
(AGENPARL) – gio 02 giugno 2022 Buongiorno a tutti i presenti,
da oltre tre mesi ormai, ossia da quando è cominciata la guerra in Ucraina, mi è veramente difficile considerare un giorno –anche un giorno come quello di oggi– come un giorno di festa. E credo di non essere il solo a incontrare questa difficoltà. Mi chiedo: come posso io, come possiamo noi vivere una festa, e oggi è la festa della nostra Repubblica, quando ogni giorno si allunga la conta dei morti e non si intravedono possibilità reali di arrivare alla Pace. Anzi, quando, addirittura, con un’insistenza sempre maggiore si parla della prospettiva di terza guerra mondiale. La guerra in corso è un argomento da cui non si può e non si deve sfuggire se vogliamo veramente celebrare la nostra Repubblica; alla guerra abbiamo fatto riferimento poco più di un mese fa, quando abbiamo celebrato il 77esimo anniversario della Liberazione. L’abbiamo celebrato all’indomani della grande marcia della Pace Perugia-Assisi, ricordando quello che era l’appello lanciato dalla manifestazione: “Fermatevi! La guerra è una follia”. Purtroppo questa follia non si è ancora fermata e non sembra avere alcuna intenzione di fermarsi. Quindi non devono fermarsi nemmeno i tentativi perché questa follia finisca. Non dobbiamo arrenderci, anche se la situazione, a oggi, non sembra avere vie d’uscita. E i motivi per non arrendersi sono quei valori che oggi celebriamo in una giornata che vorremmo fosse di festa, ma di festa vera, cioè di festa per tutti; quei valori fondamentali della nostra Costituzione che hanno risollevato un Paese che usciva a pezzi da una Guerra disastrosa e da un ventennio di dittatura fascista. Quei valori di cui oggi, in una situazione di conflitto che non ci saremmo certo immaginati in Europa fino a poco tempo fa, abbiamo più che mai bisogno e che dobbiamo ribadire con forza. Perché –e questo deve essere chiaro- quei valori non possono essere messi in discussione, a partire da quello che oggi è il più calpestato e disatteso, e che è espresso dall’articolo 11: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Pensavamo di fare retorica quando, fino a qualche mese fa, citavamo questo articolo perché nell’Europa occidentale, dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, la guerra sembrava un’eventualità remota, altamente improbabile e puramente teorica. Infatti l’Europa, una collocazione politica in cui l’Italia ha creduto da subito, per settant’anni è rimasta indenne da questo pericolo. L’Europa ha imparato la lezione della storia; quell’Europa che ha visto per secoli combattere fra loro i suoi popoli e che ha rischiato la distruzione con i due conflitti mondiali che sono scoppiati proprio sul suo territorio. L’Europa che ha saputo cambiare la sua pelle passando da entità puramente geografica, in cui ogni Stato faceva per sé e frequentemente si scontrava con gli altri, a costruzione comune che è cresciuta lentamente e non senza difficoltà e tentennamenti ma che, messa alla prova di fronte a un nemico comune, la pandemia, ha saputo unirsi, mettere da parte divisioni tradizionali che sembravano insuperabili per andare in una stessa direzione e risollevarsi. Anche questa guerra è un banco di prova per l’Europa e la risposta che l’Unione sta dando non è quella che avrebbe dato qualche anno fa, prima dello shock provocato dal covid 19. L’Unione è più forte e matura adesso e l’Italia è più convintamente nell’Unione oggi di quanto lo fosse prima della pandemia. E questo perché con la pandemia ha vinto uno spirito di solidarietà fra gli Stati prima sconosciuto: abbiamo imparato che dalle difficoltà si esce soltanto se si sta insieme. Questo non significa snaturarsi; significa, piuttosto, non pensare soltanto a se stessi. Significa, usando una formula che mi è molto cara, mettere il noi prima dell’io. Ed è esattamente questo lo spirito che ha animato i nostri padri costituenti. Il lavoro, lungo e paziente, che ha portato alla nostra carta costituzionale non aveva affatto un risultato scontato. A unire le forze politiche che l’hanno scritta c’erano –è vero- l’opposizione al fascismo e l’ispirazione democratica, ma le differenze fra loro erano e restavano grandi e significative. Sono stati il desiderio e la capacità di fare politica a produrre quella che, a ragione, è considerata fra le più belle, se non la più bella Costituzione al mondo. Ognuna delle forze politiche presenti nella Costituente ha saputo fare dei passi indietro, quando necessario, perché fosse l’interesse comune a prevalere. Ed è questo che manca oggi quando si è in presenza di scontri, a ogni livello e grado di gravità: l’incapacità di ascoltare e recepire quello che dicono gli altri e l’affermazione esclusiva delle proprie ragioni. Oggi, 2 giugno, si celebra il risultato di un referendum sulla forma di Stato che l’Italia, uscita dalla guerra, voleva per sé. È stata quindi una possibilità di scelta, dopo un ventennio di dittatura, e di democrazia, perché per la prima volta in quell’occasione molte donne poterono votare e si realizzò, nei fatti, il suffragio universale. Si affermava così un principio che la nostra Costituzione avrebbe formulato in modo più compiuto due anni dopo all’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Questi sono i valori su cui si fonda la nostra Repubblica e che sono alla base della casa europea in cui l’Italia ha deciso di stare. Sono valori irrinunciabili e che non si possono negoziare. Sono i valori che esprimono la nostra idea di eguaglianza e giustizia di tutte le persone, presupposto per realizzare una società che dia a tutti le possibilità di un “pieno sviluppo della persona umana” e di un’”effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Sono valori che non verranno mai meno, perché la partecipazione di cui spesso oggi parliamo noi amministratori locali in termini di traguardo cui puntare era già un obiettivo dichiarato poco meno di ottant’anni fa. Del resto è cosa risaputa che i valori non tramontano e non invecchiano: siamo piuttosto noi, in ogni situazione e in ogni momento della storia, a non doverli tradire per non tradire la nostra umanità.
Buon 2 giugno a tutti e viva la Repubblica.
