
(AGENPARL) – mer 27 settembre 2023 NURSING UP DE PALMA: «NOSTRO REPORT SULLA DELICATA REALTÀ DEGLI STUDENTI
AFFETTI DA GRAVI DISABILITÀ. OCCORRE UN PIANO CAPILLARE DI ASSISTENZA
INFERMIERISTICA A SUPPORTO DEI CASI PIÙ DELICATI ALL’INTERNO DELLE
SCUOLE. CI SONO ALUNNI CHE NECESSITANO OGNI GIORNO DI CURE E INTERVENTI
CHE SOLO PROFESSIONISTI COME GLI INFERMIERI HANNO LA COMPETENZA DI
SVOLGERE».
_«SONO OLTRE 300MILA IN ITALIA, SECONDO L’ISTAT, GLI STUDENTI CON
PROBLEMI DI DISABILITÀ: È PIÙ CHE MAI INDISPENSABILE INSERIRE LA FIGURA
DI PROFESSIONISTI COME GLI INFERMIERI CHE TUTELINO LA SALUTE DEI
SOGGETTI CON LE PATOLOGIE PIÙ GRAVI, SUPPORTANDO GLI INSEGNANTI DI
SOSTEGNO E GLI ALTRI PROFESSIONISTI SANITARI GIÀ PRESENTI NELLE SCUOLE,
E CHE PERMETTANO, CON LA LORO PRESENZA NEGLI ISTITUTI, DI NON LASCIARE A
CASA ALUNNI CHE, SENZA CURE QUOTIDIANE DIRETTE, DEVONO GIOCO FORZA
RINUNCIARE AGLI STUDI»._
ROMA 27 SET 2023 – «Quanti sono gli studenti affetti da problemi di
disabilità in Italia, molti dei quali, nei casi più gravi,
necessiterebbero di assistenza quotidiana infermieristica?
I numeri dell’Istat (aggiornati all’anno scolastico 2021-2022) ci dicono
che sono 316mila: nei casi più gravi le Asl e le Regioni non
garantiscono sufficiente assistenza diretta da parte di infermieri
all’interno degli istituti, costringendo molte famiglie a rinunciare
addirittura alle presenza a scuola dei loro figli, lasciandoli a casa
per poter gestire quei delicati percorsi di cura che nelle aule
scolastiche sono assai carenti, fatta eccezione di alcuni casi rari, e
ciò avviene in territori dalle politiche per così dire lungimiranti.
Chi deve svolgere questo delicato compito nel nostro Paese a tutela
degli studenti disabili con patologie gravi e acute?
A chi spetta la doverosa tutela dei nostri alunni più fragili, in alcuni
casi affetti da malattie croniche incurabili? Troppo spesso accade, in
assenza di infermieri, la cui presenza, lo sappiamo, è già estremamente
precaria nella sanità pubblica, che i ragazzi e le ragazze affetti da
disabilità gravi debbano affidarsi, non hanno alternative, alle cure di
insegnanti o addirittura ai loro genitori, per interventi quotidiani che
sono prettamente di competenza infermieristica?. Il personale nelle
scuole c’è, è innegabile, ma nelle situazioni più delicate potrebbe non
essere sufficiente.
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Da anni, il nostro sindacato suggerisce che, nella palese difficoltà di
affidare gli alunni disabili con gravi patologie alle cure di
professionisti già impegnati ogni giorno in una sanità pubblica
claudicante, alle prese con una voragine strutturale di personale di non
poco conto, la figura degli infermieri di famiglia possa rappresentare
la chiave di volta.
Da tempo immemore, ben prima di una legge che doveva portare in dote, da
Nord a Sud, 9600 infermieri di famiglia, sindacati come il nostro urlano
a gran voce che sul modello britannico, l’infermiere di famiglia non è
solo il perno dell’assistenza domiciliare, ma anche è una figura
fondamentale per le scuole, nell’ambito dei percorsi di cura dei bambini
e dei ragazzi disabili, e per avviare proficui progetti di educazione
alla salute.
La realtà ci pare abbastanza chiara e ahimè desolante, continua De
Palma.
Occorre un piano organico e risolutivo per garantire un’assistenza
infermieristica nelle scuole per gli studenti disabili affetti dalle
patologie più gravi e per supportare le figure che già ci sono nelle
scuole.
Il modus operandi è di diretta competenza delle Asl e del SSR, ma
naturalmente la carenza strutturale di personale, come detto, e
naturalmente una politica sanitaria fin troppo frammentaria da Regione a
Regione, mina già alla radice iniziative che alla fine stentano a
decollare.
