
Capizzano, Presidente OPI Lucca: “in momenti come questi la cultura della pace deve prevalere sulla cultura della violenza”
(AGENPARL) Lucca, 11 marzo – “L’OMS denuncia che gli operatori sanitari sono ad alto rischio di violenza a livello globale e, di questi, dall’8% al 38% nel corso della propria carriera subiranno violenze fisiche. Molti altri, poi, sono minacciati o esposti all’aggressione verbale e allo stigma sociale. Nella crisi dovuta al COVID-19, la carenza di personale e le crescenti tensioni sociali hanno incrementato il livello di violenza contro gli operatori sanitari e gli attacchi contro le strutture e i mezzi di soccorso. Per questo l’organismo internazionale sollecita e invita tutti i governi, i datori di lavoro e le organizzazioni dei lavoratori ad adottare ferme misure di tolleranza zero nei confronti della violenza contro gli operatori sanitari sul posto di lavoro e ad intensificare le azioni di sostegno sociale.” Ad affermarlo è la Dott.ssa Guadalupe Capizzano, Presidente dell’OPI Lucca, in occasione della Conferenza stampa indetta dall’Ordiene dei medici di Lucca.
Gli operatori dei servizi sanitari – dichiara Capizzano – presentano un rischio significativo di subire atti di violenza durante la propria attività lavorativa. Si tratta di un fenomeno così rilevante che già nel 2007 il Ministero della Salute ha emanato una specifica raccomandazione sull’argomento e ha inserito gli “atti di violenza a danno di operatore” fra gli Eventi Sentinella (ES) che devono essere segnalati attraverso il flusso SIMES. Ogni anno circa 5mila infermieri subiscono violenze fisiche o verbali: circa 13-14 al giorno. L’89,6% degli infermieri – in prima linea ad esempio nel triage ospedaliero che “accoglie” i pazienti e li smista nella struttura con tempi spesso lunghi non dovuti però alla professionalità dell’operatore, ma all’organizzazione – è stato vittima, secondo una ricerca condotta dall’Università di Tor Vergata di Roma, di violenza fisica/verbale/telefonica o di molestie sessuali da parte dell’utenza sui luoghi di lavoro. In base ai dati rilevati si può dire che praticamente circa 240mila infermieri su 270mila dipendenti durante la loro vita lavorativa hanno subito una qualche forma di violenza, sia pure solo una aggressione verbale. Di tutte le aggressioni (secondo l’Inail) il 46% sono a infermieri e il 6% a medici (gli infermieri sono i primi a intercettare i malati al triage, a domicilio ecc. e quindi quelli più soggetti). La Federazione Nazionale Ordine delle Professioni Infermieristiche, prosegue la Presidente di OPI Lucca, si è già più volte espressa e ha preso posizione sul tema della violenza sugli operatori, anche a supporto delle numerose denunce e delle iniziative via via prese dagli Ordini provinciali ed è disponibile a dare supporto, collaborare e operare con le altre istituzioni per definire percorsi di prevenzione efficace.
Dati americani segnalano che, fra il 2011 e il 2013, circa il 70% delle aggressioni sul posto di lavoro si è verificata in servizi sanitari o sociali e che il 10% degli operatori del settore sanitario ha subito aggressioni con conseguenze che hanno comportato assenze dal lavoro, rispetto al 3% di tutti gli altri operatori del settore privato. I dati forniti dal Ministero della Salute nel quinto rapporto sul “Protocollo di Monitoraggio degli eventi sentinella” indicano che nel periodo che va dal 2005 al 2012 sono stati segnalati 165 “atti di violenza a danno di operatore” su tutto il territorio nazionale, pari a circa il 9% del totale delle segnalazioni. Purtroppo le caratteristiche del flusso e della elaborazione dei dati non consentono valutazioni più approfondite del fenomeno. Un altro motivo che rende difficile una corretta quantificazione del fenomeno è poi legato alla scarsa propensione a segnalare e denunciare gli episodi di violenza da parte degli operatori che li subiscono. I motivi di questa difficoltà sono in parte intrinseci a tutti i sistemi di reporting, che sono su base volontaria, ma probabilmente riconoscono anche fattori di tipo sociale e culturale che possono condurre, in molti casi, gli operatori a considerare la violenza subita come una componente “normale” del proprio lavoro. Relativamente alle figure professionali e ai setting assistenziali maggiormente interessati dal fenomeno sembra esservi una maggiore uniformità dei dati di letteratura. Qualsiasi operatore sanitario può essere vittima di violenza, tuttavia le figure più a rischio sono rappresentate da infermieri, operatori sociosanitari e medici. Si tratta di figure che, oltre ad essere a contatto diretto con il paziente, sono chiamate a gestire rapporti caratterizzati da una condizione di forte emotività da parte di soggetti che vivono uno stato di vulnerabilità e frustrazione. Il dolore, prognosi infauste, ambienti non familiari, alterazioni mentali e dell’umore legate a farmaci e alla progressione della malattia possono essere all’origine di comportamenti agitati e violenti. Le evidenze disponibili sembrano indicare che il fenomeno degli atti di violenza a danno degli operatori sia maggiormente rilevante nei seguenti setting lavorativi:
