(AGENPARL) – mer 24 agosto 2022 (Roma) Pochi se ne rendono conto e tra questi pressoché nessuno lo dice, ma adesso che il deposito delle liste si è concluso (al netto dei ricorsi) è già possibile sapere il nome e cognome di oltre il 90% degli eletti a Camera e Senato. Eh sì, nessuna sorpresa il 25 settembre, les jeux sont fait già oggi. E questo non è solo frutto dello scandaloso Rosatellum che tutti si son ben guardati dal riformare, ma anche della capacità dei partiti di sfruttare tutte le possibilità della legge per assicurarsi il controllo totale dei gruppi parlamentari e quindi praticamente stabilire in anticipo chi sarà eletto e chi no.
Quel 10% in bilico è infatti legato solo al cosiddetto “gioco dei resti”, che possono più o meno variare tra questo o quel partito, ma – pur considerando logiche discordanze del voto “vero” rispetto ai sondaggi – tutti i posti (anche quelli di riserva) sono già comunque più o meno “blindati” e quelli in bilico assegnati a pluri-candidati, proprio perché non ci siano margini di errore.
La decadenza di un Impero si vede quando l’Imperatore nomina senatore il cavallo o la concubina. E le prossime elezioni ci presentano elenchi di candidati pluridecorati da anni di erosione politica che anziché farsi forza della propria notorietà (se non altro per il decorso del tempo nelle file dei vari partiti) che non hanno il coraggio di sfidare quel grande strumento che sarebbe la democrazia e il voto, se esistesse ancora. Perché -se non ve ne eravate accorti- da noi non c’è più da tempo.
La nostra è una da tempo una “democrazia limitata” ma questo non lo ammette nessuno.
Infatti un ipotetico candidato di valore sarà eletto non in base alle proprie capacità ed esperienza o per i suoi titoli, ma solo e soltanto grazie alla propria posizione di lista e questo spiega anche la drammatica caduta della qualità degli eletti e la loro totale dipendenza dai vertici. L’unica eccezione è per i candidati all’estero.
Difficile quindi pensare che il nuovo Parlamento potrà essere espressione di qualità, ma sarà composto per lo più (con ahimè poche eccezioni) da questuanti che pur di raggiungere l’agognato ruolo hanno venduto se stessi e ogni buon costume, altro che interessi degli italiani. E questi accadimenti e i nomi garantiti all’interno dei partiti (o i transfughi che dopo una vita in uno schieramento si trovano sulla strada di Damasco e si scoprono dell’altra bandiera a tre metri dal seggio) dimostrano, da una parte, la perdita di lucidità e il forte disprezzo per la democrazia rappresentativa, per il Parlamento e per la meritocrazia, e, dall’altra, la spregiudicatezza e la mancanza di qualsiasi barlume di reale autovalutazione e di autocritica da parte di tutti.
Mentre ci sono Uomini e Donne che studiano e lavorano per farsi eleggere in Parlamento, le candidature blindate dimostrano che ciò non occorre e che basti instaurare una relazione con il potente di turno che impone le liste. Una forma di malcostume che con la Politica ha ben poco a che fare; legale, secondo le norme, ma inopportuna.
Mentre un Uomo con i suoi soldi è libero di mantenere economicamente chi vuole, anche per la sua vita intima e sessuale, una riflessione si pone quando quest’Uomo fa gravare il mantenimento sui contribuenti e sulla collettività della propria concubina o dei propri paggetti.
Al povero elettore restano poche scelte, anzi una sola: indicare il partito preferito e stop.
Da quell’unico segno sulla scheda scatterà automaticamente il voto al candidato nel collegio uninominale per la coalizione prescelta (non è possibile il voto disgiunto), ma anche il voto per il listino “proporzionale” (con lista bloccata). Se un elettore vota il solo candidato dell’uninominale, il suo voto è comunque ripartito “pro-quota” tra i partiti che appoggiano il candidato nel collegio e quindi l’elettore automaticamente vota anche per loro (magari maggiormente proprio per il partito che gli piace meno di tutti).
Non solo: per aggirare l’obbligo dell’alternanza di genere, un po’ tutti hanno candidato le stesse persone in più collegi circoscrizionali (fino a 5) garantendosi quindi anche per gli eventuali subentri in caso di doppia elezione, con il ripescaggio preannunciato del successivo candidato in lista, alcune “incastrate” fino alla terza o quarta posizione ad evitare sorprese.
C’è di più. Le circoscrizioni elettorali prevedono (salvo che per le micro-regioni come Molise e Valle d’Aosta, che di candidati ne hanno uno solo e quindi c’è poco da scegliere) dai 4 agli 8 seggi da assegnare, e quindi – soprattutto in quelle minori – si sa già, nella pratica, quali partiti conquisteranno i seggi. Solo i partiti molto piccoli, quelli che sfioreranno il 3% su base nazionale e quindi eleggeranno soltanto un pugno di candidati e tutti con i “resti” possono dubitare oggi dove “usciranno” i loro eletti; ma – per non sbagliare – i leader si sono candidati in più regioni e la matematica spiega che quei seggi saranno più facili da conquistare nelle circoscrizioni più grandi dove, a parità percentuale di voti, il “resto” diventa più elevato e quindi più sicuro.
Morale: nomi e seggi blindati, nessuna preferenza da esprimere, nomi bloccati ed automatici anche nei collegi uninominali, nessun voto disgiunto, in pratica superamento del problema di rispettare la pluralità di genere e schede “di protesta” – come quelle bianche e nulle – che (come sempre) non entrano nel calcolo dei quozienti.
È evidente la volontà del legislatore di permettere un controllo totale degli apparati e dei leader su chi sarà eletto, che quindi dovrà “giurare obbedienza” a chi lo ha candidato, salvo cambiare casacca (come è successo a quasi metà dei parlamentari uscenti) ma – da quel momento in poi – il transfugo dipenderà da un nuovo padrone, senza il quale non troverà posto, salvo nuove riforme elettorali, la prossima volta.
Con pochissime parole nel testo della legge si poteva impedire tutto questo (bastava potersi candidare in una sola posizione) e garantire almeno un baluardo di democrazia. Ma, evidentemente, non interessava a nessuno.
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