122,9
115,6
108,4
112,3
144,0
110,9
179,3
Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia e Istat; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Ricchezza delle famiglie.
(1) Dati riferiti alle famiglie consumatrici e produttrici e alle istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie (o Istituzioni sociali private, Isp) residenti nelle aree.
I dati sulle attività reali, sulle attività e passività finanziarie e sulla ricchezza netta sono espressi in miliardi di euro; i valori pro capite sono espressi in migliaia di euro.
Eventuali disallineamenti sono dovuti agli arrotondamenti. Eventuali differenze rispetto a pubblicazioni precedenti sono dovute ad aggiornamenti dei dati nazionali e a
innovazioni metodologiche nei criteri di regionalizzazione. – (2) Il reddito disponibile lordo è tratto dalla contabilità regionale e si riferisce esclusivamente alle famiglie
consumatrici e produttrici.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a3.5
Numero di transazioni di immobili a uso residenziale per regione e area geografica (1)
(unità)
REGIONI E AREE
GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
49.653
1.671
115.871
20.423
187.617
49.516
7.985
46.663
104.164
37.718
6.771
11.055
56.364
111.908
9.992
2.110
33.621
32.206
3.570
11.211
34.310
12.479
139.499
543.188
52.231
1.688
123.412
20.902
198.232
54.498
8.414
51.980
114.892
40.741
7.216
12.199
59.052
119.208
10.563
2.224
35.111
33.655
3.361
11.505
36.929
13.526
146.875
579.207
53.938
1.967
130.739
21.763
208.407
57.492
9.142
54.577
121.211
41.370
7.733
13.060
60.938
123.101
11.294
2.328
35.695
34.816
3.673
11.937
37.829
13.877
151.449
604.168
50.761
1.813
120.612
19.788
192.974
53.470
8.695
51.463
113.628
37.936
7.369
12.812
55.956
114.073
10.797
2.194
31.773
32.187
3.183
10.844
34.331
12.737
138.047
558.722
67.636
2.349
159.155
27.404
256.544
69.604
11.367
69.888
150.859
51.362
9.942
17.479
75.716
154.498
15.060
3.098
42.364
44.186
4.071
14.988
46.719
16.990
187.476
749.377
69.912
2.555
165.170
28.941
266.578
70.603
11.569
71.120
153.292
54.865
11.358
18.486
77.499
162.209
16.375
3.430
44.374
47.691
4.583
16.428
51.072
18.453
202.406
784.486
Fonte: elaborazioni su dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle Entrate.
(1) Sono esclusi i comuni dove vige il sistema tavolare per la pubblicità immobiliare; vi rientrano ad esempio i comuni delle province di Trento, Bolzano, Trieste, Gorizia
e, parzialmente, Udine.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a3.6
Prestiti di banche e società finanziarie alle famiglie consumatrici
(variazioni percentuali sui 12 mesi)
Banche e società finanziarie (1)
REGIONI E AREE
GEOGRAFICHE
Totale prestiti
Credito al consumo
dic. 2022 giu. 2023 dic. 2022 giu. 2023
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Trentino-Alto Adige
Prov. aut. di Bolzano
Prov. aut. di Trento
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
Banche
Prestiti per l’acquisto Credito al consumo
di abitazioni
Altri prestiti (2)
dic. 2022 giu. 2023 dic. 2022 giu. 2023 dic. 2022 giu. 2023
-10,2
Fonte: segnalazioni di vigilanza; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Prestiti delle banche e delle società finanziarie alle
famiglie consumatrici.
