
(AGENPARL) – ven 21 luglio 2023 Mimì. Anna Laetitia Pecci Blunt: la sua anima in un archivio. La vita, gli appunti e le immagini
21 luglio – 17 dicembre 2023Villa Reale di Marlia (Capannori, LU)
Biografia completa di Anna Laetitia Pecci Blunt“Anna Laetitia Pecci Blunt, chiamata Mimì dagli amici – grande collezionista e mecenate romana, self made woman ben prima che l’espressione andasse di moda, era mia nonna. Parlava a raffica in cinque lingue (più l’accento romano) di quello che le passava in mente: del futuro, della vita, dell’arte, dell’immaginazione – secondo lei – forma aggrovigliata e non sfoltita della memoria. Non capivo granché ma con occhi sgranati mi lasciavo fare, incantata”, così la racconta la nipote, Gaia de Beaumont.
Anna Laetitia Pecci Blunt nacque il 15 marzo 1885 a Roma. Sua madre era una nobildonna spagnola, la marchesa Sylvia Bueno y Garzòn, suo padre il Conte Camillo Pecci, era capo della Guardia Palatina Pontificia e nipote di Papa Leone XIII. Anna Laetitia ebbe tutti i privilegi di chi nasce in una famiglia aristocratica e colta: venne educata a parlare quattro lingue, spagnolo, francese, tedesco e inglese, a suonare il pianoforte, a dipingere e disegnare. Aveva solo quattro anni al momento del suo ingresso in un collegio romano scelto da Papa Leone XIII in persona: il collegio dell’Assunzione, in cui viveva durante le lunghe assenze dei suoi genitori.
Fu suor Maria Mercedes, una suora spagnola di nobili origini, a seguire la piccola Mimì, questo era il nome con cui tutti la chiamavano e che la descrive come una bimba intelligente, curiosa, vivace e vanitosa, perché molto attenta al suo abbigliamento. Tratti della personalità che definirono il suo modo di essere durante tutta la sua esistenza. Il Papa era molto affezionato a quella sua piccola nipote, spesso la riceveva in Vaticano e fu lui stesso ad impartirle la Prima Comunione. Un affetto che fu ricambiato, tanto che Mimì raccolse documenti e costudì gelosamente cimeli di quel Papa che fu l’artefice di grandi trasformazioni in seno alla Chiesa.
Nonostante il suo amore per lo studio non le fu concesso di laurearsi, come raccontò lei stessa: “Non mi hanno mai lasciata andare all’università ma a Parigi ho incontrato dei ragazzi che erano Gide, Cocteau, Claudel e così la mia università è stata la Nouvelle Revue Française”. Mimì però non trascorreva il suo tempo solo dedicandosi allo studio, era infatti una ragazza sportiva, pronta a cimentarsi nel tennis, nello sci, nell’equitazione ma che soprattutto amava viaggiare. Nella foto del suo passaporto sembra guardarci con uno sguardo deciso e con l’elegante distacco di chi sa come raggiungere la sua meta. Viaggiare era per lei un mezzo per ampliare la sua visione del mondo e il desiderio di conoscere nuove culture, nuovi linguaggi artistici che fu una costante di tutta la sua vita.
È nell’eccitante atmosfera parigina che Mimì conobbe Cecil Blumenthal, l’uomo che sarebbe diventato suo marito nel 1919. Il matrimonio fra la giovane nobildonna italiana e il ricco uomo d’affari americano fu annunciato dalla stampa internazionale che dedicò all’evento molti articoli sia su quotidiani che su riviste di moda e costume. Cecil era un ricchissimo banchiere di origini ebraiche, nato a New York, proprietario di una meravigliosa collezione di pittura francese dell’Ottocento ereditata dal padre Ferdinand. La madre, Cecilia Ulman aveva sposato in seconde nozze Louis de Talleyrand Périgord duca di Montmorency.
I loro caratteri erano completamente differenti, Mimì era dinamica, piena di vita e di volontà, Cecil era un uomo riservato e tranquillo. Ma in comune avevano l’amore per l’arte contemporanea e lui sostenne sempre l’attività di mecenate di Mimì che, con il suo gusto artistico raffinato, dette voce ad artisti che lasciarono un segno decisivo nell’arte del Novecento.
