
(AGENPARL) – gio 05 ottobre 2023 INDICE
Comunicato stampa
Scheda tecnica
Selezione opere per la stampa
Untrue Unreal di Arturo Galansino
Direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra
Anish Kapoor in conversazione con Arturo Galansino
Anish Kapoor e il Rinascimento
Anish Kapoor secondo Anish Kapoor: citazioni dell’artista sui temi della sua arte
Una mostra, una piattaforma di esperienze
Fuorimostra
Palazzo Strozzi in biblioteca
COMUNCATO STAMPA
Anish Kapoor. Untrue Unreal
Firenze, Palazzo Strozzi, 7 ottobre 2023 – 4 febbraio 2024
Il celebre artista Anish Kapoor propone un originale dialogo con gli spazi di Palazzo Strozzi a Firenze
attraverso una grande mostra che include una nuova opera immersiva per il cortile rinascimentale
Fondazione Palazzo Strozzi presenta Anish Kapoor. Untrue Unreal, nuova grande mostra ideata e realizzata
insieme al celebre maestro che ha rivoluzionato l’idea di scultura nell’arte contemporanea. A cura di Arturo
Galansino, Direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, la mostra propone un percorso tra
monumentali installazioni, ambienti intimi e forme conturbanti, creando un originale e coinvolgente
dialogo tra l’arte di Anish Kapoor, l’architettura e il pubblico di Palazzo Strozzi.
Attraverso opere storiche e recenti, tra cui una nuova produzione specificatamente ideata in dialogo con
l’architettura del cortile rinascimentale, la mostra rappresenta l’opportunità di entrare in contatto diretto
con l’arte di Kapoor nella sua versatilità, discordanza, entropia ed effimerità. Palazzo Strozzi diviene un luogo
concavo e convesso, integro e frantumato allo stesso tempo in cui il visitatore è chiamato a mettere in
discussione i propri sensi.
Nell’arte di Anish Kapoor, l’irreale (unreal) si mescola con l’inverosimile (untrue), trasformando o negando
la comune percezione della realtà. Ci invita a esplorare un mondo in cui i confini tra vero e falso si dissolvono,
aprendo le porte alla dimensione dell’impossibile. Caratteristica distintiva è il modo in cui le sue opere
trascendono la loro materialità. Pigmento, pietra, acciaio, cera e silicone, per citare solo alcuni dei materiali
con cui lavora, vengono manipolati, scolpiti, levigati, saturati e trattati mettendo in discussione il confine tra
plasticità e immaterialità. Il colore in Kapoor non è semplicemente materia e tonalità, ma diventa un
fenomeno immersivo, dotato di un proprio volume, spaziale e illusorio allo stesso tempo.
Le opere di Anish Kapoor uniscono spazi vuoti e pieni, superfici assorbenti e riflettenti, forme geometriche e
biomorfe. Rifuggendo categorizzazioni e distinguendosi per un linguaggio visivo unico che unisce pittura,
scultura e forme architettoniche, Kapoor indaga lo spazio e il tempo, il dentro e il fuori, invitandoci a
esplorare i limiti e le potenzialità del nostro rapporto con il mondo che ci circonda e a riflettere su dualismi
come corpo e mente, natura e artificio. Le sue opere suscitano stupore e inquietudine, mettendo in
discussione ogni certezza e sollecitandoci ad abbracciare la complessità. In un mondo in cui la realtà sembra
sempre più sfuggente e manipolabile, Anish Kapoor ci sfida a cercare la verità oltre le apparenze, invitandoci
a esplorare il territorio dell’inverosimile e dell’irreale, untrue e unreal.
“Anish Kapoor ha lavorato a Palazzo Strozzi realizzando un progetto espositivo totalmente nuovo”, dichiara
Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra. “Sulla scia
della nostra serie di esposizioni dedicate ai maggiori protagonisti dell’arte contemporanea, Kapoor si è
confrontato con l’architettura rinascimentale. Il risultato è totalmente originale, quasi una sorta di
contrapposizione dialettica, dove simmetria, armonia e rigore sono messi in discussione e i confini tra
materiale e immateriale si dissolvono. Nelle geometrie razionali di Palazzo Strozzi, Kapoor ci invita a perdere
e ritrovare noi stessi interrogandoci su ciò che è untrue o unreal”.
LA MOSTRA
Anish Kapoor. Untrue Unreal si sviluppa negli spazi di Palazzo Strozzi tra le sale del Piano Nobile e il cortile
rinascimentale, in un viaggio attraverso la variegata pratica artistica di Kapoor, che mette in discussione le
nozioni di forma e informe, finzione e realtà.
Al centro del cortile si erge Void Pavillion VII (Il padiglione del vuoto VII, 2023), nuova opera di Anish Kapoor
specificatamente ideata per il cortile di Palazzo Strozzi e realizzata grazie al sostegno della Fondazione Hillary
Merkus Recordati. Il grande padiglione si pone allo stesso tempo come punto di partenza e di approdo nel
dialogo tra l’arte di Kapoor e Palazzo Strozzi. Entrando in questo spazio, i visitatori si trovano di fronte a tre
ampie forme rettangolari vuote in cui lo sguardo è invitato a immergersi, in un’esperienza meditativa su
spazio, prospettiva e tempo, che sconvolge la razionale struttura geometrica e l’emblematica armonia
dell’edificio rinascimentale.
Al Piano Nobile la mostra inizia con l’iconica opera Svayambhu (2007), termine sanscrito che definisce ciò
che si genera autonomamente, corrispettivo delle immagini acheropìte cristiane non dipinte da mano
umana. Il lavoro propone una riflessione dialettica tra vuoto e materia: un monumentale blocco di cera rossa
si muove lentamente tra due sale di Palazzo Strozzi, plasmando la sua materia informe nel rapporto con
l’architettura che attraversa. Quest’opera si pone in dialogo con Endless Column (Colonna infinita, 1992), che
fa esplicito riferimento alla celebre omonima scultura di Constantin Brâncu?i. La colonna in pigmento rosso
di Kapoor sembra oltrepassare i limiti del pavimento e del soffitto della sala, creando una sensazione di fisicità
architettonica eterea, metafora del legame tra terra e cosmo. Su una diversa scala, ma con lo stesso effetto
spaziale e architettonico, si pone To Reflect an Intimate Part of the Red (Per riflettere una parte intima del
rosso, 1981), opera fondamentale nella carriera di Kapoor nella sua affermazione sulla scena internazionale
come una delle più originali voci nell’arte contemporanea: un suggestivo insieme di forme in pigmento giallo
e rosso che emergono dal pavimento, fragili, quasi ultraterrene ma potentemente presenti.
In Non-Object Black (Non-oggetto nero, 2015) – caratterizzato dall’uso del Vantablack, materiale altamente
innovativo capace di assorbire più del 99,9% della luce visibile – Kapoor mette in discussione l’idea stessa di
oggetto fisico e tangibile, presentandoci forme che si dissolvono al passaggio dello sguardo. In questi lavori
rivoluzionari e di forte impatto, Kapoor ci spinge a interrogarci sulla nozione stessa dell’essere, proponendo
una riflessione non solo sull’oggettualità ma sull’immaterialità che permea il nostro mondo. Questa forte
esperienza del non-oggetto continua in Gathering Clouds (Nuvole che si addensano, 2014), forme concave
monocrome che assorbono lo spazio circostante in una oscurità meditativa. L’arte di Kapoor offre infatti un
nuovo modo di vedere e pensare a come viviamo la “realtà”, grazie al suo uso unico di forma e saturazione,
in opere permeate da una profonda connotazione psicologica.
La carne, la materia organica, il corpo e il sangue sono temi ricorrenti e fondamentali nella ricerca di Kapoor.
Un’intera sala della mostra è dedicata a opere in cui l’artista si confronta con ciò che appare come un’intimità
sventrata e devastata in una dimensione entropica e abietta del corpo. La grande scultura in acciaio e resina
A Blackish Fluid Excavation (Scavo con fluido nerastro, 2018) evoca un incavo uterino contorto che attraversa
lo spazio e i sensi dello spettatore. Nelle opere esposte a parete Kapoor unisce invece la pittura e il silicone
dando origine a forme fluide che ci appaiono come masse viscerali, che sembrano pulsare di vita propria. Le
strutture si contorcono, si espandono e si contraggono, proponendo un senso di movimento e di
trasformazione continua, ma anche una forte sensualità tattile che emerge dall’interazione tra le sensazioni
di morbidezza e solidità, organicità e linearità. Evocano queste suggestioni gli stessi titoli delle opere: First
Milk (Primo latte, 2015), Tongue Memory (Ricordo della lingua, 2016), Today You Will Be in Paradise (Oggi
sarai in paradiso, 2016), Three Days of Mourning (Tre giorni di lutto, 2016).
La tradizionale nozione di confini e la dicotomia tra soggetto e oggetto sono temi centrali invece in opere
specchianti come Vertigo (Vertigine, 2006), Mirror (Specchio, 2018) e Newborn (Neonato, 2019), ispirato
ancora una volta alle sperimentazioni formali di Brâncu?i. Attraverso le riflessioni di queste opere, ciò che si
specchia entra in una dimensione illusoria che sembra smentire le leggi della fisica. Queste grandi sculture,
infatti, riflettono e deformano lo spazio circostante e lo ingrandiscono, riducono e moltiplicano, creando una
sensazione di irrealtà e destabilizzazione e attirando lo spettatore nello spazio indefinito che emanano.
Conclusione del percorso espositivo al Piano Nobile è la sala dedicata all’opera Angel (Angelo, 1990), grandi
pietre di ardesia ricoperte da strati di pigmento blu intenso. Questi pesanti massi appaiono in contraddizione
con il loro aspetto incorporeo: sembrano infatti solidificare l’aria e suggerire la trasformazione di lastre di
ardesia in pezzi di cielo, trasfigurando così l’idea di purezza in un elemento fisico. Kapoor altera la forte
materialità dell’opera ed evoca così un senso di mistero che risponde all’ambizione di matrice esoterica di
raggiungimento della fusione degli opposti.
La mostra è promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi. Main Supporter: Fondazione CR Firenze.
Sostenitori: Comune di Firenze, Regione Toscana, Camera di Commercio di Firenze, Comitato dei Partner di
Palazzo Strozzi. Main Partner: Intesa Sanpaolo. Con il contributo di Città Metropolitana di Firenze. Con il
supporto di Maria Manetti Shrem e Fondazione Hillary Merkus Recordati. Si ringrazia Galleria Continua.
La mostra si inserisce nell’ambito della Florence Art Week, iniziativa promossa dal Comune di Firenze in
programma dal 28 settembre all’8 ottobre 2023.
Anish Kapoor
Anish Kapoor è uno dei più influenti artisti del nostro tempo. Nato a Mumbai, in India, nel 1954, Anish Kapoor ha
vissuto e lavorato a Londra a partire dalla metà degli anni Settanta studiando presso l’Hornsey College of Art e il
Chelsea College of Art. Attualmente vive e lavora tra Londra e Venezia.
Le sue opere sono esposte nelle più importanti collezioni permanenti e nei musei di tutto il mondo, dal Museum
of Modern Art di New York alla Tate di Londra, alla Fondazione Prada di Milano, ai Musei Guggenheim di Venezia,
Bilbao e Abu Dhabi. Recenti mostre personali si sono tenute presso: Galleria dell’Accademia e Palazzo Manfrin,
Venezia (2022); Modern Art Oxford (2021); Houghton Hall, Norfolk (2020); Pinakothek der Moderne, Monaco
(2020); Central Academy of Fine Arts Museum and Imperial Ancestral Temple, Pechino (2019); Fundación Proa,
Buenos Aires (2019); Serralves, Museu de Arte Contemporânea, Porto (2018); Museo Universitario Arte
Contemporáneo (MUAC), Città del Messico (2016); Reggia di Versailles, Francia (2015); Jewish Museum and
Tolerance Center, Mosca (2015); Walter Gropius Bau, Berlino (2013); Sakip Sabanci Muzesi, Istanbul (2013);
Museum of Contemporary Art, Sydney (2012).