(1) Per le società finanziarie, il totale include il solo credito al consumo. – (2) Altre componenti tra cui le più rilevanti sono le aperture di credito in conto corrente e i mutui
diversi da quelli per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione di unità immobiliari a uso abitativo.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a4.1
Occupati e forze di lavoro
(variazioni percentuali sul periodo corrispondente)
REGIONI ED AREE
GEOGRAFICHE
Occupati
Agricoltura
Industria in Costruzioni
senso stretto
Servizi
In cerca di
occupazione
Forze
di lavoro
-11,2
-24,4
-16,6
-14,8
-14,8
-38,2
-20,0
-18,7
-13,4
-17,4
-10,8
-22,7
-18,3
-15,8
-11,1
-15,2
-15,5
-20,9
-12,0
-16,1
-12,9
-14,3
-14,1
Totale
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Prov. aut. di Bolzano
Prov. aut. di Trento
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Centro Nord
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
-23,3
-29,3
-14,1
-11,5
-12,9
-36,8
-10,5
-16,5
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Centro Nord
Sud e Isole
Italia
-10,9
1° semestre 2023
Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro. Dati grezzi.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a4.2
Dinamica nella struttura dell’occupazione nel 2022
(variazioni percentuali sul periodo corrispondente)
Occupati
Donne
Uomini
A tempo pieno
A tempo parziale
Indipendenti
Dipendenti
di cui: a tempo determinato
a tempo indeterminato
Italia
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro. Dati grezzi.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a4.3
Ore autorizzate di Cassa integrazione guadagni (CIG) e di Fondi di solidarietà (FdS)
(milioni di ore)
REGIONI E AREE
GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Centro Nord
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
Ordinaria
175,8
237,9
Gen.-set. 2023
Totale
Straordi- In deroga
naria
136,7
202,3
Ordinaria
101,5
126,1
103,1
167,6
112,2
102,1
153,4
433,2
161,3
594,5
134,5
157,3
Totale
221,9
304,8
Straordi- In deroga
naria
136,0
Fonte: elaborazioni su dati INPS effettuate il 19 ottobre 2023.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a4.4
Principali indicatori del mercato del lavoro
(dati trimestrali destagionalizzati; valori percentuali)
1° trim.
2° trim.
Italia
Centro
Sud e Isole
Italia
Centro
Sud e Isole
Italia
Centro
Sud e Isole
AREE GEOGRAFICHE
3° trim.
4° trim.
Tasso di occupazione (1)
Tasso di attività (1)
Tasso di disoccupazione (2)
1° trim.
2° trim.
Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro.
(1) In rapporto alla popolazione tra 15 e 64 anni. – (2) Rapporto tra il totale delle persone in cerca di occupazione e il totale delle forze di lavoro; include le persone con
oltre 64 anni di età.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a5.1
Conto consolidato delle Amministrazioni locali (1)
(milioni di euro e valori percentuali)
Entrate
Vendite
Imposte dirette
Imposte indirette
Contributi sociali effettivi
Contributi sociali figurativi
Trasferimenti da enti pubblici
Redditi da capitale
Altre entrate correnti
Totale entrate correnti
Imposte in conto capitale
Altre entrate in conto capitale
Totale entrate in conto capitale
Totale entrate
in percentuale del PIL
29.552
22.698
49.710
1.189
124.998
3.075
5.417
236.650
7.022
7.101
243.751
30.181
23.124
52.085
1.177
127.096
3.215
5.214
242.124
7.197
7.277
249.401
30.874
23.303
52.012
1.197
125.801
3.432
5.569
242.219
7.719
7.810
250.029
26.450
22.566
45.088
1.115
139.654
3.066
6.112
244.105
10.417
10.471
254.576
28.878
23.260
49.973
1.237
143.356
2.774
5.604
255.134
13.006
13.084
268.218
31.069
24.599
55.621
1.040
142.461
3.241
6.185
264.268
15.170
15.248
279.516
Spese
Redditi da lavoro dipendente
Consumi intermedi
Prestaz. soc. in natura acquisite sul mercato
Trasferimenti a enti pubblici
Prestazioni sociali in denaro
Contributi alla produzione
Interessi
Altre spese correnti
Totale spese correnti
Investimenti fissi lordi (2)
Contributi agli investimenti
Altre spese
Totale spese in conto capitale
Totale spese
in percentuale del PIL
Saldo primario
in percentuale del PIL
Indebitamento netto
in percentuale del PIL
64.878
72.643
42.256
8.274
3.913
9.990
2.751
10.827
215.532
20.853
3.217
1.043
25.113
240.645
5.857
-3.106
66.257
74.068
42.805
9.168
4.153
10.273
2.274
11.004
220.002
20.859
3.943
1.007
25.809
245.811
5.864
-3.590
67.058
74.712
43.500
7.651
4.249
10.356
2.037
11.396
220.959
23.461
4.116
1.054
28.631
249.590
2.476
67.312
77.804
43.977
5.421
4.626
11.320
1.861
12.347
224.668
24.322
4.808
2.347
31.477
256.145
1.569
68.123
82.934
45.121
7.599
4.702
11.846
1.542
12.516
234.383
27.611
4.941
1.856
34.408
268.791
72.482
87.496
45.025
7.615
4.527
12.021
1.521
13.508
244.195
28.478
4.487
1.519
34.484
278.679
2.358
Fonte: Istat.
