
(AGENPARL) – Roma, 19 maggio 2020 – Il Covid-19 è un cigno nero o un canarino nella miniera di carbone? La teoria del cigno nero che è una metafora che descrive un evento non previsto, che ha effetti rilevanti e che, a posteriori, viene razionalizzato inappropriatamente e giudicato prevedibile.
Quindi, il Coronavirus non è un cigno nero perchè per anni, gli esperti hanno messo in guardia sulla potenziale comparsa di una pandemia, mentre gli esperti di sanità pubblica hanno richiamato l’attenzione della comunità internazionale sui rischi globali che hanno lo scoppio di epidemie a livello globale dal punto di vista della sicurezza.
Ora il coronavirus è, tuttavia, un canarino nella miniera di carbone. La pandemia è il presagio di un panorama di sicurezza caratterizzato dall’aumento delle minacce alla sicurezza non tradizionali. Queste sfide fungeranno da moltiplicatori di minaccia, aggravando ulteriormente i dilemmi di sicurezza esistenti e la complessità degli anni 2020.
E il coronavirus è il modello per ciò che ci aspetta per studiare e poi prendere dei provvedimenti.
E’ chiaro che prima capiamo le trasformazioni fondamentali che possiamo attenderci e prima possiamo mettere in pratica le soluzioni per garantire la sicurezza delle persone, degli stati e della comunità internazionale.
Per molti aspetti il Coronavirus è stata una minaccia annunciata. Già negli anni ’70, gli esperti di politica hanno richiamato l’attenzione su una nuova categoria di minacce.
La loro realizzazione, tanto intuitiva quanto concettualmente innovativa, è stata che l’insicurezza deriva da molto più che da un vero e proprio conflitto e che le minacce al benessere delle persone possono avere implicazioni di sicurezza sia per le comunità che per gli Stati stessi.
La consapevolezza che esiste un legame indelebile ma complesso tra sviluppo economico, pace e sicurezza.
L’idea di base, allora e ora, è che i quadri di sicurezza ortodossi non sono riusciti a catturare un tipo particolare e nuovo di minacce. Sono chiamate minacce alla sicurezza non tradizionali e abbracciano tre caratteristiche.
Innanzitutto, sono apolidi, nati da una simbiosi di fattori sistemici.
Sono transnazionali, per cui i loro effetti si estendono oltre i confini, anche se le loro cause possono essere localizzate.
Infine e soprattutto, hanno origini non militari.
Tradizionalmente, le minacce alla sicurezza venivano considerate come il risultato dell’accumulo di capacità militari e delle intenzioni degli stati di cambiare l’equilibrio di potere usando la forza.
Oggi, tuttavia, le minacce alla sicurezza internazionale hanno principalmente cause economiche e sociali, sebbene conducano direttamente alla perdita della vita e della violenza e indirettamente all’instabilità dello Stato.
Allora, quali sono alcune forme di minacce alla sicurezza non tradizionali?
I cambiamenti climatici, la migrazione irregolare, la criminalità transnazionale e la tratta di esseri umani, la scarsità di risorse e persino la corruzione sono perfette.
E, naturalmente, le pandemie. Queste minacce non sono crisi una tantum. Fanno tutti parte di una categoria più ampia di rischi che stanno e continueranno a rimodellare il sistema internazionale.
In questa ottica, il COVID -19 diventa il campanello del cambiamento.
Quando il Coronavirus si è fatto conoscere, ha rappresentato un duro colpo alla sicurezza mondiale ma anche un affare mondiale.
In poco più di 6 mesi, la pandemia ha colpito 215 paesi al mondo, dimostrando anche che le sfide alla sicurezza non militare possono abbattere la linea di demarcazione «artificiale» tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo.
Mentre i paesi storicamente in via di sviluppo erano considerati un fertile terreno per tali problemi a causa della debolezza dello Stato e dell’incapacità di fornire servizi pubblici come ad esempio quelli sanitari, il Covid 19 ha ribaltato questa logica, rendendo visibile gli effetti su ogni capitale del mondo.
COVID -19 può essere un modello di come le minacce alla sicurezza non tradizionali possano devastare i sistemi internazionali.
Senza alcuna azione (o reazione), potremmo prevedere un modello molte perdite di vite umane, aggravati da shock anche economici successivi e persino conflitti reali.
Oggi, la pandemia sta lasciando sulla sua scia una delle peggiori crisi economiche dopo quella della Grande Depressione.
Bassa crescita combinati con alti livelli di disoccupazione possono essere una ricetta per il crescente populismo e ulteriori ricadute politiche nel nuovo decennio.
In futuro, le conseguenze potrebbero cambiare senza dubbio il panorama della sicurezza.
In effetti, con sfide di sicurezza non tradizionali, il pericolo è duplice.
L’ascesa di minacce non tradizionali coincide con la continua interconnessione sociale ed economica, il calo degli investimenti nella sicurezza sociale e l’espansione della frammentazione geopolitica. Questo mix sta svuotando il sistema internazionale, esacerbando i dilemmi di sicurezza esistenti e portando nel migliore dei casi a situazioni intrattabili e, nel peggiore dei casi, al disastro. Per creare un futuro alternativo, abbiamo bisogno di espandere i nostri concetti di sicurezza, adattare le nostre istituzioni e supportare la cooperazione internazionale statale e sub-statale.
Innanzitutto, la pandemia di coronavirus ha dimostrato ancora una volta che la semplice definizione di sicurezza in quanto l’assenza di conflitto non è sufficiente.
In secondo luogo ha dimostrato che gli Stati (soprattutto l’Italia) devono investire di più nella R&S ed è fondamentale per questo motivo una maggiore collaborazione tra le comunità nel settore dello sviluppo e della sicurezza, soprattutto nell’acquisizione dei dati transnazionali per valutare la sicurezza o la loro assenza.
In terzo luogo, da un punto di vista istituzionale, i militari non devono essere i primi responsabili della gestione dell’ascesa di minacce non tradizionali, anche se presentano problemi di sicurezza. Se la Politica si concentrasse di più sull’affrontare questo tipo di minacce a monte, cioè alla radice, questi problematiche potrebbero essere affrontate prima di degenerare in un conflitto con tensioni sociali molto dure.
Con questo approccio, la soluzione sta nel potenziare la cooperazione civile-militare e nell’aumentare gli investimenti nella sicurezza sociale e nell’assistenza sanitaria, cosa che con la scusa dello spending review non è stato fatto a causa dei tagli.
Mettere le persone al primo posto è un modo strategico e morale di procedere ed è l’unica strada per garantire una sicurezza sostenibile e un benessere sociale diffuso.