
(AGENPARL) – mer 14 dicembre 2022 ASSEMBLEA GENERALE
Roma, 14-15 dicembre 2022
“PERSONE, AGRICOLTURA, AMBIENTE”
TRACCIA DI INTERVENTO DEL PRESIDENTE
MASSIMILIANO GIANSANTI
Da oltre un decennio, il cammino dell’Unione europea è stato segnato da un susseguirsi di emergenze. Dalla crisi dei debiti sovrani che ha messo a rischio l’esistenza della moneta unica, alla pandemia. Dallo scorso febbraio poi, con l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, la guerra è tornata ai confini dell’Unione.
Il conflitto in Ucraina, secondo un articolo apparso a fine novembre sull’Economist, ha messo in evidenza i punti di debolezza dell’assetto strategico ed economico dell’Unione europea. Un assetto basato sulla dipendenza da una parte, per la sicurezza militare, dalla NATO e dall’altra, per le forniture energetiche, dalla Federazione Russa. La crescita economica, dal canto suo, è sostanzialmente legata all’andamento delle esportazioni sui mercati internazionali.
Per la sicurezza alimentare l’Unione europea non è, invece, dipendente da terzi. Per ciò che concerne i prodotti agricoli di base, siamo sostanzialmente autonomi. L’Unione è il più grande esportatore al mondo di prodotti agroalimentari, con un saldo attivo nell’ordine di 70 miliardi di euro l’anno.
Anche durante la fase più dura della pandemia, il sistema agroalimentare ha garantito i rifornimenti.
Per scongiurare i rischi di una crisi alimentare globale, a seguito del conflitto in Ucraina, l’Unione europea è stata in grado di aumentare in misura significativa le esportazioni di grano verso i Paesi più vulnerabili del Medio Oriente e dell’Africa sub-sahariana.
Secondo gli ultimi dati della Commissione, ad agosto le esportazioni hanno fatto registrare un incremento del 35% sullo stesso mese del 2021.
L’Unione europea è anche un grande mercato aperto ai prodotti agroalimentari in arrivo dai Paesi terzi. Nel 2021 le importazioni sono ammontate a 130 miliardi di euro. L’Unione è inoltre il primo mercato di sbocco a livello mondiale per le esportazioni dei Paesi in via di sviluppo.
Nei giorni scorsi, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno raggiunto un accordo per bloccare le importazioni di prodotti ottenuti su terreni oggetto di deforestazione illegale. E’ il primo segnale tangibile nell’ottica della necessaria reciprocità delle regole nell’ambito degli accordi commerciali.
Il mercato europeo deve restare aperto alle produzioni ottenute con metodi analoghi a quelli che applicano i nostri agricoltori per la tutela della sicurezza alimentare, delle risorse naturali, del lavoro. Anche il commercio internazionale può e deve contribuire alla transizione ecologica.
Da oltre due anni viviamo una situazione di profonda incertezza. Non è ancora chiaro il nuovo assetto che sarà forgiato dalle crisi in atto. Sono incerte anche le prospettive della globalizzazione, ma risulta già evidente che la copertura del fabbisogno di prodotti essenziali non può più essere affidata a terzi.
Salvaguardare il potenziale produttivo agroalimentare della UE rappresenta senza alcun dubbio un obiettivo di rilevanza strategica, ma questo non basta. Le imprese sono chiamate a dare un ulteriore contributo per la transizione ecologica e per la neutralità climatica.
In tempi non sospetti, quando guerra e pandemia non erano neppure immaginabili, abbiamo cominciato a ragionare in casa Confagricoltura sulle energie rinnovabili. Oggi queste sono una realtà in costante e forte crescita.
Nei giorni scorsi, nel discorso tenuto all’Università Bocconi, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha evidenziato che quest’anno per le energie rinnovabili si è registrata una crescita record: 50 gigawatt in più, cioè il doppio rispetto al 2021.
Siamo convinti che si potrebbe fare anche di più, per sostituire il gas in arrivo dalla Federazione Russa che ancora incide per il 10% sulle nostre importazioni totali.
Il rilascio delle autorizzazioni è ancora troppo lento e andrebbe finalmente rimosso il vincolo dell’autoconsumo per la concessione degli incentivi pubblici all’agrisolare.
La diffusione delle energie rinnovabili è un processo che ha una dimensione globale. Secondo le previsioni contenute nell’ultimo rapporto diffuso dall’Agenzia internazionale dell’energia, la capacità su scala mondiale aumenterà di 2.400 gigawatt entro il 2027.
