
[lid] – Con la sentenza della Corte Costituzione n. 103 del 2008 l’Italia «è entrata a far parte dell’ordinamento comunitario, e cioè di un ordinamento giuridico autonomo, integrato e coordinato con quello interno».
Eppure non è la prima volta che dall’UE arrivino indicazioni precise sui danni al sistema economico generati dal malfunzionamento di quello giudiziario.
Da notare che a differenza del diritto comunitario che si basa sul dettato costituzionale dell’articolo 11 della Costituzione, la CEDU è annoverata nel diritto internazionale e come tale fa riferimento all’articolo 117 della Costituzione nella parte che fa riferimento «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
Tradotto in parole povere. Il giudice nazionale in caso di conflitto tra la normativa nazionale e quella comunitaria deve disapplicare quella interna che confligge con quella europea.
Inoltre da sottolineare che la Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia (CEPEJ) è stata istituita il 18 settembre 2002 con Risoluzione Res(2002)12 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.
La creazione della CEPEJ dimostra la volontà del Consiglio d’Europa di promuovere lo Stato di diritto e i diritti fondamentali in Europa, sulla base della Convenzione europea dei diritti dell’uomo , e in particolare dei suoi articoli 5 (Diritto alla libertà e alla sicurezza), 6 (Diritto a un giusto processo), 13 (Diritto a un ricorso effettivo), 14 (Divieto di discriminazione).
Il Consiglio d’Europa ha avviato una riflessione sull’efficienza della giustizia e ha adottato Raccomandazioni che contengono modalità per garantirne sia l’equità che l’efficienza.
L’istituzione della CEPEJ, assicurata dalla Direzione Generale dei Diritti Umani e degli Affari Legali, mostra l’intenzione del Consiglio d’Europa non solo di elaborare strumenti giuridici internazionali, ma anche di promuovere una conoscenza precisa dei sistemi giudiziari in Europa e dei diversi strumenti esistenti che le consentono di identificare eventuali difficoltà e facilitarne la soluzione.
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza della Corte esigono che i sistemi giudiziari assicurino effettivamente il diritto ad un processo giusto in un termine ragionevole. La Corte valuta la lunghezza delle procedure sulla base della tipologia, tenendo conto particolarmente della complessità dell’affare, del comportamento delle parti e delle autorità competenti e dell’importanza dei diritti posti in gioco per il richiedente. Così la Corte esamina in particolare la durata di ogni procedura dal punto di vista degli utenti della giustizia. La protezione dei diritti e delle obbligazioni civili deve essere effettiva e non solo una enunciazione di principio. I tempi di ogni procedura devono essere considerati nella loro globalità, dall’introduzione della procedura stessa davanti al tribunale fino al momento in cui una decisione giudiziaria definitiva ed impositiva è eseguita.
Il Consiglio Consultivo dei Procuratori Europei (CCPE) ha esaminato, in particolare, il giusto equilibrio tra i diritti fondamentali relativi alla libertà di espressione e di informazione garantiti all’Articolo 10 della CEDU ed il diritto-dovere dei media ad informare il pubblico in merito ai procedimenti giudiziari ed i diritti legati alla presunzione di innocenza, ad un giusto processo ed al rispetto della vita privata e familiare, garantito dagli articoli 6 ed 8 della CEDU.
Ora purtroppo continua il perdurare di una situazione giurisprudenziale fatta di ‘resistenze’ all’ingresso delle regole europee nel sistema penale italiano che de facto testimonia il perdurare del disallineamento tra le sentenze della Corte di Giustizia europea e quelle nostrane.
Va risolto il disallineamento che attualmente esistono specie in ragione dell’articolo 6 C.E.D.U. secondo cui «Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o una parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la tutela della vita privata delle parti nel processo, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale quando, in speciali circostanze, la pubblicità potrebbe pregiudicare gli interessi della giustizia. 2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata».
Una situazione che potrebbe richiedere di instaurare ex novo una fase del processo.
Il diritto europeo inciderà sempre di più sul diritto penale nazionale.
E allora perché queste continue ‘resistenze’ che si trasformano in conflitti?
Una domanda su tutte: quale è la strada per superare il disallineamento?
La risposta è ovvia: sospensione del processo e quesito inviato alla Corte di Giustizia europea, cui spetta il monopolio dell’interpretazione del diritto dell’Unione (ex art. 267 TFUE).
Sapete cosa ha risposto la Corte di giustizia?
I giudici della Corte di Lussemburgo hanno risposto in modo non chiaro ma chiarissimo: disapplicare.
Nel conflitto tra la normativa interna attuativa di una Direttiva europea e i principi CEDU, hanno stabilito che i giudici nazionali devono disapplicare quella ‘locale’.
Possibile che nel 2022 l’Italia è ancora alla ricerca degli standard di efficienza di un sistema che va europeizzato ravvicinando le normative nazionali al primato del diritto UE?
A quando le riforme dei processi penali aldilà delle risorse che arriveranno dal PNRR e che sono necessarie per far funzionare la giustizia penale in Italia e che devono essere soprattutto al servizio dei cittadini?
Ah a saperlo…