(1) Secondo i criteri metodologici definiti nel regolamento UE/2013/549 (SEC 2010). – (2) Al netto dei proventi derivanti dalla vendita di immobili del patrimonio pubblico.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a5.2
Entrate tributarie correnti delle Amministrazioni locali
(milioni di euro)
Imposte dirette
Regioni (1)
di cui: addizionale all’Irpef
tasse automobilistiche (famiglie)
Comuni
di cui: addizionale all’Irpef
imposta immobiliare (aree edificabili) (2)
Imposte indirette
Regioni (1)
di cui: IRAP
quota regionale accisa oli minerali e derivati
tasse automobilistiche (imprese)
addizionale imposta gas metano
tributo speciale per deposito in discarica dei rifiuti
Province
di cui: imposta sull’assicurazione RC auto
imposta di trascrizione
Comuni
di cui: imposta immobiliare (al netto aree edificabili) (3)
imposta sulla pubblicità e diritti affissioni pubbliche
Altri enti delle Amministrazioni locali
Totale imposte
per memoria:
totale entrate
totale spese
22.698
16.651
11.966
4.642
6.047
4.614
49.710
24.653
22.249
1.094
4.176
2.204
1.801
19.801
17.170
1.080
72.408
23.124
16.582
11.655
4.885
6.542
4.682
52.085
26.439
23.949
1.153
4.240
2.213
1.873
20.250
17.204
1.156
75.209
23.303
17.010
11.961
5.011
6.293
4.880
52.012
26.715
24.278
1.182
4.107
2.115
1.856
20.061
17.205
1.129
75.315
22.566
16.587
11.821
4.727
5.979
4.709
45.088
21.502
19.403
1.051
3.894
2.155
1.527
18.697
16.605
67.654
23.260
17.153
11.931
5.185
6.107
4.837
49.973
24.732
22.638
1.220
4.056
2.073
1.734
20.102
17.433
1.083
73.233
24.599
18.129
12.674
5.427
6.470
5.240
55.621
30.061
27.917
1.250
3.922
2.041
1.596
20.527
17.538
1.111
80.220
243.751
240.645
249.401
245.811
250.029
249.590
254.576
256.145
268.218
268.791
279.516
278.679
Fonte: Istat.
(1) Comprende le Province autonome di Trento e di Bolzano. – (2) ICI fino al 2011, Imu dal 2012. – (3) ICI fino al 2011, Imu dal 2012, Imu e Tasi dal 2014.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a5.3
Spesa energetica degli enti territoriali
(euro pro capite, variazioni e punti percentuali)
Elettricità
Carburanti
Centro
Variazione
Regioni e strutture sanitarie
Province e Città metropolitane
Comuni (2)
Totale
Regioni e strutture sanitarie
Province e Città metropolitane
Comuni (2)
Totale
Province e Città metropolitane
Comuni (2)
Variazione
Sud e Isole
Variazione
Italia
Per vettore energetico
Per tipologia di ente
Incidenza sulla spesa corrente primaria per tipologia di ente
Ristori statali per tipologia di ente beneficiario (3)
Variazione
Fonte: elaborazioni su dati Siope (aggiornati al 23 agosto 2023); per la popolazione residente, Istat.
(1) Variazione rispetto alla media del triennio 2017-19: valori percentuali per vettore energetico e tipologia di ente, punti percentuali per l’incidenza sulla spesa corrente
primaria per tipologia di ente. – (2) Si considerano Comuni e loro Unioni, Comunità montane e gestioni commissariali (ad eccezione della gestione commissariale del
Comune di Roma). – (3) Comprende i ristori indicati nei seguenti provvedimenti: L. 34/2022, L. 91/2022, L. 142/2022, L. 175/2022 e L. 197/2022.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a5.4
Incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel 2021
(euro ogni 100 abitanti e valori percentuali)
Conto energia
Fonti rinnovabili elettriche non fotovoltaiche
Gestione riconoscimento incentivo
Tariffa omnicomprensiva
Totale
Quota sulla bolletta elettrica
Centro
Sud e Isole
Italia
Fonte: elaborazioni su dati del Gestore dei servizi energetici. Cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Spesa energetica degli
enti territoriali.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a5.5
Caratteristiche del patrimonio immobiliare degli enti territoriali (1)
(valori percentuali)
Prima del 1990 (2)
Dal 1991 al 2000
Dal 2001 al 2010
Dopo il 2010
Periodo non indicato
Attività culturali, sportive e ricreative
Istruzione
Sanità
Alloggi
Pubblica amministrazione
Altro
Presenza di vincoli paesaggistici o architettonici
Edifici dati in locazione
Centro
Sud e Isole
Epoca di costruzione/ristrutturazione
Finalità di utilizzo
Altro
Italia
Fonte: elaborazioni sui dati del censimento dei beni immobili pubblici del Ministero dell’Economia e delle finanze e, per i soli edifici scolastici, del Portale unico dei dati
della scuola del Ministero dell’Istruzione e del merito.