Questo matrimonio fu l’inizio di una nuova vita per Mimì e di un grande affettuoso sodalizio che si interruppe solo con la morte di Cecil, avvenuta nel 1965. A Parigi vissero all’Hotel al 32 di Rue de Babylon, all’Hotel Cassini, ribattezzato Hotel Pecci-Blunt dopo il loro acquisto, una dimora settecentesca impreziosita da un bellissimo parco. Qui nasceranno i loro cinque figli: Letizia, Dino, Viviana, Camilla e Graziella.
Nella Francia fra le due guerre, il compito di aiutare e scoprire nuovi talenti era soprattutto affidato ai privati e il salotto di Mimì Pecci Blunt divenne un luogo di scambio e confronto culturale come quelli della principessa di Polignac, Marie-Laure de Noailles o Eugenia Huici de Errazuriz, che, nella Parigi degli “Anni Folli”, seppero riconoscere e sostenere il talento dei giovani artisti delle avanguardie. I loro ricevimenti erano una combinazione di alta società e artisti dove l’incontrarsi aveva come finalità il divulgare e sperimentare ogni aspetto della creazione artistica: pittura, moda, musica, ballo, cinema, fotografia, letteratura erano la ricetta per creare atmosfere in cui potersi integrare senza tenere conto delle origini dei partecipanti, ma solo del loro genio.
I Pecci Blunt e il loro esclusivo gruppo di amici trascorrevano insieme anche i giorni di vacanza: Venezia, appena lanciata nel mondo del turismo internazionale da Elsa Maxwell, Montecarlo o St Moritz, erano le esclusive località in cui si ritrovavano i protagonisti del jet set internazionale. Incontri che diventavano amicizie fra persone che avevano il comune interesse per ogni forma d’arte e in quell’atmosfera di affinità culturale si creavano contatti e strategie per promuovere nuovi artisti e nuove idee.
Nel 1923 Mimì convinse suo marito ad acquistare la Villa Reale di Marlia, un tempo appartenuta alla sorella di Napoleone, Elisa Bonaparte Baciocchi, che divenne il luogo ideale per ricreare quel tipo di vacanza in cui lo svago si univa ad interessi comuni. Il restauro della villa fu realizzato mantenendo intatto lo spirito originario del periodo Impero, come se Mimì si trovasse a suo agio nelle stanze in cui affreschi, colori, marmi, arredamenti riproponevano le atmosfere vissute da Elisa Bonaparte.
In effetti sono molti i punti in comune fra Elisa e Mimì: erano due donne colte, pronte a confrontarsi con le novità delle loro epoche. Due donne instancabilmente attive che, seppur in ruoli differenti, avevano coscienza di quale fosse il loro potere, sapendolo sfruttare al meglio. Diffondendo la cultura e proponendo nuovi e innovativi punti di vista modificarono il gusto e il modo di pensare dei loro tempi. Ambedue fecero cambiamenti nel parco senza intaccare la bellezza delle parti più antiche, ma includendo le evoluzioni e lo stile di vita legato ai giardini e dettato dalle novità proposte dai tempi in cui vivevano.
Elisa, acquistò nuovi terreni in cui far crescere le novità botaniche dell’epoca, come Mimose e Magnolie, mai viste sul territorio fino ad allora e trasformò il giardino in un parco all’inglese assecondando lo stile creato a Malmaison, da sua cognata Josephine de Beauharnais.
Mimì affidò i lavori del parco ancora una volta a Greber che fece un restauro conservativo delle parti antiche e che inserì nuovi elementi inspirati all’Art Déco, come la zona della piscina, il campo da tennis e il Giardino Spagnolo.
Elisa e Mimì avevano in comune l’amore per la musica, il disegno e l’arte in generale, ambedue vissero la villa come un luogo dove trascorrere il tempo in compagnia di amici ed artisti. Curiosamente anche a Parigi le vite di Mimì Pecci Blunt ed Elisa Bonaparte si incrociano: infatti partendo dal 32 di Rue de Babylon dopo solo seicento metri si arriva al l’hotel de Maurepas al numero 7 di Rue de la Chaise, la residenza parigina di Elisa Bonaparte, dove nel suo salotto riceveva personalità di spicco della cultura parigina esattamente come farà Mimì poco più di cento anni dopo.
Dal 1926 la famiglia Pecci Blunt trascorse le vacanze estive a Marlia come documentano i numerosi album di fotografie scattate dalla stessa Mimì. Mimì aveva una vera passione per la fotografia, faceva infatti parte dell’Unione Società Italiane Arte Fotografica e partecipò a molte mostre sia in Italia che all’estero.