Anish Kapoor ha rappresentato la Gran Bretagna alla 44. Biennale di Venezia nel 1990, dove ha ricevuto il Premio
Duemila. Nel 1991 ha vinto il Premio Turner e in seguito ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali.
Noto anche per le sue opere architettoniche, tra i progetti pubblici che ha realizzato ricordiamo: Cloud Gate (2004),
Millennium Park, Chicago, USA; Leviathan (2011) esposto a Monumenta 2011, Parigi; Orbit (2012), Queen
Elizabeth Olympic Park, Londra; Ark Nova, sala da concerto gonfiabile creata per il Lucerne Festival in Giappone
(2013); Descension (2014) installata al Brooklyn Bridge Park, New York, USA (2017); le fermate della metropolitana
di Napoli (Traiano e Università-Monte S. Angelo) in completamento nel 2024.
SCHEDA TECNICA
Titolo
Anish Kapoor. Untrue Unreal
Firenze, Palazzo Strozzi
Periodo
7 ottobre 2023 – 4 febbraio 2024
A cura di
Arturo Galansino
Promossa e organizzata da
Fondazione Palazzo Strozzi
Main Supporter
Fondazione CR Firenze
Sostenitori istituzionali
Comune di Firenze, Regione Toscana, Camera di Commercio di
Firenze, Comitato dei Partner di Palazzo Strozzi
Main Partner
Intesa Sanpaolo
Con il contributo di
Città Metropolitana di Firenze
Con il supporto di
Maria Manetti Shrem, Fondazione Hillary Merkus Recordati
Si ringrazia
Galleria Continua
Sponsor: Unicoop Firenze. Sponsor tecnici: Trenitalia, laFeltrinelli, Ufficio Turismo Città Metropolitana di
Firenze, Rinascente, Destination Florence Convention & Visitors Bureau.
Ufficio stampa
Fondazione Palazzo Strozzi:
Sutton:
Comunicazione e Promozione
Catalogo
Marsilio Arte
Informazioni e prenotazioni
Orari e Biglietti
http://www.palazzostrozzi.org
SELEZIONE IMMAGINI PER LA STAMPA
Anish Kapoor
Svayambhu
cera, vernice a base di olio
dimensioni variabili
Photo: Wilfried Petzi
©Anish Kapoor. All Rights Reserved SIAE, 2023
Anish Kapoor
To Reflect an Intimate Part of the Red
tecnica mista, pigmento
dimensioni variabili
Photograph Oliver Santanaue
© Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023
Anish Kapoor
Endless Column
tecnica mista, pigmento
dimensioni variabili
Photograph: Phillipp Rittermann
©Anish Kapoor. All Rights Reserved SIAE, 2023
Anish Kapoor
Non-Object Black
tecnica mista, vernice
cm 39 × 39 × 12
Courtesy the artist
© Anish Kapoor. All rights reserved SIAE, 2023
Anish Kapoor
A Blackish Fluid Excavation
acciaio, resina
cm 150 x 140 x 740
Photograph: Jacek Kucharczyk
©Anish Kapoor. All Rights Reserved SIAE, 2023
Anish Kapoor
Three Days of Mourning
silicone, tecnica mista, vernice
cm 250 × 120 × 70
Photograph: Dave Morgan
©Anish Kapoor. All Rights Reserved SIAE, 2023
Anish Kapoor
Newborn
acciaio inossidabile
cm 300 × 300 × 300
Photograph: Mark Waldhauser
©Anish Kapoor. All Rights Reserved SIAE, 2023
Anish Kapoor
Angel
ardesia e pigmento
dimensioni variabili
Photograph: George Rehsteiner
©Anish Kapoor. All Rights Reserved SIAE, 2023
UNTRUE UNREAL
Arturo Galansino
Tief ist der Brunnen der Vergangenheit. Sollte man ihn nicht unergründlich nennen?
Thomas Mann, Giuseppe e i suoi fratelli1
«Sono interessato agli effetti che i luoghi hanno sulle opere»2, afferma Anish Kapoor, e ciò appare evidente
guardando ai suoi lavori che riescono a catalizzare l’energia di uno spazio, non solo connotando l’ambiente
che le ospita, ma anche mettendosi in relazione con il contesto e trasformandolo.
La mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal a Palazzo Strozzi rappresenta il primo confronto diretto tra l’artista e
un edificio-epitome della cultura rinascimentale e, per sottolineare convergenze e affinità tra la sua arte e il
Rinascimento, sono inclusi in catalogo sei nuovi saggi di studiosi internazionali specializzati in questo periodo
storico: Diane Bodart, Francesca Borgo, Rachel Boyd, Dario Donetti, Tommaso Mozzati e Morgan Ng.
Come si evince dal saggio di Tommaso Mozzati la vasta selezione di sculture e installazioni, dall’inizio degli
anni Ottanta sino a oggi, presentate a Palazzo Strozzi si riempie di nuovi significati e suggestioni. Il
monumentale palazzo progettato per Filippo Strozzi alla fine del Quattrocento, infatti, costituisce un
«esercizio di rappresentazione», in cui – lo sottolinea Dario Donetti nel saggio in catalogo – il rivestimento
architettonico è ben distinto dai volumi che lo compongono, rendendo così particolarmente suggestivo il
dialogo tra un edificio simbolo dell’Umanesimo e del Rinascimento e l’arte di Kapoor, con il suo cimentarsi e
confrontarsi con i limiti di una struttura chiusa, con le riflessioni sui rapporti di scala, sulla liminalità, sui
concetti di membrana esterna e rivestimento3.
Il punto di partenza della mostra è il cortile, che l’artista ha voluto occupare con una nuova opera site specific,
Void Pavilion VII (2023), un grande monolite bianco nel quale si entra da un’apertura posta a est per trovare
tre “vuoti” oscurissimi che si aprono nelle pareti: un’opera che, come ribadisce l’artista nel dialogo che segue
questa introduzione, vuole destabilizzare le certezze e la visione razionale che sono alla base del progetto di
Palazzo Strozzi.
I visitatori che accedono al cubo kapooriano possono – “sprofondando” nei vuoti delle pareti – vivere un
momento meditativo sull’idea di spazio, prospettiva e tempo. Un’esperienza fisica e mentale, impossibile da
penetrare con la vista e che pare accogliere, in un mondo di ombre, l’inconscio. È l’oscurità in cui ritrovare se
stessi, l’Ouroboro junghiano, il serpente che si mangia la coda, l’abisso, che divora o si nutre di se stesso
T. Mann, Joseph und seine Brüder, Berlin 1933, I, p. 1. «Profondo è il pozzo del passato. O non dovremmo dirlo
imperscrutabile?», in T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, trad. di B. Arzeni, Milano 2021, p. 23.
Anish Kapoor, catalogo della mostra (Château de Versailles, 9 giugno – 1° novembre 2015), a cura di A. Pacquement,
Paris 2015, p. 19.
Kapoor ha sottolineato ««la convenzione rinascimentale della pittura come finestra illusionistica o spazio al di là,
senza mai deviare dal suo impegno per un’opera interamente scultorea e fisicamente molto presente» (L. Forsha,
Introduction, in Anish Kapoor, catalogo della mostra (San Diego, Museum of Contemporary Art, 1 febbraio –-5 luglio,
1992), San Diego 1992, pp. 10-13: 10-11). Tra i riferimenti kapooriani all’arte rinascimentale appare illuminante
l’affermazione scaturita nel corso del recente incontro tra Kapoor e Giulio Paolini a Brescia: «Sa quali sono state le due
scoperte più importanti nel Rinascimento? Una la prospettiva, lo sappiamo. La seconda sono le pieghe degli abiti»
(https://www.exibart.com/arte-contemporanea/dialogo-tra-assoluti-anish-kapoor-e-giulio-paolini-in-mostra-allagalleria-minini-di-brescia/).
formando un cerchio senza fine4. Il pozzo – di cui parla Morgan Ng nel suo saggio –, la vertigine fisica di
quanto sconosciuto, il timore della caduta, dell’essere risucchiati verso l’imperscrutabilità del passato e del
futuro, sono temi che ci riconducono alle dichiarazioni di Kapoor sulle proprie opere dedicate al vuoto, con
riferimenti sia al grembo materno che alla tomba: luoghi bui e scuri in cui potersi ritrovare, o perdere, anche
se – come sua prassi – l’artista non fornisce interpretazioni, ma lascia che siano gli spettatori a interrogarsi
sulla propria interiorità e spiritualità.
Sono sempre stato attratto da un’idea di paura, da una sensazione di vertigine, di caduta, di tensione verso
l’interno […]. È una visione dell’oscurità. La paura è un’oscurità dove l’occhio è incerto, la mano si volge nella
speranza di un contatto e solo l’immaginazione ha una possibilità di fuga5.
Il vuoto è in realtà uno stato interiore. Ha molto a che fare con la paura, in termini edipici, ma ancora di più
con l’oscurità. Non c’è niente di più nero del nero interiore. Nessun altro nero è paragonabile a quello. Sono
consapevole della presenza fenomenologica delle opere della serie Void, ma sono altrettanto consapevole del
fatto che l’esperienza fenomenologica da sola non è sufficiente. Mi ritrovo a tornare all’idea di narrazione
senza racconto, a ciò che permette di introdurre psicologia, paura, morte e amore nel modo più diretto
possibile. Questo vuoto non è qualcosa privo di importanza. È uno spazio potenziale, non un non-spazio6.
Nel passaggio alle stanze del Piano Nobile, caratterizzate dalla forte regolarità e dalla severa dualità
cromatica, le opere di Kapoor prendono possesso dello spazio, e l’artista è voluto intervenire proprio sulla
simmetria delle sale, come spiega egli stesso nell’intervista in catalogo. E questo intento lo si percepisce sin
dalla prima sala, dove l’ambiente viene aggredito da Svayambhu (2007), con le sue dimensioni, il suo
movimento e il colore acceso e drammatico della sua materia malleabile.
Questo termine sanscrito definisce ciò che si genera autonomamente, che è “sorto da sé”, è il corrispettivo
delle immagini acheropite cristiane create senza l’intervento di una mano umana ma impresse
miracolosamente su un supporto7. Secondo Kapoor «La forma […] si è fatta da sé»8 e in quest’opera è infatti
assente l’intervento dell’artista, qui sostituito dal motore – invisibile – che fa muovere il grande blocco
plasmabile attraverso una porta. Svayambhu propone una riflessione dialettica tra vuoto e materia: il
monumentale blocco di cera rossa, che riproduce un vagone ferroviario stilizzato, si muove su rotaie
seguendo un percorso di quasi venti metri tra due sale di Palazzo Strozzi plasmando la materia di cui è
composto nel rapporto con l’architettura che attraversa. Nel corso del tragitto – con un movimento quasi
impercettibile – essendo il blocco più ampio del portale, lascia tracce del passaggio di un rosso carico, quasi
fiotti di sangue coagulato: metafore di nascita e richiami all’utero, ma che suscitano anche percezioni di
morte e violenza.
T. McEvilley, Anish Kapoor. The Darkness Inside a Stone, in Sculpture in the Age of Doubt, New York 1999.
A Conversation. Homi Bhabha and Anish Kapoor, 1 June 1993, in Anish Kapoor. Stone, catalogo della mostra
(Istanbul, Sakip Sabanci Museum, 9 ottobre 2013 – 2 febbraio 2014), Istanbul 2013, pp. 317-327: 321, 323.
Mostly Hidden, an Interview with Marjorie Allthorpe-Guyton, in Anish Kapoor. British Pavilion, XLIV Venice Biennale
1990, catalogo della mostra, London 1990, pp. 43-51: 45.
Sul tema cfr. tra l’altro G. Wolf, Schleier und Spiegel. Traditionen des Christusbildes und die Bildkonzepte der
Renaissance, München 2002.
