
(AGENPARL) – lun 16 ottobre 2023 PANNELLI ESPOSITIVI
Il fascismo e le Leggi antiebraiche del 1938
Con l’ascesa al potere di Mussolini nel 1922 e per tutti gli anni Venti del Novecento, la condizione degli ebrei rimase pressoché la stessa del periodo precedente. Il loro sostegno al fascismo fu simile a quello del resto della popolazione; più alta fu invece la percentuale di antifascisti ebrei e di coloro che si discostarono dalle idee del Regime. Tutti, comunque, subirono da subito gli effetti di una dittatura caratterizzata da un sistema repressivo e antidemocratico. Le circostanze peggiorarono decisamente negli anni Trenta. La guerra civile Spagnola vide una partecipazione massiccia e aggressiva dell’Italia che andò di pari passo con l’acuirsi delle mire espansionistiche e imperialiste dello stato fascista. Come conseguenza dell’aggressione italiana all’Etiopia, paese membro della Società delle Nazioni, l’Italia fu estromessa dalla Società stessa e soggetta all’imposizione delle sanzioni. Mussolini sosteneva che la nazione fosse vittima di un’ingiustizia e sfruttò questa retorica per allontanarsi definitivamente dalle potenze democratiche avvicinandosi alla Germania nazista. Nello stesso momento, con la conquista dell’Etiopia tra il 1935 e il 1936, si delineò la politica razzista del Regime che si estese di lì a poco alla popolazione ebraica. Gli ebrei, che erano parte integrante della società e del tessuto economico e culturale italiano, iniziarono ad essere identificati come nemici interni, alleati delle forze democratiche e parte attiva della “cospirazione internazionale” contro la nazione italiana. L’avversione verso gli ebrei fu promossa attraverso una campagna diffamatoria e denigratoria, volta a screditare gli ebrei e a presentarli come un potenziale pericolo per la patria. Il 14 luglio 1938, fu redatto il “Manifesto della razza”. Il testo, prodotto da pseudo-scienziati e curato da Mussolini stesso, era volto a dimostrare che il problema razziale avesse un fondamento biologico. Per gli ebrei è l’inizio del dramma. Il 22 agosto 1938 la popolazione ebraica d’Italia fu costretta a dichiarare la propria appartenenza alla “razza ebraica”, un vero e proprio censimento che prevedeva che chiunque avesse almeno uno dei due genitori ebreo dovesse autodenunciarsi. Il mese successivo fu predisposta l’espulsione totale dalle scuole di ogni ordine e grado di insegnanti e studenti ebrei. Così iniziarono i primissimi provvedimenti che porteranno all’emanazione della feroce legislazione antiebraica, che provocherà via via l’allontanamento e l’isolamento sociale, professionale, culturale degli ebrei italiani e l’espulsione o la prigionia degli ebrei stranieri. Il 17 novembre 1938 vennero emanate le Leggi razziali, firmate dal re Vittorio Emanuele III di Savoia, con le quali furono indicate le professioni precluse e i divieti di possesso e patrimoniali, tra questi: il divieto di possedere aziende che producevano materiale bellico; il divieto di prestare servizio nelle Forze Armate; di possedere terre entro una certa estensione; di avere al servizio domestici “ariani”; di essere iscritti al PNF (il che determinò automaticamente l’esclusione da quei lavori per cui era obbligatorio); vennero allontanati dalle banche, assicurazioni, amministrazioni locali o nazionali. I matrimoni tra ebrei ed “ariani” furono proibiti. Negli anni successivi furono aggiunti altri provvedimenti vessatori in ogni campo. Molti ebrei tentarono di essere “discriminati”, esentati quindi dalle Leggi, ma pochi (anche tra coloro che avevano ricevuto in passato benemerenze e riconoscimenti di guerra) riuscirono ad ottenere questa discriminazione.
Roma, luglio-settembre 1943
L’estate del 1943 segnò una svolta nella consapevolezza delle sorti belliche italiane. Il 19 luglio la capitale subì un violento bombardamento alleato che colpì il quartiere di San Lorenzo, causando migliaia di morti e feriti. Il re Vittorio Emanuele III decise di liberarsi di Mussolini e del regime, sperando che si potesse così trattare una pace con le forze alleate. La notte tra il 24 e 25 luglio 1943 Mussolini venne messo in minoranza dal Gran Consiglio del Fascismo e il giorno seguente fu arrestato. Il 3 settembre il nuovo governo, guidato dal maresciallo Pietro Badoglio, firmò l’armistizio e lo rese noto solo nel pomeriggio del giorno 8, così da avere il tempo di fuggire verso il Sud insieme al re e di risparmiarsi la sicura ritorsione dell’ex alleato, la Germania nazista. Due giorni dopo Roma fu occupata. I timori e i sospetti che aleggiavano tra gli ebrei a partire dall’arrivo dei nazisti in città, si concretizzarono il 26 settembre 1943 quando fu imposto il ricatto dell’oro. Herbert Kappler, Maggiore delle SS e della polizia segreta a Roma, si rivolse a Ugo Foà, Presidente della Comunità Israelitica di Roma e a Dante Almansi, Presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, imponendo di versare in 36 ore 50 chili d’oro. Se non si fosse raggiunto il quantitativo richiesto avrebbero deportato 200 membri della comunità ebraica. Alla raccolta tutti parteciparono con angoscia, in un clima di concitazione generale e quello che era stato chiesto fu consegnato ai nazisti. Per gli ebrei la situazione precipitò in pochissimi giorni: nell’arco di sole cinque settimane i tedeschi riuscirono quindi a mettere in atto l’estorsione dell’oro; a saccheggiare le casse della Comunità e le due preziosissime Biblioteche composte da 7000 esemplari, tra i quali antichissimi manoscritti, codici medievali, incunaboli e altre pubblicazioni rarissime; ad arrestare e deportare centinaia di ebrei.
Il 16 ottobre 1943