Energia solare ed eolica sono destinate a diventare, già nel 2025, le principali fonti di elettricità. Senza dimenticare, in aggiunta, l’apporto dei biocarburanti per i quali l’Agenzia dell’energia ha previsto un incremento di produzione di oltre il 20% nell’arco dei prossimi cinque anni.
In Francia, è il caso di citarlo, il biocarburante E-85 viene acquistato al momento dagli automobilisti a 0,80 centesimi al litro.
A nostro avviso, lo sviluppo delle energie rinnovabili non mette a rischio il potenziale produttivo dell’agricoltura, bisogna solo fare scelte più opportune che vadano nella direzione delle innovazioni tecnologiche.
La sostenibilità ambientale non si contrappone con quella economica. Le due possono e debbono coesistere.
In un rapporto dei ministri dell’Agricoltura e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, redatto per la riunione di metà novembre del G20, si sottolineava che la produttività dell’agricoltura mondiale dovrà crescere di circa il 30% nel prossimo decennio, per garantire la sicurezza alimentare e raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.
La chiave di volta vincente è indubbiamente rappresentata dalle innovazioni.
In Italia, l’agricoltura di precisione è già una realtà, ma ancora troppo limitata. Vanno perciò consolidati gli incentivi a favore della “Transizione 4.0”, a supporto della competitività a lungo termine delle imprese agricole italiane. Senza dimenticare, inoltre, che ci attendiamo la conferma del credito di imposta per il Mezzogiorno.
La raccolta e l’elaborazione dei dati per ridurre il consumo di acqua e il ricorso ai prodotti chimici sono pratiche sempre più diffuse tra le nostre imprese. E le tecniche di evoluzione assistita, quando saranno autorizzate dall’Unione europea, consentiranno di produrre le stesse quantità con una minore pressione sulle risorse naturali.
Allo stato attuale, però, scontiamo un grosso limite che è quello dell’insufficiente connessione a banda larga nelle aree rurali. Una diffusa digitalizzazione risulta fondamentale per l’ampliamento delle innovazioni dei processi produttivi in termini di sostenibilità ambientale ed economica.
Le innovazioni richiedono investimenti, sia pubblici che privati.
La crisi economica indotta dalla pandemia e la contrazione della crescita prevista per l’anno venturo stanno limitando la propensione agli investimenti, anche per l’aumento dei tassi di interesse che è in corso per frenare l’inflazione.
La messa in opera del Piano nazionale di ripresa e resilienza consentirà di far ripartire gli investimenti pubblici, soprattutto dal lato delle infrastrutture.
Nel corso di un recente seminario organizzato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale, Fabio Panetta, membro del Comitato Esecutivo della Banca centrale europea, ha messo in evidenza che, dal 2011 al 2019, gli investimenti pubblici netti nell’area dell’euro sono stati inferiori di 500 miliardi di euro rispetto agli anni che hanno preceduto la crisi finanziaria globale e i debiti pubblici nella UE.
Tra le economie avanzate, solo in Giappone si è investito di meno rispetto all’area dell’euro.
Il calo degli investimenti pubblici frena la competitività del sistema economico e c’è innegabilmente molto da fare per recuperare la situazione di svantaggio competitivo.
Energie rinnovabili per la neutralità climatica, digitalizzazione, investimenti per la crescita dell’efficienza e della competitività: questi sono i temi che rappresenteranno il passo verso il futuro e che condizioneranno il futuro stesso delle nostre imprese. Dal dibattito che farà seguito alla mia relazione, sono certo che arriveranno utilissime indicazioni a tale riguardo.
Dai programmi e dalle scelte primarie delle imprese rappresentate dai nostri relatori dipende, in larga misura, la soluzione dei problemi che ho evidenziato.
Vorrei, però, soffermarmi su alcuni aspetti di strettissima attualità.
Dopo alcune esitazioni iniziali, l’Unione europea e gli Stati membri hanno gestito in termini positivi la pandemia.
E’ prevalso uno spirito di solidarietà che ha consentito l’acquisto centralizzato dei vaccini e, soprattutto, l’emissione di debito comune per il finanziamento del “Next Generation EU”.
La situazione è, al momento, assolutamente diversa – e diversa purtroppo in negativo – relativamente alla gestione della crisi energetica.
E’ stata raggiunta la necessaria unanimità per il varo delle sanzioni contro la Federazione Russa, ma ai fini della gestione dell’impatto delle sanzioni si sta procedendo in ordine sparso.
