(AGENPARL) – Roma, 09 luglio 2020 Il nuovo limite per il pagamento in contanti è ufficialmente in vigore: la nuova soglia massima è 2.000 euro, destinata a scendere a 1.000 euro da gennaio 2022. L’introduzione del nuovo limite all’uso del contante era già stato stabilito dal decreto n. 124/2019 collegato alla Legge di Bilancio, come ulteriore strumento nelle mani del Governo per la lotta all’evasione fiscale. Negli ultimi 20 anni il tetto per le operazioni in contanti è cambiato svariate volte. È stato il Governo Monti a scendere per la prima volta a 1.000 euro alla fine del 2011 e fino al 2015. Prima invece, tra il 2008 e il 2010, il limite era fissato a 12.500 euro per i pagamenti in contanti. Il piano attuale è quello di tornare alla soglia massima 1.000 euro a partire dal 2022, ma ci si arriverà gradualmente. Superando la soglia stabilita di 2.000 euro, dal 1° luglio 2020 scattano sanzioni salate: fino a 50.000 euro per operazione. Il contante, si dice, è il metodo di pagamento prediletto per le transazioni legate all’economia “nera” (a sostenerlo è tra gli altri il rapporto 2014 Uif-Bankitalia): un’affermazione difficile da smentire, ma che viene usata in modo strumentale per dedurne una tesi tutta da verificare. È scorretto infatti supporre che limitando l’uso del contante i cittadini ne saranno automaticamente indotti ad utilizzare i metodi di pagamento elettronici. In Europa, il tetto a mille euro che sarà la prossima tappa della reprimenda italiota era condiviso dal solo Portogallo, alla cui compagnia si è aggiunta la Francia, per equilibrare le proposte dell’allora ministro Macron. Persino in Grecia il tetto è più alto, a 1500 euro. In Germania e Olanda non c’è mai stato. In Danimarca supera i 13mila euro. Ora, in uno stato democratico, i limiti alle forme di pagamento sono da ritenersi ingiuste e improprie compressioni della libertà individuale. Inoltre, così come l’infernale crociata contro l’evasione fiscale (controbilanciata da un continuo aumento di tasse, imposte e accise) non ha ridotto l’evasione, analogamente, con la lotta al contante è accaduto che la gente non solo non ha evaso meno, ma ha speso meno e speso altrove, anche facendo uso di altre monete. Dati alla mano, Lippi dimostra come l’abbassamento del tetto del contante a mille euro (per decisione del governo Monti, nel 2012, di cui sopra accennato) non sia stato accompagnato da un cambiamento significativo nella percentuale di famiglie che possiedono bancomat o carta di credito. Dal 2010 al 2012, la percentuale di famiglie che possedevano il bancomat salì di appena due punti percentuali, dal 69% al 71%; quella di famiglie in possesso di una carta di credito scese addirittura dal 32% al 29%. Parallelamente, la percentuale di spesa in contanti scende di poco, dal 43,7% al 40.9% in quattro anni, dal 2008 al 2012. Secondo i calcoli, il recupero dell’evasione – stimato sull’assunzione, tutta da provare, che l’Iva sugli acquisti dei beni interessati dalla rilevazione fosse completamente evasa prima del 2008 e pagata per intero nel 2012 – si attesterebbe intorno ai sei miliardi di euro. Rispetto ai cento miliardi che costituirebbero il totale dell’evasione, sicuramente una percentuale ridotta: o così almeno sarebbe per i sostenitori dello “zero contante”, che vedono nell’abolizione della cartamoneta la panacea per ogni male. Né d’altronde è provato che l’aumento alla soglia del contante favorisca di per sé l’evasione fiscale: chi vuole evadere, si limiterà a pagare in contanti 1800 euro senza lasciare traccia, quando prima avrebbe effettuato due pagamenti da 900 euro senza superare il tetto precedentemente in vigore. Anzi, una bassa soglia di contante corre il rischio di spingere nella galassia del sommerso pagamenti che altrimenti sarebbero stati effettuati, forse, regolarmente. La legge sull’antiriciclaggio, peraltro, impone agli intermediari finanziari di segnalare i prelievi anomali quale che sia la soglia di contante concessa. I bassi limiti all’uso del contante ottengono dunque un effetto paradossale, molto diverso da chi li concepisce come strumenti anti-evasione. Complicano la vita solo a chi si fa scrupolo di rispettare gli obblighi tributari, e non tocca gli