(AGENPARL) – mer 17 maggio 2023 N.B. L’ODG DEL VENETO RICONOSCE CREDITI FORMATIVI PER L’EVENTO.
I GIORNALISTI CHE INTENDONO PARTECIPARE POSSONO ISCRIVERSI TRAMITE LA PIATTAFORMA SIGEF.
La Redazione
Centro Documentazione Due Palazzi
Redazione di Ristretti Orizzonti
Ministero della Giustizia
Casa di Reclusione di Padova
Conferenza Nazionale
Volontariato Giustizia
Giornata nazionale di studi
La tenerezza e la Giustizia
La tenerezza è un modo inaspettato di fare Giustizia (Papa Francesco)
Venerdì 19 maggio 2023, ore 9.00-17.00 – Casa di reclusione di Padova
In tempi particolarmente densi di guerre, violenze, odiatori seriali, parlare di “tenerezza e giustizia” può sembrare velleitario, “buonista”, pericoloso, inutile. Ma la sfida è proprio osare mettere insieme due concetti che sembrano inconciliabili: quello di un sentimento come la tenerezza, applicato anche alla Giustizia, di cui siamo invece abituati a vedere un volto severo, a volte duro, a volte anche crudele. Papa Francesco ha avuto il coraggio di dire “La tenerezza è un modo inaspettato di fare Giustizia”, e noi vogliamo provarea far capire quanto è necessaria una Giustizia intrisa di tenerezza per ridare speranza anche a chi, invece, attraverso la Giustizia ci è passato come dentro un tritacarne inesorabile.
Il professor Vittorio Manes, docente di diritto penale ed esperto di informazione giudiziaria, definisce l’esperienza di chi finisce sulle prime pagine dei giornali per un fatto di giustizia “un’esperienza ustionante, una discesa agli inferi”.
Cominciamo allora questa “discesa agli inferi” così ustionante, per poi andare alla ricerca delle possibili alternative, osando credere insieme a papa Francesco che la giustizia debba sempre lasciar aperta “una finestra di speranza”.
Viaggio dalla mala giustizia alla giustizia della tenerezza: Prima tappa, i ragazzi
Chiedeteci come stiamo
“Chiedimi come sto” è il titolo di una inchiesta che interroga i ragazzi sul loro stato di salute dopo la pandemia, su come si sentono, quanto hanno sofferto, come reagiscono. La narrazione giornalistica non risparmia neanche loro: baby gang, fughe dalle carceri minorili, bullismo, cyberbullismo. La soluzione? Puniamoli prima, abbassiamo l’età in cui sono penalmente perseguibili. Ma se vogliamo evitare queste semplificazioni è importante per tutti farsi spiegare come sono davvero, i giovanissimi, cosa pensano, come vivono, che paure hanno, come usano i social, quali sono i comportamenti che li mettono a rischio; ed è importante in particolare per le persone detenute farsi aiutare a capire meglio i loro figli e i loro nipoti. Perché chi sta in carcere da anni, poco sa del mondo fuori e poche occasioni ha di trovare delle risposte alle domande che ingombrano la sua testa.
– Dialogo fra studenti e persone detenute
“Voglio dirlo al magistrato/Sono un ragazzo ma tu vedi un carcerato”
“Scrivo versi dietro porte sbarrate / Voglio dirlo al magistrato/ Sono un ragazzo ma tu vedi un carcerato” sono i versi scritti da un ragazzo che sta scontando la sua pena in un Istituto Penale per Minorenni. Mettersi all’ascolto dei ragazzi, coglierne le fragilità, aiutarli a scavare nelle loro vite: è quello che da anni fa Francesco “Kento”, rapper che insegna a esprimersi con il rap ai ragazzi delle carceri minorili. «Parli dei detenuti ma non sai chi sono loro, dici non gli interessa né studio né lavoro, vogliono i soldi facili per arricchirsi subito ma questa realtà tu la conosci? ne dubito»: è la prima strofa di una canzone rap che Kento ha scritto insieme ai giovani detenuti dell’IPM di Catanzaro, e non è un caso che questi testi siano spesso rivolti ai magistrati, e a una Giustizia che i ragazzi sentono lontana, ostile.
– Francesco “Kento”, rapper, interverrà in videoconferenza dal Salone del libro di Torino per portare la sua esperienza come “insegnante speciale” all’interno degli istituti penitenziari per minori, raccontata nel libro “Barre” e nel disco “Barre Mixtape”.