S. Poddar, Suspending Disbelief. Anish Kapoor’s Mental Sculpture, in Anish Kapoor. Memory, catalogo della mostra
(Berlino, Deutsche Guggenheim, 30 novembre 2008 – 1 febbraio 2009), a cura di S. Poddar, New York 2008, pp. 26-53:
34-41.
La cera ha una lunga tradizione nella storia fiorentina. Nel suo testo in catalogo Francesca Borgo ne ripercorre
l’uso sia come materia utilizzata per tecniche diverse, sia come medium artistico a sé stante, con riferimento
all’antica tradizione degli ex voto che raffiguravano parti del corpo o figure a grandezza naturale, come
quelle, eseguite dal “ceraiuolo” Orsino, volute da Lorenzo de’ Medici dopo essere sopravvissuto alla Congiura
dei Pazzi9. In una di esse il Magnifico appariva ferito alla gola e fasciato, come si era presentato alla finestra
di casa sua per testimoniare alla cittadinanza di essere vivo; un’immagine che, come la cera, evoca la
vulnerabilità ed effimerità della carne e l’aleatorietà della vita umana e che può essere anche avvicinata alle
opere di Kapoor in silicone – le troveremo più avanti – che ricordano interiora, corpi violati e sanguinanti.
In mostra Svayambhu è messo in rapporto con Endless Column (1992), che fa esplicito riferimento alla celebre
scultura La colonne sans fin di Constantin Brâncu?i, con cui l’artista rumeno ha voluto suggerire lo slancio
verso l’infinito, mentre Kapoor crea forme e meta-ambienti per interagire con lo spettatore sia fisicamente
che sensorialmente10.
C’è qualcosa di immanente nel mio lavoro, ma il cerchio si completa solo con lo spettatore. Esiste quindi una
netta differenza rispetto a quelle opere con soggetto definito, dove significato e contrappunto formano già
un cerchio completo11.
Il pigmento rosso vivo di Endless Column si allarga e accumula alla base e sul soffitto per suggerire che la
colonna è penetrata dal basso e sfonda la sala volendo arrivare al cielo per oltrepassare i limiti dell’ambiente
ed esplorare il rapporto tra fisicità e trascendenza. Si crea così una sensazione di corporeità architettonica
eterea, metafora del legame tra terra e cosmo, un concetto che Kapoor ha ribadito con un poetico paragone
agli iceberg, la cui struttura e il cui significato si rivelano sempre solo parzialmente, considerando che le
porzioni occultate alla vista ne costituiscono la parte preponderante.
[Quando] si realizza un oggetto e lo si riveste di pigmento, quest’ultimo cade a terra creando un alone intorno
all’oggetto stesso. Possiamo quindi paragonarlo a un iceberg: la maggior parte dell’oggetto è nascosta,
invisibile. E così mi sono interessato sempre di più all’oggetto invisibile. Una parte [di esso] sporgeva nel
mondo, ma era il resto a essere veramente interessante12.
Se l’opera brancusiana, sebbene priva di riferimenti antropomorfi diretti, richiama il corpo femminile con il
suo ripetersi di forme romboidali, la colonna di Kapoor può alludere all’organo sessuale maschile, ma nel
contesto di Palazzo Strozzi è fondamentale il rispecchiamento nelle colonne in pietra del cortile [fig. 1] (e in
altre ugualmente disegnate da Giuliano da Sangallo): altrettanti «cilindri solidi» – come richiama ancora
Donetti –, che risaltano sulle pareti chiare.
G. Vasari, Vita di Andrea del Verrocchio, in Le vite dei più celebri pittori, scultori e architetti, 1568, La Spezia 1988, vol.
1, pp. 327-332.
M. Codognato, The Meat and Flesh of the World, in Anish Kapoor, catalogo della mostra (Roma, Macro, Museo
d’arte contemporanea, 17 dicembre 2016 – 17 aprile 2017), a cura di M. Codognato, Imola 2017, pp. 10-21: 12.
Anish Kapoor in In ConversaWon with John Tulsa, BBC Radio 3, luglio 2003:
hlps://www.bbc.co.uk/programmes/p00ncbc1.
C. Higgins, A Life in Art. Anish Kapoor,in «The Guardian», 8 novembre 2008,
https://www.theguardian.com/artanddesign/2008/nov/08/anish-kapoor-interview.
Il pigmento di Endless Column ha avuto un ruolo importante nei primi lavori, quale To Reflect an Intimate
Part of the Red (1981), opera fondamentale nella carriera di Kapoor al suo affermarsi sulla scena
internazionale come una delle più originali voci nell’arte contemporanea: un suggestivo insieme di forme in
pigmento giallo o rosso, riferibili a elementi naturali, che emergono dal pavimento, fragili, quasi ultraterrene
ma potentemente presenti. Se la scala ridotta differenzia queste opere da altre successive, analogo è l’effetto
spaziale e architettonico, ricercato e ottenuto.
Nel corso della Biennale veneziana del 1990 il lavoro di Kapoor basato sui pigmenti venne interpretato
soprattutto sulla base delle sue origini e dei riferimenti alla cultura indiana, ma a questa catalogazione
l’artista, già in quella occasione, si era opposto con energia:
È una cosa che mi fa infuriare. Mi oppongo con forza al tentativo di guardare l’opera per la sua indianità o
attraverso la mia indianità13.
Da allora, la risposta a una simile chiave di lettura del suo lavoro è stata l’idea di “spirituale”, una dimensione
più ampia che coinvolge le variegate esperienze e i diversi riferimenti che sono alla base del pensiero, non
solo artistico, di Kapoor.
Il colore poi, che nella poetica di Kapoor non è solo materia e tonalità, ma anche fenomeno immersivo, con
un proprio volume insieme spaziale e illusorio, crea, come sottolinea Rachel Boyd in catalogo, un parallelismo
con l’uso dei pigmenti nella scultura non solo rinascimentale, ma dell’antichità in generale: un’acquisizione
relativamente nuova nell’ambito degli studi.
Al corpo seminale di opere nere kapooriane appartiene Non-Object Black (2015). Vantablack, il materiale
altamente innovativo usato per quest’opera, è costituito da nanotubi di carbonio capaci di assorbire più del
99,9 per cento della luce visibile, così da rendere invisibili i contorni dell’oggetto. Ne consegue la sparizione
della terza dimensione, cosa che consente a Kapoor di mettere in discussione l’idea stessa di oggetto fisico e
tangibile e di presentare forme che si dissolvono al passaggio dello sguardo. In questi lavori rivoluzionari
l’artista spinge i visitatori a interrogarsi sulla nozione stessa dell’essere, proponendo una riflessione non solo
sull’oggettualità ma anche sull’immaterialità che permea il nostro mondo.
In una recente conversazione con Giulio Paolini, citando le due più grandi innovazioni rinascimentali, che a
suo modo di vedere sono la prospettiva e la piega, Kapoor commenta:
Il motivo della piega nella pittura rinascimentale era un segno dell’essere, ma se c’è una piega in un tessuto
nero, non la distingui. Attraverso la cancellazione del contorno e del bordo ci viene offerta la possibilità di
superarlo. Beyond being, oltre l’essere14.
Utilizzando il rivoluzionario materiale Kapoor ha proseguito la sua ricerca di lunga data dedicata al “nonoggetto”, che annulla ogni confine tra pittura e scultura, e “porta via” l’oggetto da se stesso, lo fa assorbire
Anish Kapoor, in «Audio Arts Magazine», 10, 4, lato A. Registrazione del 1990 alla Biennale di Venezia. Anish Kapoor
parla della sua installazione Void Field collocata nel padiglione inglese:
hlps://www.tate.org.uk/art/archive/items/tga-200414-7-3-1-35/audio-arts-volume-10-no-4/1. Citato in D. Milea,
Plasmare la percezione. Simbologie di materia, colore e vuoto nella scultura di Anish Kapoor, tesi di laurea magistrale,
Università di Pisa. Diparnmento di civiltà e forme del sapere, A.A. 2013-2014, p. 22.
https://www.exibart.com/arte-contemporanea/dialogo-tra-assoluti-anish-kapoor-e-giulio-paolini-in-mostra-allagalleria-minini-di-brescia/.
dalla materia stessa da cui è costituito, chiedendo di confrontarci con la sua perdita per analizzare la nostra
complessa relazione con la realtà.
Nell’arte di Kapoor, infatti, come ricorda il titolo della mostra, l’irreale (unreal) si mescola con l’inverosimile
(untrue), trasformando o negando la comune percezione della realtà. Veniamo dunque invitati a esplorare
un mondo in cui i confini tra vero e falso si dissolvono, aprendo le porte alla dimensione dell’impossibile.
Questa forte esperienza del non-oggetto continua in Gathering Clouds (2014), forme concave monocrome
che assorbono lo spazio circostante in una oscurità meditativa. L’arte di Kapoor offre infatti un nuovo modo
di vedere e pensare a come viviamo la “realtà”, grazie al suo uso unico di forma e saturazione, in opere
permeate da una profonda connotazione psicologica.
A questi lavori di Kapoor dedicati all’indagine della percezione delle forme e degli spazi, al senso di
distorsione, a forme destabilizzanti ma unitarie, si affiancano in mostra opere su altri temi che costituiscono
comunque una parte fondamentale della sua ricerca: l’attenzione ossessiva per la carne, la materia organica,
il corpo e il sangue. Vengono così presentate drammatiche intimità sventrate e devastate, quali la grande
scultura in acciaio e resina A Blackish Fluid Excavation (2018), che richiama un incavo uterino contorto, una
forma che attraversa lo spazio e i sensi dello spettatore.
Unendo la pittura al silicone, Kapoor crea lavori dotati di forme fluide che ci appaiono come masse organiche,
viscerali, che sembrano pulsare di vita propria. Le strutture si contorcono, si espandono e si contraggono,
evocando un senso di movimento e di trasformazione continua, ma anche di una forte sensualità tattile che
emerge dall’interazione tra le sensazioni di morbidezza e solidità, organicità e geometricità, alla base di opere
dai titoli evocativi come First Milk (2015), Tongue Memory (2016), Today You Will Be in Paradise (2016), Three
Days of Mourning (2016).
Già nel 2000 l’ar~sta ha parlato di una «fase del sangue», dominata dal rosso, colore che da sempre ha
caratterizzato i suoi lavori riuscendo a esprimere sia la vita che la morte15. Come Kapoor ha dichiarato:
Uso molto il rosso. […] È vero che nella cultura indiana il rosso è qualcosa di potente; è il colore della sposa;
si associa al matriarcale, che nella psicologia indiana è centrale. […] Il rosso ha una scurezza molto forte.
Questo colore palese, aperto e visivamente invitante è associato anche a un mondo interiore oscuro16.
Sempre presenti poi nel lavoro di Kapoor la dualità, la contrapposizione, o fusione, tra elementi contrapposti:
terra/cielo, maschile/femminile, forma/informe, presenza/assenza, e anche il complesso rapporto tra le
culture che lo hanno plasmato, l’orientale e l’occidentale.
Alla nozione tradizionale di confini e alla dicotomia tra soggetto e oggetto, si collegano monumentali opere
specchianti come Vertigo (2006) con i suoi riflessi invertiti, Mirror (2018) e Newborn (2019), ispirato ancora
una volta alle sperimentazioni formali di Brâncu?i: opere che, smaterializzando il concetto di scultura in
un’infinità di riflessi, si inseriscono nella lunga disputa sul paragone tra le arti, come spiega Diane Bodart in
catalogo. L’illusione ottica è elemento centrale di queste opere che sembrano smentire le leggi della fisica:
grandi sculture che, infatti, riflettono e deformano lo spazio circostante e lo ingrandiscono, riducono e
G. Mercurio, D. Paparoni, La svolta della scultura, in Anish Kapoor. Dirty Corner, catalogo della mostra (Milano,
Rotonda della Besana, 31 maggio – 9 ottobre 2011), a cura di G. Mercurio e D. Paparoni, Milano 2011, pp. IX-XIII: XII.