1. Servizi di emergenza-urgenza;
2. Strutture psichiatriche ospedaliere e territoriali;
3. Luoghi di attesa;
4. Servizi di geriatria;
5. Continuità assistenziale.
Numerosi sono i fattori responsabili di atti di violenza diretti contro gli operatori delle strutture sanitarie. Sebbene qualunque operatore sanitario possa essere vittima di violenza, i medici, gli infermieri e gli operatori socio sanitari sono a rischio più alto in quanto sono a contatto diretto con il paziente e devono gestire rapporti caratterizzati da una condizione di forte emotività sia da parte del paziente stesso che dei familiari, che si trovano in uno stato di vulnerabilità, frustrazione o perdita di controllo, specialmente se sotto l’effetto di alcol o droga.
Concorrono all’incremento degli atti di violenza:
• l’aumento di pazienti con disturbi psichiatrici acuti e cronici dimessi dalle strutture ospedaliere e residenziali;
• la diffusione dell’abuso di alcol e droga;
• l’accesso senza restrizione di visitatori presso ospedali e strutture ambulatoriali;
• lunghe attese nelle zone di emergenza o nelle aree cliniche, con possibilità di favorire nei pazienti o accompagnatori uno stato di frustrazione per l’impossibilità di ottenere subito l e prestazioni richieste;
• ridotto numero di personale durante alcuni momenti di maggiore attività (trasporto pazienti, visite, esami diagnostici);
• presenza di un solo operatore a contatto con il paziente durante visite, esami, trattamenti o gestione dell’assistenza in luoghi dislocati sul territorio ed isolati, quali i presidi territoriali di emergenza o continuità assistenziale, in assenza di telefono o di altri mezzi di segnalazione e allarme;
• mancanza di formazione del personale nel riconoscimento e controllo dei comportamenti ostili e aggressivi;
• scarsa illuminazione delle aree di parcheggio e delle strutture. I fattori di rischio variano da struttura a struttura, dipendendo da tipologia di utenza, di servizi erogati, ubicazione, dimensione.
Il comportamento violento avviene spesso secondo una progressione che, partendo dall’uso di espressioni verbali aggressive, arriva fino a gesti estremi quali l’omicidio. La conoscenza di tale progressione può consentire al personale di comprendere quanto accade ed interrompere il corso degli eventi. “Dei 4.000 casi di violenza sul luogo di lavoro registrati in un anno in Italia, ricorda Capizzano, più di 1200 riguardano operatori della sanità: all’interno di questo 30%, il 70% è contro professioniste donne, soprattutto medici della guardia medica. Sono questi i dati portati dalla Fnomceo – e confermati dal Ministero della Salute – all’attenzione dell’Osservatorio.La legge 113/2020 del 14 Agosto 2020, sulla sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni è entrata in vigore ma, oggettivamente, i suoi effetti concreti ancora lontano si intravedono.
“L’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Lucca, conclude la Presidente Capizzano, ha voluto dare il suo contributo nell’educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio sanitari mediante l’afflizione dell’Opuscolo Informativo “Rispetta a chi ti aiuta. No alla violenza contro gli operatori sanitari” presente nei Pronto Soccorsi dell’Azienda Nordovest Toscana che sta a evidenziare la necessità di educare il cittadino a corretti modelli comportamentali nei confronti degli operatori sanitari, degli infermieri che ogni giorno svolgono la professione con dedizione, competenza ed umanità attraverso l’aiuto attento e constante di chi cerca una risposta ai propri problemi di salute. L’Ordine tutela il cittadino così come in primis il professionista Infermiere; dove ogni episodio di violenza contro di essi evidenza un ulteriore dolore per la professione, per il professionista che non vede in essi la ragione del gesto, perché la violenza non crea benefici bensì ulteriori danni alla persona. Ancora la strada da percorrere è lunga, ma l’obiettivo è così importante che ad ogni gesto di cura deve corrispondere un gesto di gratitudine contro ogni forma di violenza. In momenti come oggi, la cultura della pace deve prevalere sulla cultura della violenza. Per la gratitudine per ogni cura ricevuta; il Consiglio Direttivo dell’OPI ringrazia tutti i professionisti infermieri per il lavoro svolto ogni giorno con professionalità, competenza ed umanità e esprime la loro vicinanza a chi in tutti questi anni ha dovuto affrontare episodi così tristi che ledono la dignità della persona e della professione.”