Ragazzi pericolosi per sé stessi, madri coraggio
Poi ci sono i ragazzi con una diagnosi di disturbo della personalità che, se si associa all’uso di sostanze, diventa doppiamente pesante, e sono ragazzi che spesso finiscono in carcere invece di avere un percorso vero di cura, magari solo perché non c’è posto nelle REMS. Racconta Loretta Rossi Suart, nel libro Io, combatto: “Io, Maria e tantissimi altri genitori e famiglie siamo in piena emergenza. L’emergenza è come salvare la vita ai nostri figli: entrano in stati psicotici totalmente fuori controllo, in cui sono pericolosi principalmente per loro stessi, ma possono anche compiere dei reati, ed ecco perché arriva il carcere, il girone infernale da cui non puoi uscire che peggio di come sei entrato”.
– Maria, madre di un ragazzo detenuto 22enne, con Disturbo Borderline di Personalità.
– Loretta Rossi Stuart, attrice, coreografa, autrice del libro Io, combatto
Ragazzi che dentro conservano un nucleo di grande fragilità
In carcere si incontrano sempre più ragazzi giovani, che si sono “armati contro il mondo” da cui non si sono sentiti accolti, perché, come scrive Mauro Grimoldi, psicologo esperto di adolescenze estreme “Ci stiamo muovendo verso una cultura educativa più affettiva, che regala delle infanzie meravigliose ai nostri bambini, ma regala delle adolescenze complicate in cui i primi ostacoli, i no da parte dei genitori, i risultati negativi a scuola, una storia d’amore finita male, a volte colgono i nostri ragazzi molto impreparati, le prime frustrazioni li trovano veramente sgomenti ed è di fronte a questo che a volte si armano e vanno in lotta contro il mondo sociale che hanno intorno”.
– Mauro Grimoldi, psicologo, esperto di criminologia minorile e disturbi del comportamento in adolescenza. Coordinatore dell’Istituto Milanese di Psicologia Giuridica, autore di Adolescenze estreme. I perché dei ragazzi che uccidono.
Viaggio dalla mala giustizia alla giustizia della tenerezza: Seconda tappa, i migranti
Migranti: la pietà ceduta in cambio di niente, la tenerezza da recuperare
Scrive Elena Stancanelli “Angosciata dall’irrazionalità e dalla ferocia che spinge ministri e politici a considerare i morti un buon esempio, un deterrente per gli altri migranti pronti a partire, mi sono imbarcata con chi invece vuole salvarli. Venne alla spiaggia un assassino è il racconto del tempo trascorso sulle barche delle famigerate ONG, trasformate in pochi mesi da alleate della guardia costiera italiana in colpevoli di ogni nefandezza”.
“Abbiamo ceduto la nostra misericordia, la pietà, in cambio di niente”, afferma la scrittrice, ma forse sarebbe ora di capire che“gli uomini e le donne che salvano gli altri sono più belli, e anche più felici. Di me, ma anche di quasi tutte le persone che conosco.”
– Elena Stancanelli, scrittrice e sceneggiatrice, collabora con Repubblica, il Manifesto e la Stampa. È autrice tra l’altro di Venne alla spiaggia un assassino. L’ultimo libro pubblicato è Il tuffatore, una storia di ricordi, di eventi economici, politici e sociali che hanno caratterizzato la vita del nostro paese alla fine degli anni Novanta, attraverso la parabola di Raul Gardini.Ha fondato e presiede “Piccoli Maestri”, un’associazione di scrittori e scrittrici che si pone l’obiettivo di promuovere la lettura nelle scuole.
Viaggio dalla mala giustizia alla giustizia della tenerezza: Terza tappa, l’informazione
“Rieducare” una collettività satura di notizie, ma povera di conoscenza
Ricordiamo spesso un incontro tra studenti e persone detenute, che portavano la loro testimonianza e le loro storie pesanti, e una ragazza che se ne era venuta fuori con una affermazione drastica: “Attenti a quello che ci raccontate”, era il senso, perché “ci basta un clic per sapere la verità”. Non è così, e bene lo racconta Vittorio Manes nel suo libro Giustizia mediatica, che “vorrebbe tentare di fare comprendere come la verità narrata dai media è spesso una verità deformata. I media non sono uno specchio che riflette la realtà, ma molto spesso la distorce”. Per questo è necessario “rimuovere la passività narcotica con cui spesso vengono acquisite, recepite, passivamente appunto, alcune notizie senza quell’approccio critico che dovrebbe muovere un lettore/spettatore consapevole”.
– Vittorio Manes, ordinario di Diritto penale presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Bologna, autore, tra l’altro, di Giustizia mediatica – Gli effetti perversi su diritti fondamentali e sul giusto processo.
