
(AGENPARL) – gio 13 luglio 2023 Iscritta al n. 77/2001 del Registro delle Persone Giuridiche
COMUNICATO STAMPA
Il salario minimo rischia di oscurare la contrattazione collettiva
Nel Documento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro un’analisi dei livelli minimi
retributivi di 63 CCNL più rappresentativi
Roma, 13 luglio 2023 – Il salario minimo non è la soluzione alle basse retribuzioni e allo
sfruttamento, meglio puntare sulla contrattazione collettiva. È quanto emerge dal Documento
“Salario minimo in Italia: elementi per una valutazione” elaborato dalla Fondazioni Studi
Consulenti del Lavoro sulla base di dati Inps e Cnel e diffuso oggi. Un focus che si inserisce nel
dibattito politico sull’introduzione di un minimo retributivo legale, scaturito dalla direttiva
comunitaria 2022/2041. Dopo aver chiarito come questa non prescriva ai Paesi membri l’introduzione
di un salario minimo per legge, ma privilegi anzi proprio il criterio della contrattazione collettiva,
l’analisi ha preso in rassegna 63 contratti collettivi, selezionati tra i più rappresentativi, individuando
per ciascuno il minimo retributivo previsto per il livello di inquadramento più basso comprensivo dei
ratei di mensilità aggiuntiva (13a mensilità ed eventuale 14a) nonché la quota di TFR, che costituisce
una retribuzione differita. Il risultato è che oltre la metà dei CCNL analizzati è superiore alla soglia
dei 9 euro: 39 sono al di sopra, 22 al di sotto. Di questi ultimi, 18 sono compresi tra gli 8 euro e gli
8,9, mentre i restanti 4 (industria delle calzature, settore privato dell’industria armatoriale, industria
del vetro e delle lampade, operai agricoli e florovivaisti) sono tra i 7 e i 7,9 euro. Il CCNL Vigilanza
Privata è addirittura inferiore. A fronte di una comprovata esigenza di adeguamento delle retribuzioni,
dal Documento emerge come l’introduzione di un salario minimo legale, anziché rappresentare la
soluzione, comporterebbe alcune controindicazioni: in primis, la marginalizzazione del ruolo della
contrattazione collettiva, che in Italia è stata largamente usata per garantire a ciascun lavoratore le
giuste tutele idonee al suo specifico impiego. Inoltre, potrebbe risultare un intervento semplicistico
rispetto all’effettiva tutela del trattamento globale, economico e normativo dei lavoratori, ben più
elevata del salario minimo tabellare. Infine, è estremamente limitante che non riguardi anche i
collaboratori domestici, che più faticano a raggiungere un emolumento dignitoso. Oltre a ciò, la
previsione di una simile misura determinerebbe un innalzamento del costo del lavoro a carico delle
aziende con effetto trascinamento su tutti i livelli retributivi più alti del minimo, con il rischio di un
effetto “immersione” in quei settori incapaci di assorbire l’incremento retributivo previsto. È alle
parti sociali, quindi, che il Documento attribuisce la capacità di sviluppare in modo completo le azioni
più coerenti sia per la fissazione del salario, sia per la difesa della dignità dei lavoratori. Dall’analisi,
d’altronde, emerge che il parametro minimo dei 9 euro viene superato anche togliendo dal computo
salariale gli scatti di anzianità e le indennità contrattuali fisse e continuative. Elemento, questo, frutto
dell’attività della contrattazione collettiva, che ha correttamente svolto il proprio ruolo di mediazione
sociale lavoristica, ponendosi come lo strumento migliore per garantire la gradualità nell’aumento
delle retribuzioni minime. Di contro, un innalzamento repentino, introdotto per legge, rischierebbe di
mettere in crisi le aziende. Per i contratti al di sotto dei 9 euro orari, la soluzione suggerita è di
prevedere che retribuzione e trattamento normativo contrattuale dovuto non siano complessivamente
inferiori a quelli previsti dai CCNL comparativamente più rappresentativi in vigore per il settore in
cui il datore di lavoro opera; oppure, in assenza di questi, di fare riferimento ai parametri retributivi
e normativi contenuti nel CCNL maggiormente affine.