Le differenze sono notevoli tra le varie regioni e anche all’interno
delle stesse possono variare molto tra una Asl e l’altra, tra distretti
diversi della stessa Asl e tra comuni diversi.
Non è tutto buio pesto, sia chiaro, ma è troppo poco quello che viene
garantito agli alunni con gravi patologie. In Italia abbiamo alcune Asl
che, per fortuna, nella programmazione dei propri servizi di assistenza,
prevedono regolarmente risorse destinate all’assistenza a scuola di
bambini e ragazzi con elevati bisogni sanitari.
Ce ne sono molte altre, purtroppo, che negano la propria competenza ad
erogare servizi di questo tipo. In generale, abbiamo notato che le
richieste di assistenza di tipo infermieristico a scuola rivolte alle
disabilità più gravi sono più spesso negate nelle regioni del
centro-nord. (Dati fonte Redattore Sociale).
Certo, lo abbiamo detto, ci sono gli insegnanti di sostegno e gli
assistenti sanitari, e poi ci sono i genitori con il loro cuore, la loro
forza d’animo, il loro amore, ma tutto questo non basta. La domanda è
doverosa: nei casi più gravi tutto questo è sufficiente per tutelare la
loro salute e garantire loro il diritto allo studio in presenza?
Il quadro è delicatissimo Le disabilità sono tante e complesse quindi le
esigenze possono essere le più varie. Fra quelle di tipo sanitario che
più spesso incontriamo vi sono la gestione della nutrizione artificiale
con sondino naso-gastrico o Peg, l’aspirazione delle secrezioni in
trachea, la gestione di cateteri e di crisi epilettiche.
Vi sono esigenze di tipo sanitario che gioco forza devono essere
affidate a personale infermieristico.
Cosa fa allora la politica? Brancola nel buio e naturalmente deve darsi
una scossa.
Un caso emblematico è quello della Regione Lazio: ci sono i fondi, sono
stati erogati ben 30 milioni di euro per l’assistenza ai disabili, ma
mancano incredibilmente le graduatorie per assumere personale
specializzato da parte dei 250 istituti della Regione.
Cosa ne è allora dell’infermiere di famiglia in Italia che potrebbe
svolgere questo compito? Il programma ufficiale con cui è partita la
Regione Veneto, unica e sola in Italia, è sì ammirevole, ma è un triste
caso isolato.
L’Agenas, nel dettare le linee guida della figura dell’infermiere di
famiglia ha indicato che ne occorre 1 ogni 2500 abitanti (la legge ne
prevedeva inizialmente 1 ogni 3mila).
E’ palese che mentre l’Europa corre veloce verso il rilancio della
sanità territoriale, l’Italia arranca con appena 3mila professionisti di
famiglia/comunità inseriti nelle nostre Regioni a fronte di un
fabbisogno di 25mila unità, secondo gli standard indicati dal nuovo
Pnrr.
Più volte abbiamo voluto provare a comprendere in che modo le Regioni
stanno inserendo questo professionista, il cui ruolo è garantito da una
legge, quella del 17 luglio 2020 n. 77, che ne sancisce il
riconoscimento ufficiale. Quali passi avanti sono stati compiuti da
allora? Dove sono i 9600 infermieri che la legge chiese di inserire alle
Regioni da Nord a Sud?
La risposta, anche rispetto a quanto sta accadendo negli altri paesi
europei, è ahimè estremamente negativa, e delinea ancora una volta un
quadro desolante, con l’Italia che arranca rispetto ad altre nazioni,
soprattutto in tema di rilancio di quella sanità di prossimità, che non
può certo avvenire senza il concreto inserimento dell’infermiere di
famiglia in strutture e con percorsi organizzativi idonei ad accogliere
e valorizzare le sue competenze, le capacità che offre al servizio verso
la collettività, certamente non solo legate, come detto, all’assistenza
domiciliare.
Secondo Agenas i dati degli infermieri di famiglia che già operano in
Italia sono addirittura inferiori ai 3mila indicati da una stima
approssimativa delle aziende sanitarie: secondo Agenas ci sono solo 1380
infermieri di famiglia attivi in Italia, coordinati da un fragile piano
Asl/Regioni. Un castello di sabbia, pronto a crollare al primo soffio di
vento. Le conseguenze per gli anziani, per i malati cronici, e per gli
studenti affetti da gravi disabilità, rischiano di essere pesantissime»,
conclude De Palma.