Anish Kapoor in N. Baume, Mythologies in the Making. Anish Kapoor in Conversation with Nicholas Baume, Anish
Kapoor: Past, Present, Future, Boston-Cambridge 2008, pp. 64-65.
moltiplicano, creando una sensazione di irrealtà e destabilizzazione, mentre attirano lo spettatore nello
spazio indefinito che emanano.
Le immagini vengono distorte, fino ad apparire capovolte e il visitatore avverte una sensazione di
straniamento che, oltre a coinvolgerlo sul piano sensoriale, può generare riflessioni sulla natura dell’essere.
Le opere specchianti, le opere dipinte, tutte avevano una specie di pelle. La pelle è una costante in tutto ciò
che ho affrontato con il mio lavoro da vent’anni a questa parte. È quello che separa una cosa dal suo
ambiente, ma è anche la superficie sulla quale o attraverso la quale leggiamo un oggetto e il confine dove il
bidimensionale incontra il tridimensionale. Affermazioni che possono sembrare ovvie, ma che a ben guardare
rivelano tutto un altro processo. Nella pelle c’è una sorta di irrealtà implicita che ritengo meravigliosa17.
Come conclusione del percorso espositivo l’opera Angel (1990) esalta un’alchimia di materialità. Grandi
pietre di ardesia ricoperte da strati di intenso pigmento blu, sembrano solidificare l’aria, trasformando l’idea
stessa di purezza in elemento materiale. Invitando gli spettatori a immergersi nella loro illusoria profondità,
Kapoor evoca un senso di mistero che risponde all’ambizione di matrice esoterica di raggiungimento della
fusione degli opposti.
Se l’arte ha a che fare con qualcosa, è senz’altro la trasformazione. Si tratta di cambiare stato alla materia.
Questo non desiderando il suo passaggio da uno stato all’altro, ma attraverso uno strano processo di
manipolazione di cui non saprei (proprio) come parlare. Sono sicuro che se affermassi con insistenza che
queste forme sono uscite da una cava come blocchi blu di Prussia, mi credereste18.
Le opere di Kapoor trascendono infatti la loro materialità: pigmenti, pietra, acciaio riflettente, cera e silicone
vengono manipolati, scolpiti, levigati, saturati e trattati mettendo in discussione il confine tra plasticità e
immaterialità. Ma, come chiarito da Kapoor a Maurizio Cattelan che gli aveva chiesto da dove partisse e come
prendesse vita il suo lavoro: «Alchimia, lavoro e materiali» perché nell’opera la materia «è stata sottoposta
a una trasformazione alchemica. Il mix di psiche e materia è quella meraviglia che noi umani possiamo fare
e che abbiamo dimenticato di poter fare»19.
D. De Salvo, C. Balmond, Marsyas, London 2002, p. 64.
L. Forsha, Introduction, cit., pp. 10-13: 12.
Anish Kapoor: «Per me la disobbedienza è l’unica regola dell’arte». Maurizio Cattelan intervista Anish Kapoor, in
«Corriere della Sera», 23 giugno 2022, p. 25.
ANISH KAPOOR IN CONVERSAZIONE CON ARTURO GALANSINO
Il tuo rapporto con l’Italia ha una storia lunga e intensa, che ha visto la realizzazione di importanti progetti
in diverse città, tra cui Napoli, Roma, Milano e Venezia. Ora Firenze ospita questa mostra così significativa.
Puoi descrivere il tuo legame con il nostro Paese?
Come hai detto, ho un lungo e intenso rapporto con l’Italia. In questo Paese percepisco un forte legame tra
vita quotidiana e cultura, proprio come quello con cui sono cresciuto in India.
L’altro giorno stavo passeggiando a Venezia e ho notato un’immagine della Madonna sul fianco di una chiesa.
Mi è venuto in mente che i paesi protestanti dove ho trascorso buona parte della mia vita hanno bandito il
femminile e trasformato la società in una gerarchia maschile. Il cattolicesimo italiano si aggrappa invece al
femminile come presenza psichica. Questo concetto mi tocca profondamente.
In passato hai lavorato in contesti storici fortemente caratterizzati, come i giardini di Versailles, Houghton
Hall e Palazzo Manfrin, quest’ultimo scelto anche come sede della tua fondazione veneziana. Tuttavia, è la
prima volta che ti confronti con Firenze e con un edificio del primo Rinascimento come Palazzo Strozzi,
noto per il suo rigore, la simmetria e l’essenzialità. Considerato il tuo rapporto profondo con l’architettura,
in che modo questo edificio, simbolo della cultura umanistica, ti ha ispirato nella scelta delle opere da
esporre? E poi, come interagisce con Palazzo Strozzi e la tua storia, Void Pavilion VII, la nuova installazione
creata per il cortile, il cui esterno richiama la struttura delle facciate del palazzo?
Palazzo Strozzi è, come dici, simmetrico. La successione degli ambienti è strutturata e rigorosa. Fare una
mostra in queste sale non è facile. Troppo ordine distrugge il modo in cui l’opera può interagire con lo
spettatore. È stato quindi necessario interrompere l’ordine delle sale, collocando i lavori in maniera da creare
percorsi alternativi attraverso l’edificio.
Void Pavilion VII è una struttura formale che fa rima con il palazzo. È un piccolo edificio realizzato per
contenere il vuoto o l’oscurità, per dare spazio al non formato o al nascosto. Un luogo per l’unheimlich: forse
in questo senso l’opposto di ciò che intendevano i costruttori di Palazzo Strozzi.
Esplori spesso i temi del dualismo e dell’opposizione, come ad esempio interno ed esterno, concavo e
convesso, ordine e caos, naturale e artificiale. Pensi che nel tuo lavoro possa esserci un’idea di sintesi di
questi contrasti o addirittura il loro superamento?
Viviamo in un universo di opposti: giorno e notte, maschile e femminile, positivo e negativo, vita e morte.
Anche il nostro universo psichico, come sappiamo, è fatto di opposti.
La mia avventura nell’oggetto mi ha portato alla convinzione che tutti gli oggetti risiedano in una dicotomia
materiale/immateriale.
La tua pratica artistica tende spesso alla ricerca della perfezione formale, puntando alla scomparsa della
“mano dell’artista” e alla sublimazione della componente materiale e trasformando le opere in oggetti
eterni, quasi senza tempo, appartenenti a un’epoca pre-culturale e pre-antropologica. Allo stesso tempo,
ci sono tecniche e materiali utilizzati nel tuo lavoro che fanno parte della tradizione artistica, come
evidenziano i saggi contenuti nel catalogo. Qual è stata la sfida nel portare certe caratteristiche e
peculiarità verso nuovi orizzonti espressivi? E com’è l’interazione con i nuovi materiali, alcuni
assolutamente all’avanguardia, che contraddistinguono la tua produzione più recente?
Marcel Duchamp ha proposto l’objet trouvé. Io propongo una condizione precedente: l’oggetto non fatto,
autoprodotto, automanifesto. Prima del pensiero, prima della cultura. Una complessa finzione dell’oggetto:
il fatto non fatto.
Fai riferimento al materiale più nero dell’universo, ovvero a un materiale tecnologico più nero di un buco
nero, in grado di assorbire il 99,9 per cento della luce.
Il Quadrato nero di Malevi? è, come diceva lui stesso, un oggetto quadridimensionale, con tre dimensioni
note e una ignota.
Le due grandi invenzioni del Rinascimento sono la prospettiva, così come la conosciamo, e la piega, ovvero il
tessuto ripiegato nella pittura del primo periodo rinascimentale: il corpo e l’essere.
Se applicato su una piega, questo materiale nero la rende invisibile. La porta oltre l’essere.
Come Malevi?, trasporta l’oggetto nella quarta dimensione.
Un trucco, un’illusione, una finzione. Sì, ma tutta l’arte è finzione. Come sappiamo, gli artisti fanno proposte
mitologiche, non semplici oggetti.
Portare un oggetto al di là dell’essere è un’ambizione elevata, ma è questo il mio obiettivo.
Untrue Unreal è il titolo che hai scelto per la mostra a Palazzo Strozzi, invitandoci a esplorare un mondo
dove i confini tra vero e falso, realtà e finzione, si dissolvono, aprendo le porte per la dimensione
dell’impossibile. Questi temi sono da tempo fondanti e ricorrenti nel suo lavoro. In questa occasione e in
questo particolare momento storico assumono dimensioni e significati nuovi e differenti rispetto al
passato?
Sì, in questo momento di crescita dell’ultranazionalismo a livello mondiale, la finzione politica si spaccia per
reale ed è cieca nei confronti della storia. Il gioco reale/non reale e vero/non vero è un topos del nostro
tempo. Qui in Italia e nel mondo. Oserei dire che abbiamo perso il contatto con la realtà umana e con i nostri
compagni, compresi i cento milioni che vagano per il pianeta come rifugiati. Tutto questo nel cieco
indottrinamento degli ultranazionalisti. Untrue Unreal, non vero e non reale, oggi.
Il ruolo degli artisti, secondo me, è quello di guardare all’ignoto o al semisconosciuto. Non ho nulla da dire.
La mia verità è confidare in ciò che non conosco o conosco solo in parte. In questo, il non vero/non reale è
una guida.
ANISH KAPOOR E IL RINASCIMENTO
La mostra rappresenta il primo confronto diretto tra Anish Kapoor e un edificio simbolo della cultura
rinascimentale fiorentina. Per riconsiderare convergenze e affinità tra la sua arte e un’epoca che ha segnato
la civiltà occidentale, in catalogo sono presenti sei nuovi saggi di studiosi internazionali specializzati in questo
periodo storico: Dario Donetti, Tommaso Mozzati, Francesca Borgo, Rachel Boyd, Morgan Ng, Diane H.
Bodart.
Dario Donetti (docente di Storia dell’Architettura all’Università di Verona), nel suo saggio Architettura e
illusione a Palazzo Strozzi, affronta il tema del rapporto tra l’edificio che accoglie la mostra e l’arte di Kapoor:
«L’architettura del Rinascimento, a partire dal suo avvio eroico nella Firenze del quindicesimo secolo, è
nell’intendimento comune l’espressione di una sensibilità spaziale improntata a misura, armonia, organicità.
[…] Se […] vi è un’architettura che può confermarlo, che legittimamente si può riconoscere come un prodotto
di quell’idealismo di forme e spazio, è proprio il palazzo progettato per Filippo Strozzi, sul finire del
Quattrocento, da Giuliano da Sangallo. Allo stesso tempo, questa dimora monumentale, frutto di ambizioni
sociali che sconvolsero il paesaggio urbano fiorentino, è il pretesto per un sottile esercizio di
rappresentazione, svolto principalmente su una pelle architettonica felicemente disconnessa dai volumi che
riveste. Perciò, per i significati spaziali di cui può caricarsi, diventa particolarmente evocativo il dialogo tra un
edificio così radicato nell’immaginario dell’architettura rinascimentale e l’arte di Anish Kapoor, che a più
riprese ha messo alla prova i limiti geometrici della scatola muraria, insistendo sulle ambiguità dei rapporti
di scala, esplorando soglie e terreni liminali, penetrando il potenziale illusorio della membrana e del
rivestimento».
Donetti insiste sul rapporto tra i rivestimenti esterni del palazzo e l’attenzione di Kapoor alla pelle degli
oggetti, intesa come un “velo” tra mondo interno ed esterno: «Le bugne scollate […] fanno capire che già
nelle intenzioni del suo architetto la facciata fa da supporto a una forma di pura rappresentazione: una
superficie da disegnare, anch’essa, come la carta; una pelle ambigua che riveste il costruito e lascia campo
all’illusorio o, quantomeno, all’imitazione di un altro da sé. In questo caso, della naturalità dell’architettura
lapidea. Il senso che Anish Kapoor ha dell’architettura ci mostra, con particolare eloquenza, come la pelle
posta a rivestire gli oggetti di grande scala – sia che essa consista di membrane plastiche, come Leviathan, o
di metalli più o meno politi, pensando a Cloud Gate o a Memory – ne possa mascherare l’effettiva consistenza
in termini di massa, alterando sostanzialmente la percezione che il corpo ha dello spazio architettonico o
della scala dell’intorno urbano. Ma non è forse così per buona parte dell’architettura del Rinascimento e, più
in generale, per la stagione del classicismo?»
