
(AGENPARL) – Roma, 15 maggio 2020 – AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Illustre Presidente, Chiarissimo Collega,
l’Osservatorio Permanente sulla Legalità Costituzionale, istituito presso il Comitato Popolare Difesa Beni Pubblici e Comuni Stefano Rodotà, a seguito della mancata risposta del Presidente del Consiglio, Prof. Avv. Giuseppe Conte alla lettera con cui oltre 200 giuristi significavano la loro viva preoccupazione per la ritualità costituzionale della Fase 1 della crisi Covid, https://generazionifuture.org/bacheca/lettera_aperta.php si è riunito d’urgenza al fine di studiare il c.d. “Decreto Rilancio”, e riscontratone gravi profili di illegittimità costituzionale, ha deliberato di rivolgersi direttamente a Lei, a sua volta collega, quale titolare dell’indirizzo politico di garanzia e di controllo Siamo dunque a richiederLe di non esercitare il potere di emanazione, trattandosi di un atto che, se immesso nell’ordinamento, inciderebbe sull’equilibrio delle istituzioni, compromettendone il funzionamento. Le valutazioni di legittimità costituzionale connesse all’esercizio sul decreto-legge del 13 maggio 2020 (c.d. “Decreto Rilancio”), al momento non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, con particolare riferimento all’art. 16 sul quale gravano fondati motivi di illegittimità costituzionale per le ragioni brevemente esposta in questa Memoria. Detta norma così recita: “Art. 16 Proroga dei termini previsti per la scadenza degli stati di emergenza e delle contabilità speciali 1. I termini di scadenza degli stati di emergenza dichiarati ai sensi dell’articolo 24 del decreto legislativo 2 gennaio 2018 n.1 e delle contabilità speciali di cui all’articolo 27 del medesimo decreto legislativo n. 1 del 2018, in scadenza entro il 31 luglio 2020 e non più prorogabili ai sensi della vigente normativa, sono prorogati per ulteriori sei mesi. 2. Dal presente articolo non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Alle attività connesse alla proroga di cui al comma 1 si provvede nell’ambito delle risorse già stanziate a legislazione vigente per i relativi stati di emergenza.” Non è chiaro a quali “stati di emergenza” si riferisca la norma, e in particolare se comprenda anche lo stato di emergenza dichiarato (senza mai ascoltare l’indirizzo politico dell’organo legislativo) con delibera del Consiglio dei Ministri in data 31 gennaio 2020 a fronte dei rischi sanitari connessi all’epidemia Covid-19. Nelle 19 pagine del comunicato stampa n. 45 del 14 maggio 2020 della Presidenza del Consiglio non è dato rinvenire alcun accenno a questa norma. Per un verso, lo stato di emergenza collegato all’epidemia Covid-19, dichiarato il 31 gennaio 2020 “ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, comma 1, lettera c) e dell’art. 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018 n. 1” (“Codice della Protezione Civile”), sarebbe prorogabile ai sensi del comma 3 del medesimo art. 24 del Codice della Protezione Civile. Per altro verso, la “relazione illustrativa” all’art. 16 de quo giustifica la norma “[i]n considerazione dell’impegno profuso dalle regioni finalizzato al contrasto della diffusione del virus Covid-19 e della conseguente impossibilità di operare per superamento dei contesti emergenziali per i quali è intervenuta la dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi dell’art. 24 [del Codice della Protezione Civile]”. Parrebbe dunque (benché la relazione illustrativa sia lacunosa e opaca sul punto) che la norma dell’art. 16 sia da riferirsi anche allo stato di emergenza dichiarato in relazione all’epidemia Covid19. Del resto, il decreto-legge fa ripetuto riferimento al “periodo emergenziale” Covid-19 di cui alla delibera del 31 gennaio 2020 (v. ad es., artt. 4, 6, 9).