(1) Quote calcolate in base alla metratura degli immobili. – (2) Immobili costruiti o ristrutturati in periodo anteriore all’entrata in vigore della normativa in materia di risparmio
energetico con L. 10/1991 (Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti
rinnovabili di energia).
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a5.6
Personale delle strutture sanitarie pubbliche ed equiparate (1)
(unità e valori percentuali)
Unità per 10.000 abitanti
Strutture pubbliche (2)
Strutture
private
equiparate
Tempo
indeterminato
Tempo
determinato
e altro
flessibile
Medici
Infermieri
Altro personale
ruolo sanitario
ruolo tecnico
ruolo professionale
ruolo amministrativo
Totale
111,9
120,3
Medici
Infermieri
Altro personale
ruolo sanitario
ruolo tecnico
ruolo professionale
ruolo amministrativo
Totale
141,6
149,9
Medici
Infermieri
Altro personale
ruolo sanitario
ruolo tecnico
ruolo professionale
ruolo amministrativo
Totale
110,3
120,2
Medici
Infermieri
Altro personale
ruolo sanitario
ruolo tecnico
ruolo professionale
ruolo amministrativo
Totale
105,5
Medici
Infermieri
Altro personale
ruolo sanitario
ruolo tecnico
ruolo professionale
ruolo amministrativo
Totale
110,7
121,1
Totale
Variazioni percentuali annue del personale delle strutture pubbliche
ed equiparate
2011-2021 (3)
Strutture
pubbliche
Strutture
equiparate
Nord Ovest
Nord Est
Centro
-12,6
Sud e Isole
Italia
2020-21 (3)
Totale
Strutture
pubbliche
Strutture
equiparate
Totale
123,9
109,0
Fonte: elaborazione su dati Ragioneria generale dello Stato, Conto annuale, dati al 31 dicembre; per la popolazione residente, Istat.
(1) Dati al 31 dicembre 2021. – (2) Include il personale delle ASL, delle Aziende ospedaliere, di quelle integrate con il SSN e con l’Università e degli Istituti di ricovero e
cura a carattere scientifico (IRCCS) pubblici, anche costituiti in fondazione. – (3) Variazioni medie annue calcolate sul numero degli addetti. – (4) Include il personale con
contratti a tempo determinato, formazione e lavoro e interinale. – (5) Include il personale degli istituti qualificati presidio delle ASL, degli ospedali classificati o assimilati ai
sensi della L.132/1968, dei policlinici universitari privati, degli IRCCS privati e degli enti di ricerca.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a5.7
Risorse del PNRR assegnate per il periodo 2021-26 per soggetto attuatore (1)
(milioni di euro)
GEOGRAFICHE
Regione ed enti sanitari
Province e Città metropolitane
Comuni (2)
Altre Amministrazioni locali (3)
Enti nazionali (4)
Totale
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
territorializzabili
Italia
4.789
1.366
6.939
3.044
9.395
25.532
2.901
4.901
2.667
7.374
18.583
3.607
1.516
5.526
2.302
7.081
20.033
8.862
3.197
12.458
4.806
17.459
46.780
2.547
3.533
20.158
6.818
29.823
13.805
43.856
114.461
Fonte: elaborazioni su dati contenuti nei documenti ufficiali di assegnazione e sui progetti da finanziare. Dati aggiornati a settembre 2023.