Donetti sottolinea anche come: «Nel cortile del palazzo – e così in altre opere sangallesche, dalla facciata
della villa laurenziana di Poggio a Caiano al potente cortile del Cestello – i cilindri solidi delle colonne in pietra
si stagliano a contrasto con le superfici lisce di muri intonacati e, proprio perché isolati, esaltano le origini di
una lingua che è ormai divenuta allusione. Danno, anche, la misura dell’edificio: diventano il metro per
apprezzarne la scala, per indirizzare (o forzare?) la lettura che i sensi possono produrre dello spazio. Così,
come la colonna senza fine, Endless Column, che attraversa in tutta la sua altezza una delle sale angolari di
palazzo Strozzi, nel Rinascimento gli ordini mantengono la loro capacità di plasmare, sul piano della
percezione, i rapporti dimensionali tra l’osservatore e l’edificio; di riconoscere nel corpo lo strumento per
fare esperienza dei misteri della scala, come già dell’illusione carica di significati della sua architettura».
Come evidenziato da Tommaso Mozzati (professore di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Perugia)
nel saggio Object/Non-Object, l’ampia selezione di sculture e installazioni di Kapoor esposte a Palazzo Strozzi,
che vanno dall’inizio degli anni Ottanta fino a oggi, acquista nuovi significati e suggestioni in relazione alla
secolare vocazione della città per la scultura. Infatti, come testimoniato da «Charles de Brosses a Joshua
Reynolds, da Stendhal a John Ruskin, per arrivare alle esperienze sempre più frequenti contenute nel termine
di secolo, il centro toscano si rispecchia nella sua galleria di sculture, venendo a identificarsi con quelle
immagini, modello espressivo d’assoluta preminenza, testimonianza solida d’una funzione artefatta e
archetipica». Anche il marchese De Sade «Perso nell’infilata delle sale – in Toscana nell’estate-autunno 1775
– avrebbe infatti associato, nei carnets del suo Voyage d’Italie, il ricordo delle antichità restaurate da
Michelangelo a quello delle Veneri anatomiche collezionate dal Gran Duca, marmo contro cera, dividendo il
racconto fra il capitolo dedicato alla Galleria e quello sui “moeurs” degli abitanti, senza trascurare gli Effetti
della Peste di Gaetano Zumbo: “On voit un sépulcre rempli d’une infinité de cadavres, dans chacun desquels
on peut observer les différentes gradations de la dissolution, depuis le cadavre du jour jusqu’à celui que les
vers ont totalement dévoré”. Tale ribaltamento dell’immagine di Firenze, riscritta all’alba della Modernità
operando sulla materia stessa dei suoi indici illustri, consuona con l’invito a un artista come Anish Kapoor, in
città con la prima, grande monografica, concepita per tracciarne il cursus completo in opere più o meno
recenti, dalle superfici immateriali di Newborn (2019) al rosso intenso, in assottigliamento perpetuo,
dell’istallazione Svayambhu (2007), dai solidi di To Reflect an Intimate Part of the Red (1981) all’organico
Tongue Memory del 2016. Da sempre, infatti, Kapoor sottolinea l’ambizione di cercare, attraverso il lavoro
sul medium, “more than a physical presence” (nel rispetto della categoria del “truly made”, tratteggiata nel
1998 da Homi K. Bhabha “as the meeting of material and non-material”), il desiderio di tradurre, in “every
concrete object […] an equal non-object, a mysterious one”».
Con Vivissimi. Corpi di carne, cera e silicone, Francesca Borgo (Professore alla School of Art History
all’Università di St Andrews) indaga la ricerca rinascimentale per la creazione di una statua che viva di vita
propria, e l’ampio uso della cera sia nella tradizione artistica fiorentina che in Kapoor, partendo da
Svayambhu e dal lento movimento che lo caratterizza: «Quella della statua che si anima e vive di vita propria
è una favola impossibile che si racconta spesso. Da Pigmalione in avanti, creare la vita dove la vita manca,
suggerendola attraverso il movimento, è una vecchia sfida dell’arte occidentale. L’arte “in sé non è viva ma
isprimitrice di cose vive senza vita”, scrive Leonardo (1452-1519); l’opera che non riesce a creare una illusione
di movimento nella materia inerte è “due volte morta”, nella realtà e nella finzione: “se non gli si aggiunge la
vivacità dell’atto essa riman morta la seconda volta” Libro di pittura, § 376). Per questo l’artista deve
cancellare ogni traccia del proprio fare, l’evidenza della mano e in particolare la visibilità del segno, in modo
che l’opera appaia miracolosamente, appunto, “sorta da sé”. La capacità di moto proprio è – lo dice Aristotele
– segnale inconfondibile di un essere vivente. Non è però solo il movimento a rendere Svayambhu un
discendente del sogno rinascimentale di animazione dell’inanimato. Più di qualsiasi altro mezzo scultoreo, la
cera è infatti legata ai processi della vita: nascita, metamorfosi, dissoluzione, rigenerazione. Al tempo stesso
calda e fredda, flessibile e solida, amorfa e polimorfa, la cera sovverte l’aspettativa di immutabilità
generalmente associata alla scultura. Risponde al nostro tocco, si scalda e modella: reagisce, e quindi è viva;
anche nella storia ovidiana di Pigmalione, lo scultore percepisce l’animazione della statua sotto le dita come
cera che si ammorbidisce al sole (Metamorfosi, X, 284). L’innata predisposizione al cambiamento, la docilità
e l’arrendevolezza, la capacità metamorfica, hanno a lungo assicurato alla cera un posto di riguardo nella
produzione artistica occidentale, in particolare come simulacro intero o parziale del corpo umano,
soprattutto nei suoi stati di malattia, morte, e lacerazione della carne. Nel Rinascimento sono di cera le
maschere mortuarie e gli ex-voto che riproducono singole parti del corpo, malate o già risanate. Ma
soprattutto – e soprattutto a Firenze – sono di cera le effigi votive che un tempo, ammassate a migliaia,
riempivano il santuario della Santissima Annunziata; sempre a Firenze, la cera sarà poi il materiale dei modelli
anatomici che faranno del museo della Specola il centro della ceroplastica scientifica, quelle Veneri aperte,
sventrate, indagate nei segreti delle viscere».
Rachel Boyd (curatrice del Dipartimento di Scultura rinascimentale al Victoria & Albert Museum di
Londra), indaga La scultura colorata nella Firenze del primo Rinascimento, considerando come si abbia
oggi una visione distorta dell’immagine che la città offriva all’epoca: «Quello che vediamo oggi […] è solo un
accenno alla centralità del colore nella cultura artistica della Firenze rinascimentale, poiché molte delle
superfici dipinte di sculture e edifici si sono logorate con il tempo e con l’uso o sono state intenzionalmente
private delle loro tonalità originali. Le vibranti sculture fatte di pigmenti di Anish Kapoor, una selezione
delle quali è inclusa nell’attuale mostra a Palazzo Strozzi, invitano a riflettere su questa storia locale e a
considerare gli usi e le connotazioni dei pigmenti nella scultura rinascimentale in particolare. Si tratta di una
storia che solo ora inizia a essere esplorata, e in alcuni casi celebrata, dagli studiosi del periodo, anche se i
pregiudizi nei confronti della scultura a colori – spesso liquidata come poco sofisticata, innaturale, troppo
religiosa, sentimentale, appariscente o kitsch – rimangono radicati nella disciplina della storia dell’arte. I
pigmenti fortemente colorati sono ancora considerati competenza esclusiva dei pittori della prima età
moderna, non di coloro che creavano forme tridimensionali». Boyd rivolge la sua attenzione soprattutto a
due artisti per i quali – come per Kapoor – colore e materiali hanno avuto un ruolo fondamentale:
«Donatello usò una gamma di materiali colorati – da cera pigmentata rossa e verde a frammenti di
ceramica smaltata – per creare fondi riflettenti dai colori vivaci per i suoi rilievi in terracotta e marmo. Se
Donatello sperimentava in modo costante con i materiali, creando una sorprendente gamma di effetti
visivi, fu però il suo contemporaneo Luca della Robbia a realizzare una fusione quasi completa tra arte
pittorica e scultorea».
Morgan Ng (Assistant Professor al Dipartimento di Storia dell’Arte della Yale University) in Vuoti
rinascimentali – immaginando di entrare nella tavola raffigurante la Città ideale conservata a Urbino –
esplora il mondo ipogeo come immaginato nel Rinascimento, nel «paesaggio sotterraneo come quello
raffigurato da certi artisti e architetti del Quattrocento. Figure come Mariano Taccola da Siena o il suo
seguace Francesco di Giorgio Martini, quest’ultimo forse collega del pittore della Città ideale alla corte dei
Montefeltro (alcuni hanno addirittura ipotizzato che Francesco stesso possa essere l’autore della tavola). Nei
loro disegni e schizzi la visione trascende i limiti materiali e corporei. Le viscere della terra rivelano il loro
contenuto come in una radiografia. Impenetrabili pareti montuose appaiono come volumi trasparenti che
svelano la presenza di gallerie idrauliche e mulini sotterranei». «Queste visioni sotterranee trovano una
sorprendente controparte nel più ampio immaginario letterario, teologico e artistico del Quattrocento. Si
consideri il commento del 1472 alla Divina Commedia dantesca da parte di Antonio di Tuccio Manetti,
architetto e intellettuale poliedrico. Manetti si prefisse un’impresa stupefacente: la descrizione topografica
sistematica di “sito, forma e grandezza dell’Inferno”. Con un’ossessiva precisione numerica, degna di
Francesco di Giorgio Martini e delle sue geometrie sotterranee, specificò sia la larghezza dell’apertura sia la
profondità di questa “enorme caverna”: esattamente 3245 miglia e 5/11. L’impulso rinascimentale a
misurare razionalmente la terra assume qui una forma assurda e grottesca: il progetto di mappare una
geografia infernale mai vista. Con iperbolica sicurezza, Manetti afferma che l’inferno, al pari di qualsiasi altra
città, è un luogo abitabile con attributi fisici concreti, coordinate localizzabili e dimensioni misurabili».
Diane H. Bodart (Maître de conférences di Storia dell’arte moderna all’Università di Poitiers), rilegge con
Un medium pittorico per la scultura: le superfici riflettenti di Anish Kapoor, le opere specchianti di Kapoor,
lavori che si inseriscono nella lunga disputa sul paragone tra le arti, che tanta letteratura ha prodotto in epoca
rinascimentale: «Collocando la sua pratica all’intersezione tra scultura e pittura e fondendo la dimensione
fisica della prima con la qualità illusoria della seconda, Kapoor ripropone i termini dell’antico dibattito
comparativo tra le due arti, comunemente noto come “paragone”, che infiammò il discorso artistico durante
il Rinascimento italiano. Nel contesto di questa disputa, la supremazia della scultura veniva rivendicata per
la verità della sua sostanza fisica, che poteva essere attestata non solo con la visione dell’occhio ma anche
con il tocco della mano, mentre la preminenza della pittura si basava sulla sua capacità di rappresentare
l’intero mondo visibile, compresi la luce immateriale e i fenomeni atmosferici come nuvole, folgori e riflessi.
Le superfici riflettenti sarebbero effettivamente diventate l’arma assoluta della pittura, sia negli scritti dei
letterati sia nelle opere dimostrative dei pittori».