In questo contesto, la norma presenta gravi profili di illegittimità costituzionale, nonché di c.d. costituzionalità di merito, per quattro diverse e concorrenti ragioni: (i) mancano, nella specie, le straordinarie ragioni di necessità e urgenza richieste dall’art. 77 della Costituzione, con particolare riferimento al requisito dell’urgenza. Prorogare sino al 31 gennaio 2021, già mediante decreto-legge in data 13 maggio 2020, uno stato di emergenza in scadenza il 31 luglio 2020, rispetto a un’epidemia della quale non è possibile conoscere l’evoluzione nei prossimi mesi (e dunque rispetto a un’emergenza futura di cui non è dato conoscere né la sussistenza né la dimensione), non sembra rivestire il carattere dell’urgenza (né dell’improcrastinabilità), tanto meno in assenza di motivazioni al riguardo. In merito, la Corte costituzionale con sentenza n. 360 del 1996 ha stabilito che il riutilizzo della decretazione di urgenza può avvenire solo quando vi siano “presupposti giustificativi nuovi di natura straordinaria”,non potendo sussistere un “rapporto di continuità sostanziale con il decreto non convertito”; (ii) la norma in questione difetta del requisito dell’omogeneità con le altre disposizioni del decreto legge, aventi ad oggetto principalmente interventi economici urgenti a sostegno di privati e imprese per il “rilancio” del Paese. Prorogare sin d’ora uno stato di emergenza, foriero di (ulteriori) interventi del Governo aventi carattere non economico ma in grado di incidere pesantemente sulla vita e sulle libertà costituzionali dei cittadini, che per la loro gravità andrebbero adottati nel rispetto della riserva di legge assoluta d’assemblea, richiederebbe ben altro rilievo che essere inserito in un corpo articolato di 256 norme disomogenee e aventi oggetto affatto diverso -peraltro, redatte con tecnica legislativa criticabile imperniata su rinvii a norme previgenti che rendono il testo scarsamente intelligibile; (iii) la norma in questione, priva di limiti all’azione del governo ed anzi carente di qualsivoglia disciplina circa i poteri attribuiti allo stesso e agli altri effetti dello stato di emergenza, nonostante il rinvio al Codice della Protezione Civile (peraltro norma speciale),rischia di innescare -nel vuoto normativo- la prosecuzione della prassi -di per sé di assai dubbia costituzionalità- instauratasi a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza in data 31 gennaio 2020, fortemente restrittiva della libertà personale e di altri diritti costituzionali, nella quale, in contrasto con l’evoluzione del costituzionalismo democratico, e segnatamente del principio di legalità, i fatti diventano fonte sulla produzione di atti amministrativi; (iv) l’art. 15 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, che consente agli Stati membri di derogare ai diritti fondamentali in essa sanciti “in caso di guerra o altro pericolo pubblico”, nella stretta misura in cui la situazione lo esiga (pertanto, nel rispetto del principio di proporzionalità),presuppone che lo stato di emergenza, o di urgenza, si sia palesato in un evento concretamente verificatosi, che coinvolge l’intera nazione e che non comporti l’adozione di misure restrittive a tempo indeterminato -non prevedendo pertanto un’emergenza “futura” o gli effetti futuri di un’emergenza in corso. 1. La norma dell’art. 16 difetta del requisito dell’urgenza L’art. 16 del decreto-legge del 13 maggio 2020 difetta dei requisiti di “straordinari[a] necessità ed urgenza” prescritti, in modo inderogabile, dall’articolo 77 della Costituzione. Anzitutto l’urgenza non risulta sorretta da alcuna motivazione, così come richiesto invece dalla Corte Costituzionale che, in materia di presupposti del decreto-legge, ha affermato che «l’utilizzazione del decreto-legge… non può essere sostenuta dall’apodittica enunciazione dell’esistenza delle ragioni di necessità e di urgenza» (sentenza n. 171/2007) ma è necessario che il Governo dia conto degli elementi specifici, da esso rilevati, su cui si basano queste “ragioni” (nella specie, mancanti). La Corte Costituzionale, nella nota sentenza n. 220/2013, ha altresì ricordato che i “ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell’art. 77 Cost.”sono stati “concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall’insorgere di «casi straordinari di necessità e d’urgenza»”. L’art. 16 del decreto-legge – lungi dall’effettuare interventi normativi “specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall’insorgere” di un evento bene individuato di necessità e urgenzasi riferisce a imprecisati “stati di emergenza” senza collegarli a specifici eventi. Se, come parrebbe evincersi dalle altre norme del decreto-legge e dalla relazione illustrativa, l’art. 16intende riferirsi (anche) all’emergenza