Sul “price cap” per il gas le discussioni non hanno finora fatto significativi passi avanti e le proposte presentate dalla Commissione non sono risolutive. Così come sono state formulate, non servono a mettere famiglie e imprese al riparo dalla speculazione.
Senza un accordo per gli acquisti in comune di gas, è probabile che i prezzi punteranno di nuovo fortemente verso l’alto, quando gli Stati membri torneranno a competere tra loro per rifornire le scorte svuotate dalla stagione invernale.
Con la legge di bilancio, il governo ha fatto scelte di assoluta rilevanza, per continuare a ridurre le bollette energetiche di famiglie e imprese ma l’intervento è limitato al primo trimestre dell’anno venturo.
Dal ministro Giorgetti sono arrivate indicazioni sulla prosecuzione degli interventi oltre la fine di marzo, ma non sarà facile trovare le risorse necessarie, senza sacrificare altre misure necessarie a sostegno della ripresa economica e del potere di acquisto dei consumatori. Dal 2024, poi, tornerà in vigore, sia pure modificato, il Patto di stabilità dei conti pubblici.
La crisi energetica non sarà di breve durata. I prezzi dell’energia non torneranno in tempi brevi sui livelli pre-crisi. L’inflazione è destinata a rallentare, ma l’anno venturo si attesterà ancora attorno al 6 per cento, secondo le ultime previsioni della Banca centrale europea. Bisognerà attendere fino al 2024, per tornare verso il 2 per cento.
Il 2023 sarà un anno difficile. L’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli di base sta rallentando da qualche mese, secondo gli indicatori della FAO, ma restano su livelli storicamente elevati. E i raccolti del prossimo anno, soprattutto nei Paesi meno avanzati, saranno condizionati dall’alto prezzo e dalla carenza di offerta di fertilizzanti.
In Germania, il governo ha varato un programma di sostegni pubblici per un ammontare di 200 miliardi di euro fino al 2024.
In Francia, per tutto il 2023, le piccole e medie imprese riceveranno un aiuto che coprirà, in media, almeno il 20 per cento delle fatture energetiche.
In questo modo, si è creata una situazione di disparità competitiva tra le imprese che mette a rischio il regolare funzionamento del mercato unico.
La sfida della transizione ecologica e digitale non può essere vinta a livello europeo, facendo affidamento sugli aiuti pubblici decisi dagli Stati membri in funzione della propria capacità di spesa.
Le principali istituzioni finanziarie a livello internazionale hanno indicato che il 2023 sarà un anno difficile. La crescita del prodotto interno lordo è destinata a frenare. Continuerà, invece, sia pure a velocità ridotta, il rialzo dei prezzi.
In questo scenario, tutta l’attenzione deve essere rivolta agli interventi in grado di sostenere l’attività economica e la capacità di spesa dei consumatori.
Alle misure per contenere il “caro bollette”, vanno aggiunti provvedimenti a sostegno della liquidità delle imprese. In prima battuta, vanno prorogate le moratorie sui prestiti accordate durante l’emergenza sanitaria e che scadranno alla fine di quest’anno.
Va ricordato che l’anno venturo sulle condizioni di liquidità delle imprese peserà anche la riduzione nell’ordine del 50% dei pagamenti diretti della nuova PAC, mentre i tassi di interesse sono in aumento.
Spinti dal rialzo dei costi energetici, anche il prezzo dei fertilizzanti ha raggiunto livelli senza precedenti. Diciamo chiaramente che la carenza di fertilizzanti può compromettere la qualità e la quantità dei prossimi raccolti.
Il prezzo e la ridotta offerta di fertilizzanti rappresentano un problema di dimensione mondiale. E’ una questione di sicurezza alimentare. Se ne è discusso anche nel corso dell’ultima riunione del G 20 in Indonesia.
In vista dell’imminente riunione del Consiglio europeo, chiediamo al nostro governo di proporre l’acquisto centralizzato di fertilizzanti, al fine di ottenere una riduzione dei prezzi e mettere a disposizione degli agricoltori degli Stati membri quantitativi adeguati alle necessità.
In questa fase, la priorità è rappresentata dal sostegno all’attività economica. Sono già evidenti i segnali di contrazione dei cicli di produzione, mentre l’inflazione sta tagliando i consumi.
Occorre fare di più per la riduzione del cuneo fiscale a vantaggio dei consumatori e delle imprese. Il nostro messaggio è chiaro: risulta indispensabile destinare più risorse alle misure che sono in grado di sostenere la creazione del prodotto interno lordo, da cui dipende anche la tenuta dei conti pubblici e dell’occupazione.