In relazione ai lavori di Kapoor Bodart cita la famosa “tavoletta” brunelleschiana «raffigurante l’alzato del
battistero di Firenze visto dalla cattedrale. Nella tavola, la parte superiore posta sopra l’orizzonte non era
dipinta bensì ricoperta da una foglia d’argento lucida. Se osservata nella giusta posizione, riflessa in uno
specchio di fronte al battistero, l’immagine sulla tavoletta si sovrapponeva perfettamente all’edificio reale,
mentre il cielo si rifletteva nella lamina argentea. Dimostrando le potenzialità del nuovo strumento nel
proiettare lo spazio architettonico tridimensionale su una superficie piana, Brunelleschi ne riconosceva
contemporaneamente i limiti: i movimenti della natura, come la variazione della luce e il passaggio delle
nuvole, non potevano essere ridotti alla logica geometrica della griglia prospettica. Gli oggetti specchianti
che Kapoor colloca in spazi urbani attivano in modo analogo la tensione tra permanente e mutevole,
superandola tuttavia simultaneamente. Infatti, sulla superficie riflettente delle sculture, non solo il cielo ma
anche l’aspetto dello skyline cambia a seconda del tempo e dell’ora, includendo inoltre il continuo viavai
quotidiano delle persone che animano la città».
ANISH KAPOOR SECONDO ANISH KAPOOR:
Citazioni dell’artista sui temi della sua arte
«Sono un pittore che è uno scultore»1.
«Non voglio fare una scultura incentrata sulla forma, non mi interessa proprio. Vorrei fare una scultura che
riguardi la fede, o la passione, l’esperienza, aspetti che sono fuori dal terreno della materia»2.
«Questo è ciò che voglio: il passaggio da un oggetto nell’architettura a un’architettura in sé»3.
«Mi ha sempre interessato la mitologia dell’oggetto autoprodotto. Come se non avesse un autore, come se
fosse lì per sua volontà. Nel pensiero indiano questa è un’idea piuttosto forte»4.
«L’oscurità è senza forma»5.
«Lo specchio crea confusione. […] È fonte di confusione e mi interessa come proposta»6.
«Sono molto interessato al linguaggio dei segni e alle loro simbologie. L’artista non deve necessariamente
dare messaggi, ma iniziare processi di ricerca»7.
«Il mix di psiche e materia è quella meraviglia che noi umani possiamo fare e che abbiamo dimenticato che
possiamo fare»8.
«L’intera visione indiana della vita è incentrata sulle forze opposte. Una cosa che mi affascinava [durante il
viaggio del 1979] erano i piccoli santuari e templi lungo la strada, che si trovavano dappertutto in India, e
sono specificamente ispirati da questa concezione dualistica»9.
«È una cosa che mi fa infuriare. Mi oppongo con forza al tentativo di guardare l’opera per la sua indianità o
attraverso la mia indianità»10.
1 Anish
Kapoor. Interview by Douglas Maxwell, in «Art Monthly», London, maggio 1990.
2 Anish Kapoor citato in Iwona Blazwick, Objects and Sculpture, catalogo della mostra (Londra, Bristol Institute of Contemporary
Art/Arnolfini Gallery), 1981.
3 Anish Kapoor, 2010.
4 Anish Kapoor in Nicholas Baume, Mythologies in the Making. Anish Kapoor in conversation with Nicholas Baume, Anish Kapoor:
Past, Present, Future, Boston, Institute of Contemporary Art, MIT Press, 2008.
5 Constance Lewallen, Interview with Anish Kapoor, in «View». A. VII, n. 4, autunno 1991.
6 https://anishkapoor.com/6303/in-conversation-with-marcello-dantas-2
7 https://www.artribune.com/report/2015/10/mostra-anish-kapoor-convento-tourette-lione-le-corbusier/
8 Cattelan intervista Kapoor, in «Corriere della Sera», 23 giugno 2022.
9 Anish Kapoor. Interview by Douglas Maxwell, in «Art Monthly», London, maggio 1990.
10 Anish Kapoor, in «Audio Arts Magazine», 10, No 4, Side A. Registrazione del 1990 alla Biennale di Venezia.
http://www.tate.org.uk/audio-arts/volume-10/number-4.
«Uso molto il rosso. […] È vero che nella cultura indiana il rosso è qualcosa di potente; è il colore della sposa;
si associa al matriarcale, che nella psicologia indiana è centrale. […] Il rosso ha una scurezza molto forte.
Questo colore palese, aperto e visivamente invitante è associato anche a un mondo interiore oscuro»11.
«Sono sempre stato attratto da un’idea di paura, da una sensazione di vertigine, di caduta, di tensione verso
l’interno […]. È una visione dell’oscurità. La paura è un’oscurità dove l’occhio è incerto, la mano si volge nella
speranza di un contatto e solo l’immaginazione ha una possibilità di fuga»12.
«Il vuoto ha molte presenze. La sua presenza come paura è nella direzione della perdita di sé, da un nonoggetto a un non-sé. L’idea di essere in qualche modo consumato dall’oggetto, o nel non oggetto, nel
corpo, nell’incavo, nell’utero»13.
«Il vuoto è in realtà uno stato interiore. Ha molto a che fare con la paura, in termini edipici, ma ancora di più
con l’oscurità. Non c’è niente di più nero del nero interiore. Nessun altro nero è paragonabile a quello […].
Questo vuoto non è qualcosa privo di importanza. È uno spazio potenziale, non un non-spazio»14.
«Il vuoto […] è una condizione di inizio, non di fine»15.
«Dov’è lo spazio reale dell’oggetto? È quello che si sta guardando o è lo spazio al di là di quello che si sta
guardando?»16.
«C’è qualcosa di immanente nel mio lavoro, ma il cerchio si completa solo con lo spettatore. Esiste quindi
una netta differenza rispetto a quelle opere con soggetto definito, dove significato e contrappunto formano
già un cerchio completo»17.
«[Quando] si realizza un oggetto e lo si riveste di pigmento, quest’ultimo cade a terra creando un alone
intorno all’oggetto stesso. Possiamo quindi paragonarlo a un iceberg: la maggior parte dell’oggetto è
nascosta, invisibile. E così mi sono interessato sempre di più all’oggetto invisibile. Una parte [di esso]
sporgeva nel mondo, ma era il resto a essere veramente interessante»18.
Anish Kapoor in Nicholas Baume, Mythologies in the Making. Anish Kapoor in conversation with Nicholas Baume, Anish Kapoor:
Past, Present, Future, Boston, Institute of Contemporary Art, MIT Press, 2008.
12 A Conversation. Homi Bhabha and Anish Kapoor, 1 June 1993, in Anish Kapoor. Stone, catalogo della mostra (Sakip Sabanci
Museum, Istanbul, 9 ottobre 2013 – 2 febbraio 2014).
13 Germano Celant, Anish Kapoor, Milano 1996.
14 Mostly Hidden, an Interview with Marjorie Allthorpe-Guyton, in Anish Kapoor, catalogo del padiglione britannico alla XLIV
Biennale di Venezia, 1990.
15 Interview by William Furlong, 1990, https://anishkapoor.com/441/interview-by-william-furlong
16 Anish Kapoor in Nicholas Baume, Mythologies in the Making. Anish Kapoor in conversation with Nicholas Baume, Anish Kapoor:
Past, Present, Future, Boston, Institute of Contemporary Art, MIT Press, 2008.
17 Anish Kapoor In Conversation with John Tulsa, BBC Radio 3, luglio 2003.
http://www.bbc.co.uk/radio3/johntusainterview/kapoor_transcript.shtml, accesso del 28/05/2014.
18 Charlotte Higgins, A Life in Art: Anish Kapoor, «The Guardian», 8 novembre 2008,
https://www.theguardian.com/artanddesign/2008/nov/08/anish-kapoor-interview
«Ci sono state almeno due grandi innovazioni nel Rinascimento. Una è la prospettiva, l’altra – che ritengo
altrettanto importante – è la piega. La piega, il tessuto. Tutti i grandi dipinti rinascimentali hanno infinite
pieghe. È certamente un segno di esistenza, legato all’idea antica del corpo e della materia. Ma se metti il
Vantablack su una piega, questa scompare. Non puoi vederla. Quindi a mio parere questo materiale, usato
nel modo giusto, è al di là dell’essere. Mi ricollego al pittore ucraino Kazimir Malevi?, che dipinse il Quadrato
nero. Per lui innanzitutto questo quadro era un’icona, e il quadrato nero era un oggetto a quattro dimensioni.
Tre dimensioni sono quelle spaziali che conosciamo, l’altra è suprematista, spirituale»19.
«Queste opere [in silicone] che ho realizzato di recente sembrano quadri, ma in realtà non sono quadri, sono
iper-materiali, la materia del corpo. Il materiale è il silicone, lo stesso che si usa per fare le parti del corpo, ha
una fisicità estrema»20.
«Le opere specchianti, le opere dipinte, tutte avevano una specie di pelle. La pelle è una costante in tutto ciò
che ho affrontato con il mio lavoro da vent’anni a questa parte. È quello che separa una cosa dal suo
ambiente, ma è anche la superficie sulla quale o attraverso la quale leggiamo un oggetto e il confine dove il
bidimensionale incontra il tridimensionale. Affermazioni che possono sembrare ovvie, ma che a ben guardare
rivelano tutto un altro processo. Nella pelle c’è una sorta di irrealtà implicita che ritengo meravigliosa»21.
«Quello che so non è mai abbastanza. Il mio istinto mi conduce verso nuove possibilità. Il mio lavoro è avere
fiducia e fare. Il linguaggio interiore si collega alle possibilità cosmiche. La pelle è la membrana che li separa,
ed è permeabile e trasparente. Contiene ma è anche un intermediario dell’identità tra interno ed esterno.
Ciò che è al suo interno è profondamente misterioso come ciò che si trova nel cosmo e per molti versi è
identico a questo. Corpo, spirito e cosmo sono tutti poeticamente potenti e interdipendenti»22.
«Se l’arte ha a che fare con qualcosa, è senz’altro la trasformazione. Si tratta di cambiare stato alla materia.
Questo non desiderando il suo passaggio da uno stato all’altro, ma attraverso uno strano processo di
manipolazione di cui non saprei [proprio] come parlare. Sono sicuro che se affermassi con insistenza che
queste forme [Angel] sono uscite da una cava come blocchi blu di Prussia, mi credereste»23.
«La disobbedienza è il dovere dell’artista […] Sulla parete del mio studio ci sono scritte tre parole:
disobbedisci, disapprova, disconosci […] Io cerco di applicarle ogni giorno, cioè di essere un ragazzaccio
ribelle»24.
Kapoor spiegato da Kapoor, a Venezia
20 Anish Kapoor chez Le Corbusier, 13e biennale de Lyon (Couvent de La Tourette, 10 settembre 2015 – 3 gennaio 2016), 2015.
21 Donna De Salvo e Cecil Balmond, Marsyas, London, 2002.
22 Blood and Light. Anish Kapoor and Julia Kristeva, 7 aprile 2015, in Anish Kapoor. Versailles, catalogo della mostra, 2015.
23 Lynda Forsha, Introduction, in Anish Kapoor, catalogo della mostra (Museum of Contemporary Art, San Diego, 1° febbraio – 5
luglio, 1992).
24 https://www.exibart.com/arte-contemporanea/la-disobbedienza-e-il-dovere-dellartista-parola-a-anish-kapoor/
UNA MOSTRA, UNA PIATTAFORMA DI ESPERIENZE
Palazzo Strozzi dedica un’attenzione particolare ai propri visitatori e propone numerose attività pensate per
rendere l’esperienza con l’arte coinvolgente per tutte le età.
GIOVANI E ADULTI
Visite guidate
Percorsi guidati attraverso le opere di Anish Kapoor.
Per gruppi: € 100, max 20 persone. Per singoli: gratuito con biglietto della mostra tutti i lunedì e i mercoledì
alle ore 18.00, le domeniche alle ore 15.00, con il supporto di Unicoop Firenze.
Prenotazione obbligatoria.
Kit Teenager
Un materiale interpretativo con approfondimenti e spunti di riflessione dedicato agli adolestenti per
esplorare la mostra da soli o insieme agli amici. Disponibile gratuitamente in biglietteria e scaricabile sul sito
palazzostrozzi.org
Senza Adulti
Giovedì 25 gennaio, dalle 17.00 alle 21.00
Gli studenti di due licei della Città Metropolitana di Firenze conducono visite guidate a staffetta, raccontando
ai propri coetanei le opere di Anish Kapoor. Attività gratuita con biglietto d’ingresso alla mostra.
