
[lid] – L’avvocato Stefano Bertollini, membro del Consiglio Nazionale Forense per il quadriennio 2019-2022 responsabile dell’ONPG organismo costituito con legge 241/2012. Membro della Commissione sull’equo compenso e delegato nel tavolo Ministeriale di monitoraggio sull’applicazione della normativa sull’equo compenso. Membro della commissione human right e segue i lavori della commissione sul diritto sportivo.
La professoressa Daniela Piana, Professore di prima fascia Scienze Politiche Università di Bologna. UNESCO UNITWIN NETWORK NETLEARNING – Governance and citizenship in the digital ageFondatrice e coordinatrice del centro di ricerca Maison des intelligences sociales et numériques Université Paris Saclay.
La delibera della Corte dei conti del 22 dicembre 2022 discussa nel dibattito pubblico di questi giorni, nonché la centralità indiscussa della questione inerente la negoziazione con la Commissione europea degli obiettivi fissati nel package deal del PNRR inducono a fare il punto sulla questione nodale, ossia il ruolo della trasformazione digitale nel percorso su cui il paese impegnato verso il rilancio dell’economia e la creazione di condizioni di sostenibilità, resilienza, inclusività sociale. Per quanto la parola che ricorre di gran lunga più di frequente è quella di digitalizzazione, riteniamo che il vero nodo sia quello della trasformazione.
A ben vedere il digitale non è un obiettivo. Contenuti in formato digitale ve ne sono in quantità massive, tali da permettere oggi, grazie al connubio di questi con crescenti capacità di computo e di elaborazione matematica, di operare con quei contenuti – data analysis – e attraverso quei contenuti – data mining – a livelli di tale sofisticata intelligenza, accelerata efficacia, e inedita profondità, da rendere diffuso il senso comune che per questa via la aspettativa di più rapidi, rispondenti, oggettivi, standardizzati e dunque impersonali – quindi egualitari – servizi resi alla e per la persona sia oltremodo facile da corrispondere.
Eppure, nonostante nel digitale il mondo del diritto e della giustizia operi e si trovi a funzionare in tanti diversi segmenti operativi del proprio universo – ad iniziare dal PCT per proseguire con il PAT (processo amministrativo telematico) per arrivare alle basi di dati giurisprudenziali nazionali ed internazionali – resta assai residuale l’attenzione conferita alla parola trasformazione. Ed invece la trasformazione è tutto. Nessuna forma di linguaggio né di grammatica avrebbe mai potuto trasformare la società senza che vi fosse, congiuntamente, una nuova visione di come si lavora, come si controlla la qualità dell’operato ogni giorno, di come si integrano intelligenze diverse che insistono sullo stesso spazio funzionale, che è quello della giurisdizione. e si noti che la parola intelligenza va qui intesa nel senso doppio di riconoscere regolarità di comportamento o di risposta che funzionano – risolvono problemi e rispondono ai bisogni – ma anche nel senso di generare modalità di intendere e guardare i problemi che abbia un significato condiviso ed una legittimità per il cittadino.
Cosa significa tutto questo in concreto? Significa molte cose, ma almeno tre ci sentiamo di affrontarle qui.
La prima riguarda l’uso dei contenuti di cui disponiamo in formato digitale per mettere la norma del diritto in un ciclo di vita capace di assicurarle evoluzione, rispondenza ai bisogni, intelligibilità. Facciamo un esempio concreto. In formato digitale abbiamo una quantità massiva di contenuti, sia contenuti che sono atti – decisioni – sia contenuti che hanno a che vedere con gli andamenti macro della società e dell’economia. Fare delle analisi è possibile se si pensa che quei contenuti ci possono dire dove sono e come nascono i bisogni di servizi giuridici e di professionalità legali delle persone, ci possono dire come orientare meglio la elaborazione delle norme e la loro attuazione. Ma non è tutto. Proprio perché pensare dentro ad una società che vive e si vive nella trasformazione digitale significa anche pensare in 4D possiamo cominciare a individuare dove spazi integrati per organizzazione, ma differenziati per canali di accesso, fra il remoto e la presenza fisica, possano rispondere a quella tutela dei diritti che dipende da condizioni di fatto, non solo di diritto.
E da questo si comprende il secondo punto. Leadership, capacità direttive che irradino di una cultura del governo del cambiamento. Il settore giustizia. sapere quali routine di lavoro funzionano è oggi possibile, renderle scalabili è possibile solo se dietro c’è un impulso di volontà che è capace di durare nel tempo. In questo, è fondamentale che tutti i protagonisti della giurisdizione siano coinvolti. Perché la valutazione di ciò che funziona e di ciò che può essere esteso è una azione che necessita di una condivisione – informazione condivisa – e anche di un impegno congiunto.
Veniamo quindi al terzo punto. Alcuni cantieri che le riforme prevedono e che avranno un fortissimo impatto sulla vita dei cittadini. Due in particolare, il Tribunale per le persone, le famiglie e i minorenni, e il nuovo scenario per le imprese che è aperto dal nuovo codice della crisi di impresa. È fondamentale che la digitalizzazione sia il punto di partenza comune per promuovere una attuazione che sia capace di andare incontro ai bisogni, perché andare incontro a quei bisogni significa mettere persone, famiglie, imprese e i cittadini di domani (i minori di età) in condizioni di trovare nella giurisdizione una risposta effettiva e non un percorso che li rende vulnerabili perché disorientati o dinnanzi a servizi frammentati. Il digitale permette la organicità, l’integrazione e la interoperabilità, se sono pensate le cose sin da subito in questi termini.
Prospettive futuribili o un futuro immediato che si può e si deve costruire? Certamente la seconda opzione. Ma per fare questo si devono utilizzare strumenti e metodi che già abbiamo messo a punto, per rilevare le barriere che separano le persone dalla giurisdizione – a questo serve il legal needs survey dell’OCSE – , per valutare la efficacia delle innovazioni tecnologiche – così come la CEPEJ ha mostrato anche attraverso la comparazione con altri paesi – e per assicurare che le riforme delle norme giuridiche non siano esse stesse portatrici di complessità ulteriore – sappiamo per esperienza che le AIR integrate e le VIR ad essere conseguenti sono strumenti che, se adottati in modo standardizzato, possono aiutare in tal senso moltissimo. Ed infine una questione di cultura della giurisdizione. La digitalizzazione è una politica non di carattere regolativo, ma di carattere istituzionale. Essa costruisce modalità per fare le cose. Così è la politica di qualità della giurisdizione. E come tutte le policy di questa portata necessitano che al tavolo della progettazione delle traiettorie e dei servizi attuativi siano presenti tutti gli attori che portano due risorse che luce e energia: competenze e impegno nella realtà di ogni giorno.