(1) I soggetti attuatori presi in considerazione sono: enti territoriali (Regioni e Province autonome, Province e Città metropolitane, Comuni, Unioni di comuni e Comunità
montane), altri enti locali (università pubbliche, enti parco, ecc.), enti e imprese partecipate nazionali (RFI, Anas, Infratel, ministeri). – (2) Comprende i Comuni e loro
gestioni commissariali, le Unioni di comuni e le Comunità montane. – (3) Comprende le università pubbliche, gli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali (EGATO),
i consorzi di bonifica, le autorità di gestione delle zone economiche speciali, i teatri, le fondazioni locali, le autorità dei sistemi portuali e gli ambiti territoriali sociali. –
(4) Comprende RFI, Anas, Infratel, scuole, musei nazionali, fondazioni nazionali, enti di ricerca nazionali, agenzia del demanio.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a5.8
Risorse del PNRR assegnate per il periodo 2021-26 per missioni e componenti (1)
(milioni di euro)
Missione 1
Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA (C1)
Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema
produttivo (C2)
Turismo e cultura 4.0 (C3)
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole Non territorializzabili
Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo
2.657
2.120
3.309
5.881
1.128
15.094
1.435
1.288
2.381
6.503
Missione 2
Agricoltura sostenibile ed economia circolare (C1)
Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile
Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici (C3)
Tutela del territorio e della risorsa idrica (C4)
5.553
Missione 3
Investimenti sulla rete ferroviaria (C1)
Intermodalità e logistica integrata (C2)
6.533
6.487
Missione 4
Potenziamento dell’offerta di servizi di istruzione: dagli asili
nido alle università (C1)
Dalla ricerca all’impresa (C2)
4.482
1.618
3.224
5.649
1.026
1.102
Rivoluzione verde e transizione ecologica
4.297
3.776
9.645
1.099
1.194
2.942
1.497
1.432
2.398
24.369
2.309
8.555
2.267
1.678
4.615
Infrastrutture per una mobilità sostenibile
4.527
1.774
11.175
4.499
1.745
11.166
Istruzione e ricerca
3.851
6.229
8.385
1.208
12.298
3.101
3.423
3.092
2.531
1.389
1.320
Missione 5
Politiche per il lavoro (C1)
Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore (C2)
Interventi speciali per la coesione territoriale (C3)
2.871
2.467
1.676
1.433
Missione 6
Reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza
sanitaria territoriale (C1)
Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario
nazionale (C2)
3.437
2.112
1.508
1.102
2.539
1.930
1.335
1.428
25.532
18.583
Totale
Italia
6.516
24.587
24.400
23.065
15.359
7.706
13.604
1.461
10.728
1.416
13.736
5.936
2.736
7.800
Totale missioni
20.033
46.780
3.533
114.461
3.128
1.869
Inclusione e coesione
2.415
6.419
2.149
4.678
1.277
Salute
2.530
5.275
Fonte: elaborazioni su dati contenuti nei documenti ufficiali di assegnazione e sul valore dei progetti finanziati dal Piano. Dati aggiornati a settembre 2023.
(1) I soggetti attuatori presi in considerazione sono: enti territoriali (Regioni e Province autonome, Province e Città metropolitane, Comuni, Unioni di comuni e Comunità
montane), altri enti locali (università pubbliche, enti parco, ecc.), enti e imprese partecipate nazionali (RFI, Anas, Infratel, ministeri).
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a5.9
Avanzamento dei programmi comunitari FESR e FSE 2014-2020 (1)
(milioni di euro e valori percentuali)
REGIONI E AREE GEOGRAFICHE
Dotazione
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Prov. aut. di Bolzano
Prov. aut. di Trento
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro Nord
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Totale
1.838
1.941
1.364
1.268
1.525
1.872
13.195
4.951
4.451
2.261
5.093
1.376
19.514
32.709
Centro Nord
Sud e Isole
Iniziativa occupazione giovani
React-EU
Totale
2.761
14.082
14.375
32.157
Impegni (2)
Programmi operativi regionali
100,8
109,3
127,7
103,0
108,9
116,0
106,9
101,4
102,1
101,1
149,7
104,5
103,6
Programmi operativi nazionali
Pagamenti (2)
100,5
108,4
Fonte: elaborazioni su dati Ragioneria generale dello Stato, Monitoraggio politiche di coesione.