Con il supporto della Fondazione Hillary Merkus Recordati.
Ciclo di conferenze Anish Kapoor In-Between
Quattro appuntamenti dedicati a riflettere sul lavoro di Anish Kapoor attraverso la lente di diversi ambiti e
discipline: la storia dell’arte, la fisica, la psicoanalisi e la psicologia della percezione.
Martedì 5 dicembre, 19 dicembre, 16 gennaio, 30 gennaio, ore 18.00.
Strozzina, Palazzo Strozzi, ingresso libero.
Palazzo Strozzi Color Night
Giovedì 9 novembre
Una speciale serata dedicata agli Under30 in collaborazione con Unicoop Firenze.
Materia sensibile
Presentazione del seminario sulla poetica e la pratica artistica di Anish Kapoor realizzato in collaborazione
con gli studenti del corso di Storia dell’arte contemporanea dell’Università di Firenze.
Giovedì 1° febbraio, ore 17.00; Strozzina, Palazzo Strozzi, ingresso libero
SCUOLE
Visite e laboratori per le classi
Percorsi per conoscere l’arte di Anish Kapoor attraverso visite dialogiche ed esperienze creative.
Disponibili per i vari gradi scolastici, i contenuti dei percorsi sono calibrati per le diverse fasce d’età.
€ 3 a studente visita in mostra / € 4 a studente visita + laboratorio
€ 80 gruppi studenti universitari, max 20 persone
Non include il costo del biglietto d’ingresso alla mostra. Prenotazione obbligatoria.
FAMIGLIE
Laboratori per famiglie
Attività dedicate a bambini e adulti per scoprire insieme la mostra e sperimentare i linguaggi dell’arte.
Attività gratuite con biglietto d’ingresso alla mostra. Prenotazione obbligatoria.
Giù, giù, sempre più giù!
Ogni mercoledì ore 17.00
Famiglie con bambini da 3 a 6 anni
Rosso, giallo, nero e un tocco di blu
Ogni domenica ore 10.30
Famiglie con bambini da 7 a 12 anni
Kit Famiglie
Un materiale dedicato agli adulti e ai bambini dai 5 anni in su per visitare la mostra insieme e giocare con
l’arte. Un percorso tra le opere con suggerimenti di osservazione e spunti
di riflessione. Disponibile gratuitamente in biglietteria e scaricabile sul sito palazzostrozzi.org
PROGETTI DI ACCESSIBILITÀ
Un programma di attività per rendere Palazzo Strozzi uno spazio di convivenza delle differenze. Progetti per
ragazzi autistici (Sfumature), persone con Alzheimer (A più voci), disabilità e disagio psichico (Connessioni),
visite in LIS (Segni e parole) e un percorso di danza dedicato al benessere delle persone con Parkinson (Corpo
libero).
INFO E PRENOTAZIONI
ACCESSIBILITÀ A PALAZZO STROZZI:
IL MARIA MANETTI SHREM EDUCATIONAL CENTER
Inaugurato nel 2022 con oltre 30.000 partecipanti e più di 500 attività, il Maria Manetti Shrem Educational
Center è il cuore di tutti i progetti educativi di Palazzo Strozzi per scuole, famiglie, giovani e adulti, con una
particolare attenzione all’accessibilità. Le tre sale del centro, situate all’ingresso della mostra, costituiscono
uno spazio pensato per essere inclusivo e accessibile, in cui è possibile trasformare l’incontro con l’arte in
un’opportunità per riflettere su sé stessi, su quello che ci lega agli altri e al mondo. Gli ambienti del Maria
Manetti Shrem Educational Center sono appositamente pensati per consentire al maggior numero di persone
di trasformare l’incontro con l’arte in un’occasione in cui ogni partecipante è valorizzato e ognuno può
sentirsi coinvolto.
Il Maria Manetti Shrem Educational Center è uno spazio in cui è possibile forgiare nuovi rapporti tra i singoli
individui e le proprie famiglie, oltre che creare un campo interdisciplinare di lavoro e confronto tra artisti,
educatori museali, operatori socio-sanitari, esperti di diverse discipline. Tra i progetti di eccellenza quelli
dedicati all’inclusione, con attività per ragazzi autistici (Sfumature), persone con Alzheimer (A più voci),
disabilità e disagio psichico (Connessioni), visite in Linguaggio dei Segni (Segni e parole) e un percorso di danza
dedicato al benessere delle persone con Parkinson (Corpo libero), che si rinnovano per ogni mostra
ampliando il raggio di azione nella comunità del territorio.
“L’arte di vivere è l’arte del donare. Sono davvero lieta di sostenere le arti e la cultura e in particolare renderne
possibile l’accesso alle persone più fragili. L’arte può aiutare le persone, mettendole in relazione attraverso
una visione olistica”. (Maria Manetti Shrem)
Nata a Firenze, Maria Manetti Shrem si trasferisce a San Francisco nel 1972, diventando l’ambasciatrice per eccellenza del
Made in Italy e dell’Italian life style, nonché una delle più importanti filantrope al mondo. Vive tra San Francisco e Firenze.
Da tempo Maria ha sostenuto l’istruzione, la musica, le belle arti e la medicina, sostenendo le persone di talento e in condizioni
di bisogno negli Stati Uniti, in Italia, nel Regno Unito, in Francia e in Messico. Attualmente supporta oltre 45 programmi
filantropici, tra cui negli USA: la UC Davis, la San Francisco Opera, il Met Opera di New York, il Festival Napa Valley, la San
Francisco Symphony, Cal Performances, il SFMoMA, il SFFilm Festival e gli ospedali UCSF e CPMC. Maria è anche uno dei
principali sostenitori della Royal Drawing School e della Prince’s Foundation di Sua Maestà Re Carlo III, dei Friends of the
Louvre, dei Friends of Versailles, del FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano, del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e della
Andrea Bocelli Foundation. Maria e suo marito, Jan Shrem, sono i co-fondatori del Jan Shrem and Maria Manetti Shrem
Museum of Art presso UC Davis, inaugurato nel 2016 come completamento di oltre 60 anni di raccolte artistiche
dell’istituzione. La collezione del museo include opere dei maggiori artisti californiani quali Wayne Thiebaud, William T. Wiley,
Robert Arneson e Roy De Forest. ARTNEWS lo ha inserito tra i “25 migliori edifici museali del mondo degli ultimi 100 anni”.
Maria ha ricevuto numerosi riconoscimenti come eccezionale ambasciatrice culturale tra gli Stati Uniti e l’Italia e come
straordinaria filantropa delle arti. Tra questi, il Presidente della Repubblica Italiana le ha conferito nel 2019 il titolo di Grande
Ufficiale dell’Ordine della Stella d’Italia. Nel 2022, il Sindaco di Firenze, Dario Nardella, le ha assegnato le Chiavi della Città per
il suo ispiratore ruolo di mecenate, seguendo le orme dell’eredità dei Medici. La Città e la Contea di San Francisco hanno
proclamato il 22 giugno come il Manetti Shrem Day for Philanthropy. Durante la stessa cerimonia, il Festival Napa Valley ha
conferito alla coppia Manetti Shrem il primo Angels of The Arts Award. In occasione dell’evento Maria – 50 anni in America
organizzato da SF Opera e SF Symphony, la sede del Municipio di San Francisco è stata eccezionalmente illuminata con i colori
della bandiera italiana per onorare la sua incomparabile attività filantropica. Maria è stata riconosciuta con il più alto onore
comunitario, lo Spirit of the Opera Award. Nel 2023 è stata insignita della UC Davis Medal, la più importante onorificenza
dedicata a singoli individui dall’Università della California, come riconoscimento di straordinari contributi che incarnano lo
spirito dell’istituzione.
FUORIMOSTRA
Per ogni mostra Palazzo Strozzi propone un itinerario nella regione creando una connessione tra la mostra e
musei, istituzioni culturali e partner della Città Metropolitana di Firenze e della Regione Toscana. Palazzo
Strozzi si pone come un catalizzatore per Firenze e la Toscana, alla ricerca di sinergie e collaborazioni che
stimolino la promozione culturale del territorio.
Sono 16 i luoghi coinvolti nel Fuorimostra sviluppato in occasione della mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal:
FIRENZE
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI FIRENZE
BASE / PROGETTI PER L’ARTE
COLLEZIONE ROBERTO CASAMONTI
IED ISTITUTO EUROPEO DI DESIGN
MAD — MURATE ART DISTRICT
MUSEO GALILEO
MUSEO NOVECENTO
VILLA ROMANA
BARGINO
ANTINORI ART PROJECT
GAIOLE IN CHIANTI
CASTELLO DI AMA
PISTOIA
PISTOIA MUSEI
PRATO
CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA LUIGI PECCI
SAN CASCIANO VAL DI PESA
COLLEZIONE FREYMOND
SAN GIMIGNANO
GALLERIA CONTINUA
TORRIONE DI SANT’AGOSTINO
VOLTERRA
ARTE ALL’ARTE 1997
Per maggiori informazioni: http://www.palazzostrozzi.org/fuorimostra
PALAZZO STROZZI IN BIBLIOTECA
In occasione della mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal Palazzo Strozzi organizza un ciclo di presentazioni in
5 biblioteche comunali di Firenze e in 6 biblioteche della Città Metropolitana di Firenze (Bagno a Ripoli, Borgo
San Lorenzo, Empoli, Lastra a Signa, San Casciano in Val di Pesa e Scandicci) per approfondire l’arte di
Kapoor e i suoi significati.
Nelle biblioteche sarà inoltre possibile consultare e prendere in prestito il catalogo della mostra e una
selezione di volumi legati ai temi dell’esposizione.
Le presentazioni sono a cura di Ludovica Sebregondi, Curatrice Fondazione Palazzo Strozzi, e Martino
Margheri, Progetti educativi e public program Fondazione Palazzo Strozzi.
La partecipazione alle conferenze è gratuita con prenotazione obbligatoria contattando la biblioteca di
riferimento.
Firenze:
Giovedì 19 ottobre, ore 18.00: Biblioteca delle Oblate, Sala Conferenze, via dell’Oriuolo 24
Durante l’incontro è fornito il servizio di interpretariato in Lingua dei Segni Italiana a cura dell’Ente
Nazionale Sordi di Firenze.
Giovedì 26 ottobre, ore 17.30: Biblioteca Filippo Buonarroti, viale Alessandro Guidoni 188
Giovedì 9 novembre, ore 17.30: Biblioteca Villa Bandini, Via del Paradiso 5
Giovedì 16 novembre, ore 17.30: Biblioteca Luzi, via Ugo Schiff 8
Giovedì 7 dicembre, ore 18.30: BiblioteCaNova Isolotto, via Chiusi 3/4
Città Metropolitana di Firenze:
Venerdì 10 novembre, ore 17.30: Scandicci, Biblioteca Comunale, via Roma 38A
Mercoledì 15 novembre, ore 17.30: Borgo San Lorenzo, Biblioteca Comunale, piazza Giuseppe
Garibaldi 10
Venerdì 24 novembre, ore 17.00: Empoli, Museo del Vetro, via Ridolfi 70, in collaborazione con
Biblioteca Comunale “Renato Fucini”,
Mercoledì 29 novembre, ore 17.00: San Casciano in Val di Pesa, Biblioteca Comunale, via Roma 37
Mercoledì 13 dicembre, ore 17.00: Lastra a Signa, Biblioteca Comunale, via Palmiro Togliatti, 37
Venerdì 12 gennaio, ore 17.00: Bagno a Ripoli, Biblioteca Comunale, via di Belmonte 38
Il ciclo di appuntamenti è realizzato in collaborazione con la Biblioteca delle Oblate, le Biblioteche comunali
e le Biblioteche della Città Metropolitana di Firenze.
Si ringrazia per il sostegno la Città Metropolitana di Firenze.