“Tra le tante attività culturali di Mimì, la fotografia figurava come un’arte che lei coltivava con entusiasmo e una sagace immaginazione. Ebbe importanti esposizioni delle sue fotografie alla Unione Società Italiane Arte Fotografica, che includevano ritratti, paesaggi, nature morte scene di genere. I suoi quaderni di appunti sul Romanico Toscano erano generosamente illustrati dalle sue stesse foto, ed ella registrava con la sua macchina fotografica – generalmente una Rolleiflex – i luoghi visitati durante i suoi viaggi in Europa e negli Stati Uniti. Era anche abile con una video camera e produsse più di quaranta film che documentavano la sua famiglia e i suoi amici”, scrive di lei il fotografo e critico d’arte statunitense Milton Gendel.
Nei suoi album fotografici ogni scatto è accompagnato da notazioni scritte di suo pugno. Un‘autobiografia perfetta fatta di immagini, meticolosamente curata e catalogata, come le sue varie collezioni di periodici e almanacchi, di dischi di ogni genere musicale, e la sorprendente raccolta di oggetti dedicata a Papa Leone XIII. Questa eredità culturale è ora custodita nelle stanze della palazzina dell’Orologio a Marlia, dove si trova anche una ricca collezione di bambole etniche, acquistate da Mimì durante i suoi viaggi, che fanno intuire il suo interesse per l‘etnografia. Nei primi anni del Novecento l’etnografia era ancora una scienza in pieno sviluppo, che in Francia aveva mosso i suoi primi passi durante il periodo Napoleonico.
Mimì rivolgeva la sua attenzione anche ai territori più vicini, per lei l’esperienza interiore del viaggio non era legata alla distanza ma alla conoscenza e alla ricerca del bello che si può ritrovare ovunque se si ha uno sguardo curioso sul mondo.
L’arte di saper ricevere ha come obbiettivo il far sentire a proprio agio gli ospiti ma dai Pecci Blunt si faceva di più, ci si divertiva: nella bellissima scenografia del parco o nelle eleganti sale della villa, gli ospiti assecondavano con piacere Mimì che organizzava gli svaghi della giornata, allestendo teatrini domestici, partite a bridge, giochi in giardino o piccole gite nei dintorni di Lucca. Non mancavano le feste in maschera in cui la preparazione e la riuscita non erano affidate all’organizzazione di artisti, scenografi o sarti famosi ma alla creatività degli ospiti che traducevano il tema proposto dalla padrona di casa con i mezzi più fantasiosi ed ironici.
Mimì fece di Villa Reale un luogo in cui il connubio fra jet set internazionale ed artisti si svolgesse in totale libertà e ognuno, a Marlia, abbandonava quella formalità richiesta nei salotti cittadini. Gli scatti di Mimì e i suoi divertenti commenti sono la prova di questa intimità allegra di cui tutti facevano parte. Negli anni a seguire le estati di Marlia videro fra gli ospiti Mario Praz, Alberto Moravia, Vittorio Rieti, Petrolini, Malaparte, Gala, Salvador Dalì, Afro, Bontempelli. Con tutti loro c’era un legame profondo fatto non solo di amicizia, ma anche di uno scambio continuo di progetti volti a diffondere l’arte italiana all’estero e contemporaneamente l’arte internazionale in Italia.
Prima dell’inizio della guerra Mimì lasciò l’Italia facendo ritorno a Marlia solo nel 1947 e immediatamente si dedicò al ripristino della Villa che aveva subito l’insediamento di un comando tedesco e in seguito delle truppe alleate. Le sue estati furono nuovamente trascorse come nei giorni prima della guerra: artisti e personaggi della mondanità internazionale si trovarono come un tempo a condividere le loro giornate a Villa Reale.
