
(AGENPARL) – mar 11 ottobre 2022 MATTER
A cura di Riccardo Valeri, Portfolio Manager di Kairos
Oggi “essere green” è molto di moda. Il passaggio a un
tipo di
economia sostenibile
sta diventando quasi un
passaggio obbligato in quanto esiste una forte pressione
da parte della Società che sta diventando sempre più
cosciente di come si sta evolvendo il mondo. Molte imprese
stanno infatti progettando il passaggio a questo tipo di
economia, che necessita un itinerario complesso: non è
dunque sufficiente un semplice adattamento alle strategie
tradizionali, ma si tratta di una completa trasformazione.
Il termine
greenwashing
è una sincrasi di due parole
inglesi
green
(verde, colore simbolo dell’ecologismo) e
washing
(lavare). In italiano viene generalmente tradotto
ecologismo/ambientalismo di facciata
La sua introduzione sembrerebbe risalire all’ambientalista
statunitense Jay Westerveld, che per primo lo utilizzò nel
1986 per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere
che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio
della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo
di asciugamani, nascondendo in realtà una motivazione
legata al risparmio economico derivante dagli elevati costi
di lavanderia.
con l’obiettivo di catturare l’attenzione dei consumatori
attenti alla sostenibilità, che oggi rappresentano una buona
parte del mercato.
GREENWASHING:
passare una mano di verde
Ottobre 2022
L’obiettivo del greenwashing è duplice:
valorizzare la reputazione sostenibile
dell’impresa e ottenere benefici in termini
economici (perché teoricamente aumenta il
bacino di clientela e quindi il fatturato).
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essere cambiare il logo aziendale o fare campagne
pubblicitarie incentrate sulla sostenibilità in un tentativo
di migliorare la propria immagine pubblica. Se un’azienda
venisse premiata per i propri slogan di greenwashing
potrebbe accontentarsi di quel risultato senza impegnarsi
a fare gli investimenti necessari per migliorare il proprio
modello organizzativo e/o produttivo.
Sebbene siano concepite per migliorare la reputazione e
rafforzare la legittimità dell’organizzazione nel contesto
istituzionale, le pratiche di greenwashing, in realtà,
alimentano il rischio reputazionale
, perché sono
finalizzate a costruire un’immagine di sé ingannevolmente
positiva, per poi presentarla all’opinione pubblica. Infatti,
rischio di greenwashing
emerge tipicamente quando
si passa dall’enunciazione dei principi di sostenibilità
all’implementazione delle pratiche socialmente responsabili
e alla successiva comunicazione.
Alcune aziende pensano infatti che basti far finta di
dimostrare un attaccamento all’ambiente e al pianeta per
guadagnare punti in reputazione e immagine aziendale
senza modificare concretamente la loro visione aziendale
e questo perché
intraprendere un vero percorso di
sostenibilità è molto impegnativo e soprattutto costoso
In uno studio presentato da InfluenceMap, si evidenzia
come di 723 fondi analizzati, 593 fondi generici ESG e 130
tematici, il 71% appartenente al primo gruppo e il 55%
del secondo, non siano allineati agli accordi di Parigi sul
clima (Fonte: InfluenceMap; Climate Funds: Are They Paris
Aligned?).
Purtroppo nel mondo, ci sono già stati diversi scandali di
greenwashing
nel risparmio gestito. La maggior parte di
essi legati alle pratiche di vendita illecite dei propri prodotti
finanziari (ad esempio falso in prospetto legati a temi
di sostenibilità). Fino a che non c’è controllo ci possono
essere vantaggi finanziari in termini di maggiori
inflows
ma quando scoppia lo scandalo il risultato ha portato
un danno economico considerevole (e ben superiore
dei profitti fatti dalle pratiche illecite), spesso le
dimissioni dell’amministratore delegato e soprattutto
un danno reputazionale considerevole e difficilmente
recuperabile.
Ecco che diventa particolarmente importante
l’identificazione delle aziende che realmente hanno
incorporato la sostenibilità all’interno della propria
organizzazione, soprattutto per gli investitori ESG. Il rischio,
altrimenti, è quello di finanziare progetti e imprese che non
apportano alcun beneficio per l’ambiente e la società nella
quale operano.
Come risolvere il problema del greenwashing nell’asset
management?
La risposta è univoca: una regolamentazione più chiara.