(1) Risorse europee dei fondi FESR, FSE e cofinanziamento nazionale (al netto dei Programmi di cooperazione territoriale); dati riferiti al 30 giugno 2023. – (2) In
percentuale della dotazione disponibile. Gli impegni possono risultare superiori alla dotazione disponibile per la prassi dell’overbooking, in base alla quale un programma
può temporaneamente includere progetti per un valore superiore a quello della sua dotazione al fine di assicurare il totale utilizzo delle risorse previste anche in caso di
revoche o rinunce.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a6.1
Sportelli bancari e postali per popolazione dei comuni (1)
(dotazione ogni 100.000 abitanti)
COMUNI PER DIMENSIONE
Sportelli bancari
Sportelli postali
Fino a 1.000 abitanti
Da 1.001 a 5.000 abitanti
Da 5.001 a 20.000 abitanti
Da 20.001 a 60.000 abitanti
Da 60.001 a 250.000 abitanti
Oltre 250.000 abitanti
Totale
di cui: fino a 250.000 abitanti
Fino a 1.000 abitanti
Da 1.001 a 5.000 abitanti
Da 5.001 a 20.000 abitanti
Da 20.001 a 60.000 abitanti
Da 60.001 a 250.000 abitanti
Oltre 250.000 abitanti
Totale
di cui: fino a 250.000 abitanti
Fino a 1.000 abitanti
Da 1.001 a 5.000 abitanti
Da 5.001 a 20.000 abitanti
Da 20.001 a 60.000 abitanti
Da 60.001 a 250.000 abitanti
Oltre 250.000 abitanti
Totale
di cui: fino a 250.000 abitanti
Fino a 1.000 abitanti
Da 1.001 a 5.000 abitanti
Da 5.001 a 20.000 abitanti
Da 20.001 a 60.000 abitanti
Da 60.001 a 250.000 abitanti
Oltre 250.000 abitanti
Totale
di cui: fino a 250.000 abitanti
172,1
175,2
141,1
144,7
174,9
181,4
163,4
169,3
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Fonte: Archivi anagrafici degli intermediari e Istat.
(1) La dotazione è riferita al 31 dicembre degli anni indicati. La classe dimensionale dei comuni è stata assegnata in base alla popolazione al 1° gennaio 2022.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a6.2
Caratteristiche dei comuni privi di sportelli alla fine del 2022
Comuni privi di
sportelli bancari
Quota dei comuni rispetto al totale dell’area
Quota della popolazione sul totale dell’area
Incidenza dei giovani sulla popolazione totale dei comuni (1)
Quota di addetti alle unità locali non agricole rispetto al totale dell’area
Differenza percentuale rispetto al reddito medio pro capite imponibile Irpef dell’area
Quota di famiglie con connessione internet veloce (almeno 30 Mbps)
Quota di comuni con almeno una tabaccheria
Quota di comuni con almeno una scuola
Quota di comuni con almeno una farmacia
-11,7
Quota dei comuni rispetto al totale dell’area
Quota della popolazione sul totale dell’area
Incidenza dei giovani sulla popolazione totale dei comuni (1)
Quota di addetti alle unità locali non agricole rispetto al totale dell’area
Differenza percentuale rispetto al reddito medio pro capite imponibile Irpef dell’area
Quota di famiglie con connessione internet veloce (almeno 30 Mbps)
Quota di comuni con almeno una tabaccheria
Quota di comuni con almeno una scuola
Quota di comuni con almeno una farmacia
-12,1
Quota dei comuni rispetto al totale dell’area
Quota della popolazione sul totale dell’area
Incidenza dei giovani sulla popolazione totale dei comuni (1)
Quota di addetti alle unità locali non agricole rispetto al totale dell’area
Differenza percentuale rispetto al reddito medio pro capite imponibile Irpef dell’area
Quota di famiglie con connessione internet veloce (almeno 30 Mbps)
Quota di comuni con almeno una tabaccheria
Quota di comuni con almeno una scuola
Quota di comuni con almeno una farmacia
-18,7
Quota dei comuni rispetto al totale dell’area
Quota della popolazione sul totale dell’area
Incidenza dei giovani sulla popolazione totale dei comuni (1)
Quota di addetti alle unità locali non agricole rispetto al totale dell’area
Differenza percentuale rispetto al reddito medio pro capite imponibile Irpef dell’area
Quota di famiglie con connessione internet veloce (almeno 30 Mbps)
Quota di comuni con almeno una tabaccheria
Quota di comuni con almeno una scuola
Quota di comuni con almeno una farmacia
-14,1
Comuni privi anche di
sportelli postali
Nord Ovest
-11,5
Nord Est
Centro
Sud e Isole
-16,7
Fonte: Istat, Rete ferroviaria italiana spa, Agenzia delle Dogane e dei monopoli, Ministero dell’Istruzione e del merito, Ministero della Salute, Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni. Cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Sportelli bancari sul territorio.
