[lid] – “Una audizione importante, che ci ha restituito sensazioni positive sulla volontà della Consiglio regionale di proseguire sulla strada virtuosa di una sempre migliore integrazione dei servizi sociali e sanitari in Veneto“. È questo il bilancio che Mirella Zambello, presidente dell’Ordine degli assistenti sociali del Veneto traccia dopo il confronto presso la quinta commissione del Consiglio regionale del Veneto sul disegno di legge 200 del 2023 sulle ATS, dedicato al “Assetto organizzativo e pianificatorio degli interventi e servizi sociali”, lo scorso 30 maggio.
L’Ordine degli assistenti sociali del Veneto, rappresentato dalla presidente Mirella Zambello e dalla consigliera Franca Bonin, ha presentato un documento di osservazioni e di proposte che hanno ripreso alcuni articoli del progetto di legge, cruciali per la nuova organizzazione dei servizi sociali. “Di fronte alla elevata complessità delle situazioni di disagio e fragilità nella nostra Regione, legata a fattori come il crescente divario socio-economico, l’invecchiamento della popolazione, le migrazioni, un disagio piscologico diffuso – spiega Zambello – abbiamo sottolineato l’importanza di mantenere il modello virtuoso delle Ulss basato sull’integrazione socio-sanitaria. E abbiamo chiesto di individuare dei punti di contatto e di coordinamento tra gli ambiti, i comuni e le equipe integrate e multiprofessionali presenti nelle aziende Ulss del Veneto”.
Infatti, secondo gli assistenti sociali del Veneto, il modello veneto che integra sociale e sanitario in modo stabile funziona e va potenziato. Lo confermano le buone prassi realizzate dalla rete degli assistenti sociali, che puntano su promozione di approccio generativo e di comunità dei servizi sociali. “L’alleanza tra i diversi soggetti istituzionali e del terzo settore rende più efficaci gli interventi che rispondono ai bisogni di persone e famiglie”, spiega Zambello. Un esempio sono i protocolli di rete che si stanno attuando nei diversi territori contro la violenza di genere (tra i servizi delle aziende Ulss, i pronto soccorso, i comuni, i centri antiviolenza, le forze dell’ordine, le prefetture). E ancora: si è sviluppato un modello di intervento di supporto alle famiglie con minori e alle genitorialità fragili, con il programma P.I.P.P.I., che si basa sul lavoro integrato tra i servizi comunali, delle Ulss, gli istituti scolastici e le realtà del terzo settore, per realizzare forme di supporto territoriali ai bambini e ai ragazzi in situazione di “povertà educativa” e prevenire così gli allontanamenti. “Questo modello – racconta Zambello – è stato proposto dall’Università di Padova e, a seguito di riconoscimenti anche internazionali sull’efficacia, è stato inserito dal Ministero delle politiche sociali tra i Leps (Livelli essenziali di prestazioni sociali) da realizzare nei territori e negli ambiti”.
Ma ci sono anche altri esempi da seguire e che dimostrano gli effetti positivi dell’incrocio tra sociale e sanitario. Come, come ad esempio la rete dei servizi domiciliari alle persone anziane o disabili che, oltre a rispondere ai bisogni assistenziali di sollievo ai care givers, assumono rilevanza di monitoraggio sulla salute e sull’evoluzione dei livelli di autonomia delle persone”.