
(AGENPARL) – Roma, venerdì 21 Maggio 2021 – Riguardo alla tutela del diritto alla salute previsto dall’ articolo 32 della Costituzione il nostro legislatore afferma che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, intendeva in origine proteggere il cittadino da trattamenti sanitari obbligatori e arbitrari. Nel corso degli ultimi anni questa norma ha assunto però un valore diverso. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 786/1973, ha riconosciuto che l’articolo 32 sancisce il diritto alla salute come un diritto soggettivo, ossia un “diritto assoluto e di rango primario per la persona umana”, mettendo così al centro degli interventi l’individuo.
Diritto alla salute soggettivo e collettività.
Non bisogna dimenticare che al diritto soggettivo primario si contrappone al diritto della collettività; il nostro ordinamento non permette che il diritto individuale alla salute sia prevalente rispetto agli interessi del resto della popolazione, ma nemmeno che si comprometta la salute di un individuo per il benessere della collettività;
Seguendo i criteri della ragionevolezza e della proporzionalità, è possibile riuscire a trovare una soluzione che consenta di tutelare un “soggetto privilegiato” rappresentato dalla collettività, senza che il singolo venga del tutto privato dei suoi diritti. E’ l’importanza “collettiva” della salute giustifica trattamenti sanitari obbligatori, soltanto nei casi strettamente previsti dalla legge. Alla luce degli ultimi fatti di attualità degli svariati casi portati dai media alla pubblica conoscenza, in seguito alle numerose polemiche e ricorsi in Tribunale che ne sono seguiti si dovrebbe chiarire che cosa intende il legislatore per Trattamento sanitario obbligatorio ed il limite lecito di attuazione?
Con l’acronimo TSO ovvero Trattamento Sanitario Obbligatorio si intende descrivere una serie di interventi sanitari che dovrebbero essere consentiti in casi ben specificati.
Il TSO è disposto secondo la legge, con provvedimento del Sindaco del Comune di residenza della persona o dove la medesima si trovi temporaneamente. Il sindaco rappresenta la massima autorità sanitaria del Comune la sua decisione si basa sul parere di due medici (dei quali almeno uno dei due appartenenti alla Asl di competenza territoriale) che hanno l’obbligo di motivare la proposta.
Fino al 1958 la salute e la cura di essa, erano nelle mani del ministero dell’interno. ed era materia di ordine pubblico della quale dovevano occuparsi polizia e carabinieri. L’origine della legge sui trattamenti sanitari obbligatori, risale al 1978 quando Franco Basaglia, medico psichiatra Veneziano, si impegnò a promuovere la legge n.180 la quale sostituì il vecchio ordinamento degli ospedali psichiatrici, abrogando di fatto la legge n.36/1904 oramai obsoleta. La legge 180 durò solo pochi mesi, i suoi articoli furono inclusi nella nuova riforma sanitaria della legge n.833 (art. 33-35) dello stesso anno, l’innovazione fu talmente eclatante che ancora oggi quando si parla di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) si fa riferimento alla c.d. legge Basaglia.
A differenza di quanto si possa credere, i TSO non sono rivolti soltanto nei confronti di chi soffre di patologie psichiatriche; ma possono essere disposti dall’autorità preposta, per qualsiasi causa sanitaria; un esempio attuale nel caso di malattie infettive dove un rifiuto al trattamento potrebbe in teoria rappresentare una minaccia per la salute pubblica.
Il sindaco decide l’applicazione o meno dei TSO attraverso l’emanazione di un’ordinanza, che può essere disposta però solo se sussistono tre condizioni contemporaneamente:
a) Necessità e urgenza non differibile
b) Intervento dei sanitari viene rifiutato dal soggetto,
c) Impossibilità di adottare tempestive misure extra-ospedaliere.
Se manca una delle tre condizioni e ne sussistano solo le prime due, il trattamento sanitario può essere eseguito al di fuori del servizio ospedaliero tipo il domicilio del paziente, previa attivazione di visite domiciliari; in alternativa al ricovero in un nosocomio quindi, il sindaco può optare per il TSO extra-ospedaliero, il cui scopo è quello di incidere meno negativamente sulla vita e sulla psiche del paziente. Il trasporto del paziente in struttura ospedaliera, nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (Spdc), deve essere operato dal servizio di emergenza extra-ospedaliero in collaborazione con l’organo di polizia locale del comune di riferimento. Al provvedimento del sindaco deve seguire una convalida da parte del giudice tutelare di competenza che, attraverso il messo comunale, riceverà gli atti entro 48 ore dalla loro emanazione. Il TSO deve essere considerato come un’eventualità del tutto eccezionale, attivabile solo dopo che tutti i tentativi di ottenere un consenso del paziente siano falliti e di durata limitata nel tempo (massimo sette giorni rinnovabili, qualora sussistano ancora le condizioni, su richiesta di uno psichiatra).