(1) La popolazione giovane è quella fino a 34 anni di età.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a6.3
Prestiti bancari per settore di attività economica a giugno 2023
(variazioni percentuali sui 12 mesi)
Amministr.
Società
pubbliche finanziarie
assicurative
REGIONI E AREE
GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Trentino-Alto Adige
Prov. aut. di Bolzano
Prov. aut. di Trento
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Centro Nord
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
-31,2
-16,7
-20,4
-33,0
-17,3
-16,8
195,5
-18,9
Settore privato non finanziario
Totale
settore
privato
finanziario
Totale
Imprese
Totale
imprese
Mediograndi
-11,8
-11,8
-12,9
-12,5
Famiglie
consumatrici
Piccole
Totale
imprese
piccole
di cui:
famiglie
produttrici
Fonte: segnalazioni di vigilanza; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Prestiti bancari.
(1) Include anche le istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie e le unità non classificabili o non classificate. – (2) Società in accomandita semplice e in
nome collettivo, società semplici, società di fatto e imprese individuali con meno di 20 addetti. – (3) Società semplici, società di fatto e imprese individuali fino a 5 addetti.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali
Tavola a6.4
Tassi di interesse bancari attivi a giugno 2023
(valori percentuali)
TAE sui prestiti connessi con esigenze di liquidità (1)
REGIONI E AREE
GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Trentino-Alto Adige
Prov. aut. di Bolzano
Prov. aut. di Trento
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Centro Nord
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
Totale
imprese (2)
di cui:
attività
costruzioni
manifatturiere
servizi
TAEG sui
TAEG sui
prestiti
nuovi mutui
connessi per l’acquisto
di abitazioni
imprese
imprese
esigenze di
medio-grandi piccole (3) investimento
10,11
10,15
11,05
10,38
11,43
10,07
Fonte: AnaCredit, Rilevazione analitica dei tassi di interesse attivi; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Tassi di interesse attivi.
(1) Tasso annuo effettivo riferito ai seguenti tipi di finanziamento: scoperti di conto corrente, factoring, finanziamenti revolving e finanziamenti con finalità di import o
export. – (2) Sono escluse le ditte individuali. – (3) Società in accomandita semplice e in nome collettivo, società semplici e società di fatto con meno di 20 addetti. –
(4) Tasso annuo effettivo globale sulle nuove operazioni alle imprese (con esclusione delle ditte individuali) con durata almeno pari a 1 anno, riferito ai seguenti tipi di
finanziamento: leasing, pronti contro termine e finanziamenti non revolving (ad es. i mutui). Sono escluse le operazioni con finalità di import o export. – (5) Tasso annuo
effettivo globale sulle nuove operazioni con durata almeno pari a 1 anno erogate alle famiglie consumatrici.
Economie regionali
BANCA D’ITALIA
Tavola a6.5
Qualità del credito: tasso di deterioramento a giugno 2023
(valori percentuali)
REGIONI E AREE
GEOGRAFICHE
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Liguria
Nord Ovest
Trentino-Alto Adige
Prov. aut. di Bolzano
Prov. aut. di Trento
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Emilia-Romagna
Nord Est
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Centro Nord
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata (3)
Calabria
Sicilia
Sardegna
Sud e Isole
Italia
Società
finanziarie e
assicurative
Imprese
Totale
imprese
di cui:
attività
manifatturiere
costruzioni
servizi
piccole
imprese (1)
Famiglie
consumatrici
Totale
Fonte: Centrale dei rischi, segnalazioni di banche e società finanziarie; cfr. nelle Note metodologiche. L’economia delle regioni italiane sul 2022 la voce Qualità del credito.
(1) Società in accomandita semplice e in nome collettivo, società semplici, società di fatto e imprese individuali con meno di 20 addetti. – (2) Include anche le Amministrazioni
pubbliche, le istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie e le unità non classificabili o non classificate. – (3) I valori risentono dell’andamento di alcune posizioni
debitorie riferite alle imprese.
BANCA D’ITALIA
Economie regionali