QUANDO L’ARTE RIFLETTE IL MONDO
Dal 18 ottobre un nuovo podcast di Intesa Sanpaolo e Fondazione Palazzo Strozzi
con Arturo Galansino e Silvia Boccardi
Intesa Sanpaolo e Palazzo Strozzi presentano Quando l’arte riflette il mondo, un nuovo podcast per scoprire
grandi figure dell’arte contemporanea in rapporto a temi e questioni della loro ricerca e del mondo che ci
circonda. Il progetto si struttura in una miniserie di sei puntate con Arturo Galansino, Direttore generale
della Fondazione Palazzo Strozzi, e Silvia Boccardi, giornalista per Will Media.
Punto di partenza di ogni puntata sono le mostre realizzate a Palazzo Strozzi da grandi protagonisti dell’arte
contemporanea mondiale: Marina Abramovi?, Ai Weiwei, Jeff Koons, Tomás Saraceno, Olafur Eliasson,
Anish Kapoor. Quando l’arte riflette il mondo analizza la loro arte partendo da una parola chiave
intimamente legata alla loro ricerca, permettendo di scoprire le opere e le vite degli artisti ma soprattutto
riflettere su come l’arte possa essere uno strumento per affrontare grandi questioni del mondo
contemporaneo.
Partendo da parole come corpo, resistenza, apparenza, connessione, luce, profondità, Arturo Galansino e
Silvia Boccardi affrontano temi come il concetto di libertà, il rapporto tra essere e apparire, la crisi del
concetto di esperienza, la relazione tra uomo e ambiente.
Quando l’arte riflette il mondo è un podcast prodotto da Intesa Sanpaolo e Fondazione Palazzo Strozzi
realizzato in occasione della mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal e disponibile dal 18 ottobre su tutti i canali
della piattaforma podcasting Intesa Sanpaolo On Air: intesasanpaoloonair.com, Spotify, Apple Podcasts,
Amazon Music e YouTube.
Intesa Sanpaolo On Air è la piattaforma di contenuti audio di Intesa Sanpaolo che raccoglie voci, storie e idee
sul futuro, sostenibilità, inclusione e cultura.
Maggiori informazioni:
palazzostrozzi.org
group.intesasanpaolo.com/it/sezione-editoriale/intesa-sanpaolo-on-air
Anish Kapoor. Untrue Unreal
A cura di Arturo Galansino
19,5×26 cm, brossura con alette
pp. 208 con 110 ill. in bicromia e a colori
42 euro
In libreria da novembre 2023
Dopo Napoli, Roma, Milano e Venezia Anish Kapoor approda a Firenze. Già abituato a
realizzare progetti in contesti ricchi di storia, per la prima volta l’artista si confronta con un
edificio del primo Rinascimento come Palazzo Strozzi, un vero simbolo della cultura
umanistica. «Palazzo Strozzi è simmetrico. La successione degli ambienti è strutturata e
rigorosa. Fare una mostra in queste sale non è facile» spiega Kapoor ad Arturo Galansino,
nell’intervista nel catalogo realizzato in occasione della mostra. «Troppo ordine distrugge
il modo in cui l’opera può interagire con lo spettatore. È stato quindi necessario
interrompere l’ordine delle sale, collocando i lavori in maniera da creare percorsi alternativi
attraverso l’edificio».
La sfida di Anish Kapoor, messa in atto con grande maestria, è quella di destabilizzare la
visione rigorosa e simmetrica che sta alla base dello straordinario progetto rinascimentale.
L’irreale (unreal) si mescola con l’inverosimile (untrue) trasformando la comune
percezione della realtà e i confini tra vero e falso si dissolvono, aprendo le porte alla
dimensione dell’impossibile. Il percorso diventa un’esperienza fisica e mentale che ci
conduce in quello che Morgan Ng nel suo saggio chiama un mondo di ombre, l’inconscio, il
pozzo: «La vertigine fisica di quanto sconosciuto, il timore della caduta, dell’essere
risucchiati verso l’imperscrutabilità del passato e del futuro».
Il volume raccoglie i contributi di studiosi – Diane Bodart, Francesca Borgo, Rachel Boyd,
Dario Donetti, Tommaso Mozzati e appunto Morgan Ng – esperti di Rinascimento che si
sono confrontati con il processo creativo dell’artista. Donetti sottolinea come il
rivestimento architettonico dai volumi così ben definiti del palazzo renda particolarmente
suggestivo il dialogo con la capacità di Kapoor di cimentarsi e misurarsi con i limiti di una
struttura chiusa, con le riflessioni sui rapporti di scala, con i concetti di membrana esterna.
La cera, uno dei materiali che connota le opere dell’artista, ha una lunga tradizione nella
storia fiorentina. Borgo ne ripercorre l’uso sia come materia utilizzata per tecniche diverse
sia come medium artistico a sé stante. Il riferimento è all’antica tradizione degli ex voto che
raffiguravano parti del corpo o a grandezza naturale, come quelle eseguite dal ceraiuolo
Orsino, volute da Lorenzo de’ Medici dopo essere sopravvissuto alla Congiura dei Pazzi. In
una di esse, per esempio, il Magnifico appariva ferito alla gola e fasciato, proprio come
quando si era presentato alla finestra di casa sua alla cittadinanza, per testimoniare di
essere vivo. Un’immagine che, come la cera, evoca la vulnerabilità e l’effimerità della carne
e dell’esistenza e che può essere avvicinata alle opere di Kapoor realizzate in silicone che
evocano interiora, corpi violati e sanguinanti. Il saggio di Boyd si sofferma sul colore
facendo un parallellismo tra la poetica di Kapoor e l’uso dei pigmeti nella scultura
rinacimentale e nell’antichità in generale. Per l’artista il colore non è infatti solo materia e
tonalità, ma anche fenomeno immersivo con un proprio volume spaziale e illusorio. Bodart,
invece, analizza in particolare le opere a superficie riflettente di Kapoor mettendole in
relazione alla prospettiva e al rapporto tra pittura e scultura: «Collocando la sua pratica
all’intersezione tra scultura e pittura e fondendo la dimensione fisica della prima con la
qualità illusoria della seconda, Kapoor ripropone i termini dell’antico dibattito comparativo
tra le due arti, comunemente noto come paragone, che infiammò il discorso artistico
durante il Rinascimento italiano».
Le opere di Kapoor trascendono la loro materialità: pigmenti, pietra, acciaio riflettente,
cera e silicone vengono manipolati, scolpiti, levigati, saturati e trattati mettendo in
discussione il confine tra plasticità e immaterialità. E, come chiarito da Kapoor a Maurizio
Cattelan che gli chiede da dove partisse e come prendesse vita il suo lavoro: «Alchimia,
lavoro e materiali» perché nell’opera la materia «è stata sottoposta a una trasformazione
alchemica. Il mix di psiche e materia è quella meraviglia che noi umani possiamo fare e che
abbiamo dimenticato che possiamo fare».
Il catalogo propone per la prima volta il lavoro di Kapoor in un rigoroso
ed elegantissimo repertorio in bianco e nero alternato a riprese a colori degli allestimenti
in mostra. Un racconto che si dipana dalle prime opere degli anni Ottanta fino a quella site
specific realizzata per il cortile di Palazzo Strozzi.
Il Progetto Cultura di Intesa Sanpaolo
Intesa Sanpaolo, con una lunga e consolidata tradizione, contribuisce attivamente alla vita culturale del Paese con un impegno che si
traduce concretamente nell’elaborazione del Progetto Cultura, piano programmatico delle attività culturali della Banca, rinnovato di
triennio in triennio e sviluppato con il supporto di un Comitato Scientifico. Uno dei principali obiettivi è la conservazione, valorizzazione e
condivisione con il pubblico del cospicuo patrimonio artistico e architettonico del Gruppo, tramite le Gallerie d’Italia, il polo museale di
Intesa Sanpaolo. Nelle sue sedi di Milano, Napoli, Torino e Vicenza, palazzi storici della Banca adibiti a sedi museali e culturali, è
esposta in via permanente una selezione delle 35 mila opere del patrimonio artistico di Intesa Sanpaolo. A queste sedi si aggiungono
anche Galleria di Palazzo degli Alberti di Prato, recentemente aperta dalla Banca per consentire la fruizione pubblica di un patrimonio
di grande valore identitario per la città, e la Casa Museo dell’Antiquariato Ivan Bruschi di Arezzo, entrata a far parte del patrimonio
artistico di Intesa Sanpaolo.
Intesa Sanpaolo sostiene, attraverso accordi di partnership, importanti istituzioni e iniziative culturali del Paese (mostre, festival, eventi
attorno ad arte, fotografia, musica, archivi, editoria e lettura) per esprimere, anche nel mondo dell’arte e della cultura, come in quello
dell’economia, la centralità del rapporto con il territorio e la partecipazione attiva allo sviluppo delle comunità di riferimento, secondo un
progetto organico che negli anni ha visto una forte presenza della Banca a fianco delle istituzioni per diffondere la passione per la cultura,
coinvolgendo i giovani e generando effetti economici positivi.
Inoltre, in linea con la proiezione europea e internazionale del Gruppo, la Direzione Arte, Cultura e Beni Storici della Banca ha stretto
collaborazioni con Fondazioni, Enti e Musei in tutto il mondo e contribuito, secondo accordi di partnership e prestiti, alla realizzazione di
mostre in tutta Italia e all’estero.
PROGRAMMAZIONE MOSTRE GALLERIE D’ITALIA
UNA COLLEZIONE INATTESA. VIAGGIO NEL CONTEMPORANEO TRA PITTURA E SCULTURA
Gallerie d’Italia – Milano. Dal 26 maggio 2023 al 22 ottobre 2023
Mostra a cura di Luca Massimo Barbero
MARIO SCHIFANO: IL NUOVO IMMAGINARIO. 1960-1990
Gallerie d’Italia – Napoli. Dal 2 giugno 2023 al 29 ottobre 2023
Mostra a cura di Luca Massimo Barbero
MIMMO JODICE. SENZA TEMPO
Gallerie d’Italia – Torino. Dal 29 giugno 2023 al 7 gennaio 2024
Mostra a cura di Roberto Koch
THROUGH HER EYES. TIMELESS STRENGTH di Max Vadukul
Gallerie d’Italia – Milano. Dal 18 settembre al 19 novembre 2023
Mostra ospitata nel chiostro delle Gallerie d’Italia in occasione della Fashion Week
LUCA LOCATELLI THE CIRCLE
Gallerie d’Italia – Torino. Dal 21 settembre 2023 al 18 febbraio 2024
Mostra a cura di Elisa Medde
ARGILLA. STORIE DI INCONTRI
Gallerie d’Italia – Vicenza. Dal 12 ottobre 2023 al 8 settembre 2024
Progetto a cura di Monica Salvadori, Monica Baggio e Luca Zamparo
MARIA CALLAS. RITRATTI DALL’ARCHIVIO PUBLIFOTO INTESA SANPAOLO
Gallerie d’Italia – Milano. Dal 9 novembre 2023 al 18 febbraio 2024
Mostra a cura di Barbara Costa e Aldo Grasso
NAPOLI AL TEMPO DI NAPOLEONE. REBELL E LA LUCE DEL GOLFO
Gallerie d’Italia – Napoli. Dal 23 novembre 2023 al 7 aprile 2024
Mostra a cura di Sabine Garbner e Fernando Mazzocca, con Gennaro Toscano e Luisa Martorelli
GIOVAN BATTISTA MORONI (1521-1580). IL RITRATTO DEL SUO TEMPO
Gallerie d’Italia – Milano. Dal 6 dicembre 2023 al 1’ aprile 2024
Mostra a cura di Simone Facchinetti, Arturo Galansino
LE TRECCE DI FAUSTINA. ACCONCIATURE, DONNE, POTERE TRA ANTICHITÀ E RINASCIMENTO
Galleri d’Italia – Vicenza. Dal 13 dicembre 2023 al 7 aprile 2024
Mostra a cura di Howard Burns, Vincenzo Farinella, Mauro Mussolin