
(AGENPARL) – gio 12 maggio 2022 Lussemburgo, 12 maggio 2022
Sentenza nella causa C-377/20
Servizio Elettrico Nazionale e a.
La Corte precisa i criteri per qualificare come abusiva una posizione dominante in
materia di pratiche escludenti, sulla base degli effetti anticoncorrenziali del
comportamento di un operatore storico nel contesto della liberalizzazione del
mercato elettrico
La causa si inserisce nel contesto della progressiva liberalizzazione del mercato della vendita di
energia elettrica in Italia.
Sebbene, dal 1° luglio 2007, tutti gli utenti della rete elettrica italiana, comprese le famiglie e le
piccole e medie imprese (PMI), possano scegliere il loro fornitore, in un primo momento, è stata
effettuata una distinzione tra clienti ammessi a scegliere un fornitore su un mercato libero e clienti
del mercato tutelato, composti dai clienti domestici e dalle piccole imprese, i quali continuavano a
essere soggetti a un regime regolato, ossia il «servizio di maggior tutela», che comportava, in
particolare, speciali tutele in materia di prezzi. Solo in un secondo momento questi ultimi sono stati
ammessi al mercato libero.
Ai fini di tale liberalizzazione del mercato, l’ENEL, un’impresa fino ad allora verticalmente integrata,
monopolista della produzione di energia elettrica in Italia e operante nella distribuzione di
quest’ultima, è stata sottoposta a una procedura di separazione delle attività di distribuzione e di
vendita, nonché dei marchi (unbundling). Al termine di tale procedura, le varie fasi del processo di
distribuzione sono state attribuite a società figlie distinte. Così, alla E-Distribuzione è stato affidato
il servizio di distribuzione, la Enel Energia è stata incaricata della fornitura di elettricità nel mercato
libero e al Servizio Elettrico Nazionale (SEN) è stata attribuita la gestione del servizio di maggior
tutela.
Al termine di un’istruttoria condotta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM),
nella sua qualità di autorità nazionale garante della concorrenza, la medesima ha adottato, il 20
dicembre 2018, una decisione con la quale ha constatato che il SEN e la Enel Energia, con il
coordinamento della loro società madre ENEL, avevano posto in essere, dal gennaio 2012 e fino al
maggio 2017, un abuso di posizione dominante, in violazione dell’articolo 102 TFUE, e, di
conseguenza, ha inflitto loro, in solido, una sanzione pecuniaria pari a oltre 93 milioni di euro. La
condotta contestata è consistita nell’attuazione di una strategia escludente volta a trasferire la
clientela del SEN, in quanto gestore storico del mercato tutelato, alla Enel Energia, la quale opera
sul mercato libero, al fine di scongiurare il rischio di un passaggio in massa dei clienti del SEN
verso nuovi fornitori al momento della successiva apertura del mercato in questione alla
concorrenza. A tale scopo, secondo la decisione dell’AGCM, i clienti del mercato tutelato
sarebbero stati in particolare invitati dal SEN a prestare il loro consenso a ricevere offerte
commerciali relative al mercato libero, con modalità discriminatorie per le offerte dei concorrenti del
gruppo ENEL.
L’importo della sanzione pecuniaria è stato ridotto alla somma di EUR 27,5 milioni circa in
esecuzione delle decisioni giurisdizionali pronunciate in primo grado nell’ambito di ricorsi presentati
dall’ENEL e dalle sue due società figlie contro la decisione dell’AGCM. Adito in appello da queste
stesse società, il Consiglio di Stato (Italia) ha sottoposto alla Corte questioni pregiudiziali
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relative all’interpretazione e all’applicazione dell’articolo 102 TFUE in materia di pratiche
escludenti.
Con la sua sentenza, la Corte fornisce precisazioni sulle condizioni in cui il comportamento
di un’impresa può essere considerato, sulla base dei suoi effetti anticoncorrenziali,
costitutivo di un abuso di posizione dominante, qualora un simile comportamento si basi
sullo sfruttamento di risorse o di mezzi propri di una tale posizione nel contesto della
liberalizzazione di un mercato. In tale occasione, la Corte delimita i criteri di valutazione rilevanti e
la portata dell’onere della prova gravante sull’autorità nazionale garante della concorrenza che ha
adottato una decisione sulla base dell’articolo 102 TFUE.
Giudizio della Corte
Rispondendo alle questioni relative all’interesse tutelato dall’articolo 102 TFUE, la Corte precisa,
in primo luogo, gli elementi idonei a caratterizzare lo sfruttamento abusivo di una posizione
dominante. A tal fine, essa osserva, da un lato, che il benessere dei consumatori, sia intermedi
sia finali, deve essere considerato l’obiettivo ultimo che giustifica l’intervento del diritto della
concorrenza per reprimere lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato interno
o su una parte sostanziale del medesimo. Tuttavia, un’autorità garante della concorrenza assolve
l’onere della prova a suo carico se dimostra che una pratica di un’impresa in posizione dominante
è idonea a pregiudicare, ricorrendo a risorse o a mezzi diversi da quelli su cui si impernia una
concorrenza normale, una struttura di effettiva concorrenza, senza che sia necessario che la
medesima dimostri che detta pratica ha, in aggiunta, la capacità di arrecare un danno diretto ai
consumatori. L’impresa dominante in questione può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all’articolo
102 TFUE dimostrando che l’effetto escludente che può derivare dalla pratica di cui trattasi è
controbilanciato, se non superato, da effetti positivi per i consumatori.