Il problema non è ‘forcaioli o garantisti’, il problema è di essere UMANI
Scrive Gad Lerner: “Non appena in Italia si vive una situazione drammatica, che sia quella della pandemia, o che sia quella della guerra alle porte, dell’arrivo dei profughi, o della carenza di gas e petrolio, i diritti, e in particolare i diritti dei detenuti, passano in cavalleria… scendono nella gerarchia delle notizie, per cui la disinformazione trova più spazio”. È esattamente quello che sta succedendo ogni giorno di più nel mondo dell’informazione, dove si diffonde sempre di più “questa rigidità ideologica, priva di sentimento, di pathos, che partendo da una retorica, e cioè ‘io difendo le vittime’, come dire? ‘io sono il difensore delle vittime dei reati’, toglie umanità, disumanizza, condanna per l’eternità chi per quei reati è già stato condannato…”.
– Gad Lerner, giornalista, autore e conduttore radio e tv, ha collaborato con tutte le maggiori testate ed emittenti televisive del panorama nazionale. Oggi scrive per il Fatto Quotidiano. Gli ultimi libri che ha pubblicato, entrambi editi da Feltrinelli, sono: “Noi, partigiani. Memoriale della Resistenza italiana”, con Laura Gnocchi e “L’infedele. Una storia di ribelli e padroni”.
Viaggio dalla mala giustizia alla giustizia della tenerezza: Quarta tappa, i cattivi per un po’ e i cattivi per sempre
Avvocato o traduttore dell’intraducibile?
Le parole della Giustizia dovrebbero essere chiare, cristalline, disarmate e disarmanti: e invece sanno spesso essere anche crudeli, menzognere, incomprensibili, inaccessibili ai più. E la funzione dell’avvocato finisce così per essere quella di difendere i suoi clienti dalla macchina stessa della Giustizia, che produce parole che inchiodano i “cattivi per sempre” al loro passato, con informative in cui troppo spesso domina la “licenza di mentire”, di dire mezze verità, di usare l’imprecisione come arma da cui non ci si può proteggere. E chi lo fa, lo fa da impunito, senza dover mai rispondere delle male parole usate, delle verità manipolate.
E se invece di dare credito a chi parla per non farsi capire si minacciasse di introdurre il reato di “oltraggio alla lingua italiana e alla verità”?
– Gianpaolo Catanzariti, avvocato,Responsabile nazionale dell’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane
Un tribunale iniquo è peggio di un brigante
“Un tribunale iniquo è peggio di un brigante” è una citazione da Aleksandr Solzhenicyn, scrittore russo internato per anni nel Gulag. E di briganti ce ne sono nel mondo della giustizia, e anche di imboscate, quando l’ideologia è più forte della legge. Scrive Alessandro Barbano, giornalista “La giustizia in questo Paese è una macchina del dolore non giustificabile. (…) Il vulnus del nostro diritto nasce da un gigantesco equivoco che ha visto slittare il diritto penale dal fatto al reo. Non si condanna più un delitto accertato, spesso si condanna la pericolosità sociale di chi è accusato o anche solo sospettato di aver commesso un reato. Si procede per sospetti preventivi generalizzati e per condanne sociali e mediatizzate”. Ma ci sono anche magistrati che credono di più a un cambiamento culturale che a una “guerra” alla criminalità condotta solo con strumenti bellici, come scrive Stefano Musolino, sostituto procuratore a Reggio: “Diciamo che ho una discreta esperienza quantomeno della ‘ndrangheta e mi sono persuaso sempre di più, con una modifica tutto sommato di quelli che erano i miei convincimenti iniziali, che erano un po’ più tetragoni, un po’ più rigidi e anche radicali, che senza un autentico recupero delle persone, che parte prima di tutto dall’ambiente carcerario, questo problema non si risolve”. E come sottolinea Giovanna Di Rosa, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, quando ricorda la necessità di non limitarsi“…a concepire la pena solo in termini repressivi, retributivi. Altrimenti, anziché farne la cura di una ferita, la si riduce a mero differimento della possibilità che la persona colpevole torni a circolare per strada. Il carcere deve contenere solo gli individui socialmente pericolosi”.
– Alessandro Barbano, giornalista e saggista, ha diretto per quasi sei anni, dal 10 dicembre 2012 al 2 giugno 2018, il quotidiano Il Mattino di Napoli. Attualmente è condirettore del Corriere dello Sport, è autore del saggioL’inganno. Antimafia usi e soprusi dei professionisti del bene.
– Stefano Musolino, sostituto procuratore a Reggio Calabria, è segretario di Magistratura democratica
– Giovanna Di Rosa, magistrata, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano
Viaggio dalla mala giustizia alla giustizia della tenerezza: Quinta tappa, quando i racconti del male si intrecciano con quelli del bene
Dalla narrazione del male all’incontro con la tenerezza della giustizia che ripara
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