Il TSO, come sancito dall’articolo 32 della Costituzione, deve svolgersi nel rispetto della dignità della persona e può essere trasformato, in qualunque momento, in ricovero volontario su richiesta
del paziente stesso. Il TSO, come sancito dall’articolo 32 della Costituzione, deve svolgersi nel rispetto della dignità della persona
Un trattamento sanitario obbligatorio per essere costituzionalmente legittimo deve essere previsto da una legge (riserva di legge), deve essere determinato (non sono ammissibili trattamenti sanitari obbligatori che non siano previsti in modo sufficientemente preciso dalla legge), non deve essere pregiudizievole per la salute del soggetto che vi è sottoposto, deve avere come finalità la tutela dell’interesse della collettività alla salute (non di qualsiasi altro interesse collettivo), la legge impone di osservare il limite del rispetto della persona umana; nel caso dei trattamenti sanitari obbligatori che prevedano il ricorso a misure coercitive di assoggettamento dell’obbligato al trattamento, si è posto in dottrina il problema se per tali trattamenti, nei quali il fine della coercizione è di tipo sanitario, debba trovare applicazione esclusivamente l’articolo 32 oppure, ed anche l’articolo 13 della Costituzione, in materia di libertà personale.
Nella sentenza n. 74 del 1968 la Corte afferma che «non v’è dubbio che il provvedimento di ricovero coattivo di un soggetto sospettato di malattie mentali si inquadra tra quelli restrittivi della libertà personale; ma, per tali provvedimenti, lo stesso art 13 della Costituzione prescrive che venga redatto un atto motivato dell’autorità giudiziaria e la determinazione legislativa.
Nella sentenza n. 160 del 1982, il «ricovero ospedaliero coattivo» viene ritenuto dalla Corte come «misura chiaramente limitativa della libertà personale comunque intesa, parlando l’art. 13, secondo comma, Cost., oltreché di “detenzione, ispezione o perquisizione personale”, di “qualsiasi altra restrizione della libertà personale”» Il diritto prevede diverse tipologie di trattamento sanitario obbligatorio, ma gli unici grandi corpi normativi oggi attuati prevalentemente sono nei confronti di soggetti affetti da patologie mentali.
Riguardo a cosa si debba intendere per “salute”, come tutela di cui all’articolo 32 della Costituzione non si intende la semplice assenza di malattia o una condizione di integrità. meramente fisica (assenza di lesioni nel fisico), ma una complessiva situazione di integrità psico-fisica o, benessere complessivo derivante dall’equilibrio tra soma e psiche, si potrebbe dire un “pieno benessere psico-fisico” (così Corte cost., sentenza n. 221/2015).
L’ordinamento giuridico italiano con il decreto legislativo Capo provvisorio Stato n. 1068 del 4 marzo 1947 (“Approvazione del protocollo concernente la costituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità stipulato a New York il 22.7.1946”), ha formalmente recepito l’ articolo 1 che dispone la: «Piena ed intera esecuzione è data al Protocollo relativo alla costituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità, stipulato a New York il 22 luglio 1946»; peraltro il decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 (“Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”) la definizione di salute all’articolo 2, lettera è la seguente definizione: «“salute”: stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità». Se la salute è il “completo benessere fisico e psichico” e non la semplice assenza di malattia; alla luce di tali norme, ci si chiede chi è che decide il limite del rispetto della legge, quale sia la prevalenza fra diritto alla salute pubblica e limitazione della libertà personale di un cittadino, e qual è il confine fra la giusta decisione e l’abuso di potere?
C’è complessità nell’attuazione del procedimento per l’avvio di un Trattamento sanitario obbligatorio, per questo motivo sono state sollevate svariate perplessità sia da parte dagli addetti ai lavori sia durante dibattiti politici. In particolare è stata sottolineata l’eccessiva macchinosità, nonché la concentrazione di troppo potere decisionale nelle mani delle autorità amministrative piuttosto che in quelle dei sanitari, definendolo il TSO come un dispositivo amministrativo e non medico. I numerosi oneri burocratici imposti attraverso la legge, riflettono in realtà la preoccupazione del legislatore di evitare un ricorso al TSO in modo sproporzionato, in contrasto con i principi costituzionali i quali difendono la dignità del paziente.
Libera manifestazione di pensiero e dissenso patologico qual è il limite?
Accade quando con la scusa di prevenire un reato si reprime il libero pensiero ed il dissenso. Quando l’ obiettivo è quello di rieducare il soggetto e di riportarlo dentro modelli sociali “più accettabili”, quando si mira ad addomesticare la persona dissenziente, avvalendosi di un indeterminato insieme di obblighi, diretti ad annichilirne la volontà per azzerarne la capacità di critica, facendogli accettare passivamente, lo stato delle cose con la costante minaccia di una pena pena più grave. La repressione della diversità pensiero ed il dissenso vengono considerate patologiche e rappresentano un pericoloso limite alla democrazia; il confine fra l’applicazione lecita della legge è scavalcato quando, le Istituzioni utilizzando mezzi apparentemente leciti, senza necessità, allo scopo di opprimere e sopprimere coloro che sono in disaccordo con loro anche se si manifestano in modo pacifico.