
(AGENPARL) – ven 18 novembre 2022 Lavoratori autonomi o dipendenti mascherati?Per coprire le carenze di personale medico nelle ASL, è ormai prassi ricorrente rivolgersi a medici con contratto libero professionale, senza però considerare le conseguenze che tale scelta determina. Bisogna, a tal riguardo, precisare alcuni aspetti essenziali. Prima di tutto, i lavoratori autonomi (chiamati comunemente lavoratori a partita IVA) sono di fatto delle ditte individuali senza dipendenti. Come tali dovrebbero prestare l’opera in modo occasionale utilizzando l’attrezzatura propria (art. 21 D. Lgs. 81/08). Tutto ciò è meglio definito dall’art. 2222 del Codice Civile che è richiamato nel predetto art. 21 del D. Lgs. 81/08 e che definisce “lavoratore autonomo occasionale chi si obbliga a compiere, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione, né potere di coordinamento del committente in via del tutto occasionale”.
Questi medici, invece, lavorano in una postazione fissa utilizzando un badge per attestare l’entrata e l’uscita, utilizzano attrezzature aziendali, hanno rapporto di monocommittenza e sovraintendono altri lavoratori.
I colleghi che prestano la loro opera nei reparti e nei servizi sono di fatto, quindi, dei lavoratori dipendenti mascherati. Come tali, ai fini della sicurezza, rientrano nell’art. 2 del D. Lgs. 81/08 che ben definisce la figura del lavoratore come “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione”. Questo fondamentale inquadramento obbliga il Datore di Lavoro alle misure di tutela del lavoratore: informazione, formazione, addestramento, sorveglianza sanitaria ecc. che difficilmente vengono adottate.
Inoltre, il D.P.R. n. 487 del 1994 e successive modifiche e integrazioni prevede, all’art. 2, comma 7, che “le amministrazioni individuano, per ciascun profilo professionale, il titolo di studio richiesto per accedere al concorso, in coerenza con la disciplina vigente in materia di pubblico impiego e di quanto stabilito nella contrattazione collettiva del relativo comparto…” e il D.L. 75 del 2017 e successive modifiche e integrazioni, all’art. 5 bis recita: “E’ fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. I contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilità erariale (…)”. Pertanto, al fine di garantire la copertura dei turni vacanti e assicurare all’utenza l’opera di professionisti qualificati, serve programmare concorsi per assumere a tempo indeterminato personale medico in possesso dei titoli previsti per legge, provvedendo ad adeguare premialità per chi opera in condizioni e/o sedi disagiate. In aggiunta, come anche previsto nell’atto di indirizzo del prossimo CCNL della Dirigenza Sanitaria si potrebbero garantire i turni di guardia, retribuiti a tariffa, con personale aziendale e coinvolgendo in via residuale anche i dirigenti a rapporto non esclusivo, superando così i limiti attuali.
Se il problema risiede nella mancanza dei medici, la prassi di ricorrere a professionisti a chiamata non può essere considerata una valida soluzione per risolvere la situazione di sofferenza della sanità e non deve rappresentare un’alternativa al servizio sanitario pubblico, perché in gioco c’è il rischio di compromettere la qualità delle prestazioni e di penalizzare le performance rese alla comunità.
Dott.ssa Lucilla Boschero, Segretario generale CISL Medici Lazio