Dall’altro lato, la Corte ricorda che il carattere abusivo di un comportamento di un’impresa in
posizione dominante può essere constatato solo a condizione di aver dimostrato la sua capacità di
restringere la concorrenza e, nel caso di specie, di produrre gli effetti escludenti addebitati. Tale
qualificazione non impone invece di dimostrare che il risultato atteso di un simile comportamento
diretto a escludere i propri concorrenti dal mercato in questione sia stato raggiunto. Ciò premesso,
la prova addotta da un’impresa in posizione dominante dell’assenza di effetti escludenti concreti
non può essere considerata sufficiente, di per sé, a escludere l’applicazione dell’articolo
102 TFUE. Tale elemento può tuttavia costituire un indizio dell’incapacità del comportamento in
questione di produrre gli effetti escludenti dedotti, purché sia corroborato da altri elementi di prova
volti a dimostrare tale incapacità.
In secondo luogo, quanto ai dubbi del giudice del rinvio relativamente alla questione se occorra
tener conto di un eventuale intento dell’impresa di cui trattasi, la Corte ricorda che l’esistenza di
una pratica escludente abusiva da parte di un’impresa in posizione dominante dev’essere valutata
sulla base della capacità di tale pratica di produrre effetti anticoncorrenziali. Ne consegue che
un’autorità garante della concorrenza non è tenuta a dimostrare l’intento dell’impresa in questione
di escludere i propri concorrenti ricorrendo a mezzi o risorse diversi da quelli su cui si impernia una
concorrenza basata sui meriti. La Corte precisa tuttavia che la prova di un simile intento costituisce
nondimeno una circostanza di fatto che può essere presa in considerazione ai fini della
determinazione di un abuso di posizione dominante.
In terzo luogo, la Corte fornisce gli elementi di interpretazione richiesti dal giudice del rinvio per
l’applicazione dell’articolo 102 TFUE al fine di distinguere, tra le pratiche attuate da un’impresa in
posizione dominante che si basano sullo sfruttamento lecito al di fuori del diritto della concorrenza
di risorse o mezzi propri di una tale posizione, quelle che potrebbero sottrarsi al divieto posto da
tale articolo, in quanto sarebbero proprie di una concorrenza normale, e quelle che, al contrario,
dovrebbero essere considerate «abusive» ai sensi di tale disposizione.
A tale riguardo, la Corte ricorda, anzitutto, che il carattere abusivo di tali pratiche presuppone che
esse abbiano avuto la capacità di produrre gli effetti escludenti descritti nella decisione impugnata.
Le imprese in posizione dominante, indipendentemente dalle cause di una tale posizione, possono
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senz’altro difendersi dai loro concorrenti, ma devono farlo ricorrendo ai soli mezzi propri di una
concorrenza «normale», vale a dire basata sui meriti. Orbene, una pratica che non può essere
adottata da un ipotetico concorrente altrettanto efficiente sul mercato in questione, in quanto essa
si basa sullo sfruttamento di risorse o mezzi propri di una posizione dominante, non può essere
considerata propria di una concorrenza basata sui meriti. Ciò posto, quando perde il monopolio
legale che prima deteneva su un mercato, un’impresa deve astenersi, durante tutta la fase di
liberalizzazione di tale mercato, dal ricorrere ai mezzi di cui disponeva in forza del suo precedente
monopolio e che, a tal titolo, non sono disponibili ai suoi concorrenti, al fine di conservare, con
modalità che esulano dai suoi stessi meriti, una posizione dominante sul mercato in questione
recentemente liberalizzato.
Ciò detto, una simile pratica può nondimeno sottrarsi al divieto di cui all’articolo 102 TFUE se
l’impresa in posizione dominante in questione dimostra che essa era obiettivamente giustificata da
circostanze esterne all’impresa e proporzionata a tale giustificazione oppure controbilanciata, se
non superata, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori.
In quarto luogo, invitata dal giudice nazionale a precisare le condizioni che consentono di imputare
la responsabilità del comportamento di una società figlia alla società madre, la Corte dichiara che,
quando una posizione dominante è sfruttata in modo abusivo da una o più società figlie
appartenenti a un’unità economica, l’esistenza di tale unità è sufficiente per ritenere che la società
madre sia anch’essa responsabile di tale abuso. L’esistenza di una simile unità deve essere
presunta qualora, all’epoca dei fatti, almeno la quasi totalità del capitale di tali società figlie fosse
detenuta, direttamente o indirettamente, dalla società madre. A fronte di simili circostanze,
l’autorità garante della concorrenza non è tenuta a fornire alcuna prova aggiuntiva, a meno che la
società madre non dimostri che, nonostante la detenzione di una tale percentuale del capitale
sociale, essa non aveva il potere di definire i comportamenti delle società figlie, le quali agivano
autonomamente.
IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia
della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla
validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale
risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri
giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
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Il testo integrale della sentenza è pubblicato sul sito CURIA il giorno della pronuncia
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