
L’AGENZIA DELLE ENTRATE PUO’ IGNORARE QUANTO STABILITO DALLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE?
(AGENPARL) – Roma, 26 dicembre 2020 – La domanda che dà il titolo a queste brevi osservazioni nasce da una recente risposta ad un interpello (nome tecnico che indica un quesito formulato da un contribuente) data dalla Agenzia delle Entrate nella sua ramificazione della Direzione Regionale della Lombardia e che si allega in una sua sintesi.
Senza tediare, in questa sede, il lettore con la vicenda tecnica da cui origina il problema (di cui vi è amplissima traccia anche su internet solo che si digitino parole come “trust” e “tassazione”), qui si vuole solo segnalare che, in poco più di un anno il nostro massimo organo giudicante ha emesso una quarantina di sentenze tutte volte ad affermare che, in una specifica vicenda negoziale, l’interpretazione corretta delle norme coinvolte giustifica che la tassazione avvenga in misura “fissa” (quindi con un importo sostanzialmente basso e uguale in tutti i casi) e non “proporzionale” (cioè legato ad un’aliquota e quindi quantitativamente variabile al variare del valore economico della fattispecie).
La Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia, però, di fronte alla richiesta della propria posizione sul punto, ha risposto che, per lei, la tassazione deve comunque avvenire in misura “proporzionale”.
Senza particolari giri di parole, a me pare che detta risposta configuri un’ipotesi di reato, chiaramente perseguibile dalla magistratura.
Direi, chiedendo comunque aiuto agli amici penalisti, che ci si trovi in un caso di violazione del divieto di cui all’art. 650 del codice penale, sull’Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità.
L’Agenzia delle Entrate è integralmente parte della Pubblica Amministrazione e, come tale, è evidentemente tenuta all’osservanza delle leggi.
Se il massimo organo giudicante, la Suprema Corte di Cassazione, afferma in maniera consolidata che una data norma si deve interpretare in un certo senso, l’Agenzia delle Entrate è semplicemente tenuta al rispetto di quella data norma, così come interpretata.
La circostanza che non condivida tale interpretazione, non può emergere in un comportamento esterno nei confronti dei contribuenti volto a legittimarla come una sorta di “contropotere” rispetto all’organismo giurisdizionale preposto all’applicazione della legge previa sua interpretazione.
Tale mancata condivisione potrebbe, legittimamente, esplicitarsi attraverso una attività di pressione nei confronti del Ministero dell’Economia, volta alla richiesta di un provvedimento normativo che la supporti.
Di certo, si ribadisce, l’Agenzia delle Entrate non può andare dai contribuenti a sostenere che secondo lei quella certa tassazione va applicata in maniera difforme da quanto ritenuto dalla Cassazione anche perché, in tale modo, attua un comportamento intimidatorio che, chi non volesse impegnarsi in un lungo percorso processuale, potrebbe decidere di seguire ignorando, di fatto, il suo diritto di seguire il dettato normativo scolpito nelle decisioni della Suprema Corte.
Detto più semplicemente, con la sua posizione, l’Agenzia delle Entrate dice che tutti i contribuenti che terranno quel certo comportamento (pagare la tassa in misura “fissa”), dovranno arrivare fino al giudizio della Cassazione per vedersi applicata la normativa fiscalmente più favorevole in quanto, fino ad allora, li perseguiterà pretendendo l’applicazione di quella più penalizzante.
Se già il sistema delle fonti del diritto in Italia è ampiamente sconvolto dalla farsesca gestione della attuale situazione sanitaria, direi che sia proprio il caso di iniziare a porre dei chiari limiti a comportamenti che vedono Pubbliche Amministrazioni così smaccatamente ignorare quanto affermato da chi le leggi le deve applicare.
Per onore di completezza, chiarisco che il discorso non vale in senso contrario.
Se cioè la Suprema Corte avesse sancito l’interpretazione della norma proposta dall’Agenzia delle Entrate, la pretesa da parte di un contribuente di vedersi applicata la tassazione meno pesante, attraverso l’uso dello strumento processuale, non sarebbe in alcun modo configurabile come illegittima.
Il contribuente non fa parte della Pubblica Amministrazione, da noi la regola del precedente giudiziario vincolante non esiste per cui, anche se sarebbe estremamente improbabile che i giudici dessero ragione al contribuente stesso, in presenza di un orientamento così consolidato in senso opposto, lo stesso contribuente avrebbe comunque il diritto costituzionale di proporre una diversa lettura della norma.
Si badi bene: “proporre” non “imporre”.
In conclusione, allora, mi pare legittimo valutare la proposizione di una denuncia/querela nei confronti dell’Agenzia delle Entrate che, con la dichiarata pubblica mancata acquiescenza ad una consolidata interpretazione della Cassazione circa una certa modalità di tassazione, si è resa autrice di un reato, violando cioè un provvedimento dell’Autorità rappresentato dalle norme coinvolte nel caso in questione, come univocamente interpretate dalla giurisprudenza.
Lo dichiara Gianfrancesco Vecchio Avvocato Cassazionista Prof. Aggregato di Diritto Privato e di Diritto di Famiglia Università degli studi di Cassino.