evasori. Una società senza contante è un incubo per le persone libere. Chi è fortemente convinto che il tetto al contante sia una forma necessaria per arginare l’evasione, dimentica che dal 2014 l’Agenzia delle Entrate ha cominciato ad entrare in possesso telematicamente entro il 20 aprile di ogni anno di tutti i nostri rendiconti relativi all’anno precedente. Rendiconti bancari, dei conti correnti e di deposito, deposito titoli, carte di credito e di debito, fondi comuni d’investimento, certificati di deposito, buoni fruttiferi, cassette di sicurezza, compravendita di metalli preziosi, e operazioni extra conto. L’Agenzia delle Entrate oggi sa tutti di noi. Al punto tale che, grazie a una norma approvata nella finanziaria per il 2005 presentata da Berlusconi, cominciò subito a fare accertamenti a lavoratori autonomi e professionisti che, prelevando contante, non erano in grado di documentarne al centesimo l’utilizzo e soprattutto i diretti beneficiari, presumendo che si trattasse di somme usate per pagamenti in nero e dunque equiparate a reddito o ricavi aggiuntivi, evasi e dunque da sanzionare fino al 50% delle somme in questione. C’è voluta una sentenza della Corte costituzionale, nell’ottobre 2014, per bloccare l’Agenzia dal considerare come pagamenti in nero sanzionabili i prelevamenti di contante effettuati da lavoratori autonomi senza indicazione del beneficiario. Gli strumenti telematici dunque esistono eccome, è stato stabilito dal 2015 l’obbligo per 2 milioni di imprese e professionisti alla fatturazione elettronica verso la PA, vincolo nel tempo esteso ad ogni forma di fatturazione. Siamo entrati appieno nell’era del grande fratello fiscale, altro che tetto ai contanti. C’è poi chi sostiene che usare di più la moneta elettronica sia una battaglia di civiltà. Posto che ci sarebbe molto da argomentare su cosa si intenda per “civiltà”, non c’è dubbio che la stessa passi per un’altra strada. Tra i paesi avanzati, l’Italia ha i più bassi tassi di regolazione dei pagamenti con moneta elettronica, e i più alti livelli di residenti senza conti bancari o postali. E’ chiaramente un segno di arretratezza. Ma deriva dalla scarsa cooperazione verticale e orizzontale di intermediari finanziari con imprese ed enti che offrono beni e servizi, e dalle ancora elevate spese di commissione che gli intermediari finanziari e i gestori dei sistemi di pagamento chiedono a chi si serve dei POS, per accettare pagamenti elettronici garantiti. La via per abbattere questi ostacoli è quella che abbassa il digital divide, stimola fiscalmente gli operatori a una cooperazione meno onerosa con i consumatori, spiana i residui ostacoli alla concorrenza. Senza dimenticare che i rischi di truffa e frode esistono eccome anche nei pagamenti elettronici e il tetto al contante non ha nulla a che spartire con tutto questo. La lotta all’evasione non si può vincere proibendo il contante e meno che mai demonizzandolo, sono invece fondamentali la semplificazione burocratica e amministrativa, la riduzione della pressione fiscale ed un aumento della possibilità di detrazione per le partite iva. Se compro un bene di valore o chiedo delle prestazioni professionali documentando le quali spese ho diritto a una detrazione, avrò tutto l’interesse a richiedere la fattura per poter beneficiare della detrazione stessa. Specie per le nostre vessate partite iva, le più tartassate d’Europa. Illudersi di stanare il “nero” iscrivendo il contante alle liste di proscrizione non paga, anzi, si rischia di far salpare il denaro verso altri lidi, come successe agli yatch che da Porto Cervo, dov’erano braccati dalla Finanza, salparono verso la vicina Corsica. Lo Stato, almeno in minima parte, torni ad assumersi l’onere di provare eventuali colpe dei cittadini senza pretendere, con fare inquisitorio, che siano i cittadini a provare la propria innocenza. Liberarsi da inutili e controproducenti vessazioni è un passo avanti per un fisco meno basato su presunzioni teoriche di evasione, e finalmente più ancorato alla possibilità pratica di accertamenti basati su realtà fattuali. Non è questione di evasione, ma, questa volta sì, è questione di civiltà.
Lo dichiara, Lorenza Morello Giurista d’impresa, in una nota.