Nel 1929 i Pecci Blunt, a seguito della vendita dell’hotel di Montmorecy ereditato dalla madre di Cecil, acquistarono il palazzo Ruspoli-Malatesta, nel cuore dell’antica Roma. Anche qui, come a Parigi, i suoi salotti furono frequentati dalla nobiltà romana e internazionale e da musicisti, pittori e scrittori. Nel palazzo si svolsero eventi di grande valore culturale come i “Concerti di Primavera”, che Mimì organizzò dal 1933, coadiuvata dai musicisti Goffredo Petrassi, Vittorio Rieti, Mario Labroca. Vennero presentate musiche di autori contemporanei come Igor Stravinsky, Goffredo Petrassi, Darius Milhaud, Francis Poulenc, Georges Auric, ma anche programmi di musica classica. Ai concerti si alternavano conferenze in cui i relatori furono, fra gli altri Paul Valéry, François Mauriac, Giuseppe Ungaretti, Trilussa, Alberto Moravia e poi saggisti e archeologi di ogni parte del mondo.
Nel 1935 Mimi incaricò il poeta, critico d’arte e narratore italiano Libero de Libero di organizzare una galleria di arte moderna che venne chiamata La Cometa, uno dei simboli presenti nello stemma della famiglia Pecci. Fu un raro caso di mecenatismo artistico di quegli anni, di cui parlò anche la giornalista Irene Brin. Alla Cometa esponevano pittori come Afro, Cagli, Guttuso, Severini, De Chirico, Carlo Levi con presentazioni di letterati come De Libero, Bontempelli, Moravia, Montale. Nel 1939 un’altra iniziativa, voluta e diretta da Mimì Pecci Blunt e Libero de Libero, nacque sotto il nome della Cometa, una casa editrice. Mimì e il suo gruppo di amici diventano il riferimento fra le differenti voci culturali di Roma e le ultime novità artistiche di Parigi, dove Mimì torna per diversi mesi l’anno.
Nel 1938 il direttore del quotidiano Il Tevere, Telesio Interlandi, e Giuseppe Pensabene dal settimanale Quadrivio, furono artefici di una insistente campagna antisemita contro l’attività culturale della Cometa: la galleria fu costretta a chiudere quello stesso anno per incidenti razziali. “Mi dispiace che certa gente così ignorante del modo di servire la patria non venga pregata di stare zitta”, scrisse Mimì al Ministro della Cultura.
Nel 1937 Mimì Pecci Blunt aveva fondato a New York la succursale de La Cometa. La galleria fu inaugurata con un’antologia di artisti italiani e continuò ad esporre pittori come Cagli, Mirko, Carrà, De Pisis, Severini, Levi, Afro, De Chirico, Campigli, Casorati, Morandi. L’apertura di questa galleria era stata l’espressione di una concreta azione volta divulgare l’arte moderna italiana fino ad allora sconosciuta negli Stati Uniti. Nonostante il grandissimo interesse suscitato, la galleria ebbe una breve esistenza e chiuse nell’estate del 1938, ma il valore dell’impresa fu riconosciuto dalla critica americana.
Con l’inizio della guerra tutta la famiglia Pecci Blunt si trasferisce a New York, al 9 East, 84 St, dove riceveranno amici, artisti italiani ed esuli europei. Mimì in quegli anni impegnerà le sue energie a sostenere i comitati per gli aiuti umanitari a favore dell’Italia e nel fare lunghi e interessanti viaggi alla scoperta dei nativi americani.
Mimì, con la sua famiglia, tornò in Italia nel 1947 e riprese con slancio la sua attività culturale. Nel 1948 fu promotrice della nascita dell’associazione “Amici dei Musei”. La prima riunione di questa associazione si tenne a palazzo Pecci Blunt.
Nel 1958 il marito Cecil, per il loro anniversario di nozze, le regalò un teatro che lei volle annesso al loro palazzo in Piazza Ara Coeli e chiamato Teatro La Cometa. Divenne sin da subito un luogo d’incontro di poeti e scrittori e sotto l’attenta guida di Mimì si esibirono su quel palcoscenico artisti come Monica Vitti, Gianni Santuccio, Lila Brignone, Laura Adani ma anche Bice Valori, un giovanissimo Jannacci e registi come Streheler e Missiroli. Franca Valeri vi interpretò “La signorina Snob” e “La Sora Cecioni” due delle sue più applaudite interpretazioni.
Nel 1960 per la sua attività a favore della cultura Anna Laetitia Pecci Blunt ricevette la medaglia d’oro per l’Arte e la Cultura dal Governo italiano e nel 1964 la prestigiosa Légion d’Honneur dal Governo francese.
Mimì Pecci Blunt morì a Marlia il 29 ottobre 1971, nel luogo che aveva tanto amato e che fino all’ultimo ha ospitato artisti e amici di ogni parte del mondo.