
(AGENPARL) – gio 21 luglio 2022 Incuriosita dalla segnalazione di un giovane storico dell’arte napoletano, Giovanni Sannino, ho verificato che nella collezione d’arte del Museo di Houston (Texas) è presente, dal 2019, un marmo funerario che i curatori attribuiscono allo scultore napoletano Annibale Caccavello (1515-1579), allievo di Giovanni di Nola, e datano al 1550-1560. Benché in realtà non vi si possa riconoscere la mano del maestro, offrono un confronto talvolta stringente analoghi coperchi di tombe a cassa raffiguranti nobiluomini in armi del Viceregno di Napoli, tutti semigiacenti sul fianco destro, con il volto e il busto di tre quarti ma le gambe rese di profilo. Il soggetto effigiato sulla lastra ‘di Houston’(cm 176,5 x 72,4; spessore cm 19,1), purtroppo anonimo in mancanza dell’epigrafe con le generalità e dello stemma, ha la mano sinistra sull’elsa della spada e la destra sotto la guancia posata su un cuscino. L’uscita dall’Italia, nel 2015, di un’opera simile lascia stupefatti, perché ad oggi, tra originali di Caccavello, prodotti della sua bottega e di imitatori, i marmi noti di questa tipologia non raggiungono la decina, tutti maschili, e sono documentati esclusivamente in Campania, fra i territori di Napoli e Salerno. Eppure la provenance riportata nella scheda messa on-line dal Museo parla chiaro: l’ufficio esportazione di Milano ha autorizzato il trasferimento in Francia, preludio all’acquisto da parte degli statunitensi. Risalendo la catena dei passaggi di proprietà ma senza l’aiuto della documentazione dell’ufficio milanese, che non ha riscontrato la richiesta di accesso agli atti inviata il 21 maggio né la diffida del 23 giugno, inviata inutilmente anche al Segretario Generale in quanto RPCT, lo sconcerto non può che crescere. Si apprende infatti che l’avv. Janoray ha acquistato la lastra da un antiquario romano al quale la stessa era stata venduta nel 2013 dalla consorte dell’asserito erede del manufatto, Giuseppe Parracciani Ricci Bergamini, mancato ad ottobre 2021. Non sembrerebbe esserci prova, però, che costui o la moglie fossero imparentati con i Lanza di Marcatobianco (baronia del Palermitano) dalla cui cappella proverrebbe il coperchio scolpito. Anzi, come nelle più classiche ‘storie semplici’, non c’è traccia o memoria neppure di una cappella funeraria di quel ramo dei Lanza, peraltro attestato solo dal Settecento ed estinto da circa un secolo. L’origine campana della scultura è pressoché certa, data la somiglianza, per ricordarne uno solo, con il Pedro de Toledo primo castellano del forte di Sant’Elmo; della provenienza siciliana, che essendo un unicum la renderebbe ancora più importante, non sembra invece esserci prova, ma il gentiluomo dormiente e tuttavia ritratto ad occhi aperti, che ci guarda da Houston, pone a Franceschini più di un interrogativo al quale è necessario che il Ministero della cultura, con la collaborazione dei carabinieri del TPC, s’impegni a rispondere. Un altro dato omesso dalla provenance ma registrato dall’antiquario romano all’atto dell’acquisto trova infatti riscontro e apre uno scenario complesso: la collocazione del marmo, prima della vendita (e almeno dagli anni ’90), nella tenuta senese detta La Suvera, già proprietà di Luchino Visconti, acquistata dai coniugi Bergamini nel 1974 per trasformare il castello e le pertinenze in un albergo di lusso. Il declino delle fortune della società che gestiva il compendio, diventato irreversibile nel secondo decennio degli anni Duemila, ha fatto sì che le numerose opere d’arte di provenienza disparata che arredavano il castello fossero vendute in giro per l’Europa. Ciò non toglie che l’attestato di libera circolazione rilasciato il 2 gennaio 2015 dall’ufficio esportazione di Milano, allora diretto da Emanuela Daffra, alla ditta di trasporti incaricata dall’antiquario meneghino che ha dato supporto amministrativo al Janoray per trasferire il presunto marmo di Caccavello in Francia, documenti un caso di errata valutazione dell’interesse culturale del manufatto, negata immotivatamente, e s’imponga, perciò, da parte del Ministero della cultura, un provvedimento di annullamento in autotutela dell’atto.
Margherita Corrado (Senato – Gruppo Cal – Commissioni Cultura e Antimafia)