Dal lato aziendale
, l’Europa ha creato la
Tassonomia UE
uno strumento che ha l’intento di definire univocamente,
nell’ambito dei mercati finanziari, l’attività economica
sostenibile dal punto di vista ambientale (e in futuro anche
sociale). Un sempre maggior numero di aziende sarà tenuto
a dare il proprio resoconto delle attività sostenibili e dei reali
risultati raggiunti attraverso la dichiarazione non finanziaria
delle imprese come ribadito con la direttiva
EU NFRD
Finance Reporting Directive
21 giugno
scorso, il Consiglio dell’UE e il Parlamento
Europeo hanno trovato l’
accordo
in merito alla nuova
proposta di
Corporate Sustainability Reporting Directive
). Entro il 30 giugno 2024 saranno adottati dalla
Commissione Europea i due set operativi di standard
prodotti dello
European Financial Reporting Advisory Group
(EFRAG). Sulla base di tali standard, le aziende interessate
dovranno pubblicare il primo report di sostenibilità dal 2025
se già soggette alla precedente normativa in materia (la
NFRD), dal 2026 se aziende di grandi dimensioni, quotate e
non, e dal 2027 se si tratta di PMI quotate.
6 luglio
scorso, il Parlamento UE in sessione plenaria
ha votato a favore dell’inclusione di gas e nucleare
nella tassonomia
europea delle attività economiche
ecocompatibili definite come
attività di transizione
condizione che soddisfino alcuni criteri tecnici definiti.
Il greenwashing nell’asset management
si riferisce a vendere prodotti finanziari
che dichiarano di avere caratteristiche di
sostenibilità quando invece non ne hanno.
Greenwashing nell’asset management
Il crescente interesse da parte dell’industria del risparmio
gestito ha fatto crescere l’interesse nei prodotti ESG. Per
molti trimestri consecutivi i prodotti ESG hanno registrato
inflows
, contro
outflows
dei prodotti tradizionali. Ad
oggi, investire responsabilmente è quasi obbligatorio.
Scegliere di non integrare i parametri ESG nel processo di
investimento pone in svantaggio rispetto alla concorrenza.
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Dal lato asset management
, i fondi comuni di
investimento dovranno precisare il grado di allineamento
dei propri asset alla Tassonomia, come stabilito
dall’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi
finanziari (
Sustainable Finance Disclosure Regulation
successive modifiche e integrazioni).
31 maggio
scorso, l’ESMA ha pubblicato un documento
di vigilanza per garantire la convergenza in tutta l’Unione
Europea della vigilanza dei fondi di investimento con
caratteristiche di sostenibilità e della lotta al greenwashing
da parte dei fondi di investimento (AIF e OICVM), in
relazione alla documentazione precontrattuale e di
marketing.
25 luglio
scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il
Regolamento Delegato (UE) 2022/1288 che integra l’SFDR
con le nuove norme tecniche di regolamentazione (
Regulatory Technical Standards
). In particolare, gli RTS
specificano:
il contenuto, le metodologie e la presentazione delle
informazioni relative agli indicatori di sostenibilità e agli
effetti negativi per la sostenibilità (
il contenuto e la presentazione delle informazioni relative
alla promozione delle caratteristiche ambientali o sociali e
degli obiettivi di investimento sostenibile nei documenti
precontrattuali, sui siti web e nelle relazioni periodiche.
2 agosto
scorso sono entrate in vigore le modifiche
alla normativa
MiFID II
che impongono agli intermediari
finanziari di raccogliere le
preferenze di sostenibilità
degli
investitori e di integrarle nel processo di valutazione di
adeguatezza dei propri clienti.
Coerentemente con la pubblicazione della MiFID II, la
Direttiva Delegata (UE) 2021/1269, che entrerà in vigore
a novembre 2022, prevede l’integrazione dei fattori di
sostenibilità negli obblighi di governance dei prodotti
finanziari.
Forum per la Finanza Sostenibile
sta finalizzando
paper
sul tema greenwasing, elaborato con alcune
associate, che uscirà nei prossimi mesi tenendo conto di
tutta la regolamentazione esistente sul tema, al fine di dare
linee guida e portare all’attenzione esempi pratici.
Tutto ciò è un buon punto di partenza ma
sicuramente non basta: è fondamentale che
i sistemi di standardizzazione siano chiari e
resi obbligatori il più possibile
(ad esempio
siamo in attesa degli “standard minimi” per essere
categorizzati in art.8 e 9 secondo la SFDR).
Prima di comprare un prodotto o uno strumento finanziario
solo per le sue caratteristiche green è necessario informarsi
accuratamente.