Covid-19, l’intervento disposto (la proroga dello stato di emergenza dal 31 luglio 2020 al 31 gennaio 2021) non può ritenersi necessario, men che meno “improcrastinabile”, essendo precedente di ben due mesi e mezzo allo scadere dello stato di emergenza in atto, un lasso di tempo del tutto congruo e adeguato a discutere in Parlamento una legge ordinaria che, alla predetta scadenza, disponga una proroga dello stato di emergenza ove se ne ravvisino le condizioni. Come, del resto, sta avvenendo in Paesi come la Spagna, dove il governo discute con le opposizioni in Parlamento, illustrando le proprie ragioni, una proroga (peraltro più breve) dello stato di emergenza. In sostanza, l’art. 16prevede un’emergenza futura di cui non è dato conoscere né la sussistenza né la dimensione, e non sembra pertanto rivestire il carattere dell’urgenza (o dell’improcrastinabilità), tanto meno in assenza di motivazioni al riguardo. In altri termini, i requisiti di “necessità e urgenza” (oltre a non essere motivati né giustificati) non risultano sussistenti nella realtà. Lo stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri il 31 gennaio 2020 poggiava espressamente sulla dichiarazione, resa il giorno precedente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dello stato di emergenza sanitaria internazionale. Come noto, l’emergenza Covid-19, allo stato, ha raggiunto il suo picco in Italia a fine marzo 2020 ed è attualmente in fase di regressione. Nessuna previsione può farsi (né è stata anche solo invocata dal Governo in relazione all’art. 16 in questione) circa lo stato dell’evoluzione dell’epidemia Covid-19 alla data del 31 luglio 2020 che possa, sin dal 13 maggio 2020, giustificare una proroga dello stato di emergenza sino addirittura al 31 gennaio 2021. Né alcun riferimento puntuale è contenuto, nella norma in questione, ad altri “stati di emergenza” di cui si dispone la proroga sino al 31 gennaio 2021. D’altro canto, manca nella Costituzione -così come nella legge in via generale (fatta eccezione per le disposizioni del Codice di Protezione Civile)- una previsione, e tanto meno una disciplina, dello stato di emergenza. Né potrebbe una riforma ordinamentale essere introdotta con decreto-legge o, secondo l’insegnamento della Corte, essere costituzionalmente compatibile con l’uso del decretolegge. La Costituzione parla di casi straordinari di necessità ed urgenza, ma volutamente i nostri Costituenti non parlano di stato d’emergenza, di necessità, di eccezione, proprio al fine di ricondurre i casi ad un sistema delle fonti secundum ordinem e non consentire che il fenomeno emergenziale possa trasformarsi in fonte sulla produzione di atti extra ordinem. 2. La norma dell’art. 16 difetta del requisito dell’omogeneità Può ben sostenersi che l’intero decreto-legge vìoli l’Art. 77 Cost. in ragione dell’eterogeneità dei suoi contenuti, che spaziano dalla “salute e sicurezza” (Titolo I) alle “misure fiscali” (Titolo VI), dal “sostegno alle imprese e all’economia” (Titolo II) e ai “lavoratori” (Titolo III)alle “disposizioni per la disabilità e la famiglia” (Titolo IV) e per la “tutela del risparmio nel settore creditizio” (Titolo VII), sino alle misure “di settore” (Titolo VIII), in materia di “enti territoriali” (Titolo V), “in materia di università e ricerca” (Titolo IX), per “l’innovazione tecnologica” (Titolo X) e per “il sud” (Titolo XI), con un coacervo di oltre 250 norme che disciplinano le materie più disparate che vanno, a mero titolo esemplificativo, dalle “misure per la funzionalità delle Forze Armate” (art. 22) al “voto plurimo nelle società con azioni quotate in mercati regolamentati” (art. 45).
La Corte Costituzionale ha affermato, in relazione ai presupposti costituzionali del decreto-legge, che «il presupposto del “caso” straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno». Da ciò consegue che «la scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il “caso” che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale» (sentenza n. 22/2012; in senso analogo, fra le tante, ordinanza n. 34/2013, sentenze n. 32/2014 e n. 154/2015) Anche qualora dal tenore complessivo del decreto-legge si volesse evincere un “filo conduttore” rappresentato dalle misure di sostegno ai settori del Paese afflitti dalla crisi economica conseguente all’epidemia Covid-19, l’art. 16 non rientra tra queste, rispetto alle quali risalta la sua eterogeneità. È di tutta evidenza che una misura come la proroga dello stato di emergenza avrebbe dovuto essere oggetto di apposito e distinto strumento normativo, sottoposto ad autonoma e congrua discussione parlamentare, e che dunque andrebbe espunta dal testo del decreto-legge. La scelta del Governo di ricorrere alla decretazione d’urgenza al di fuori dei confini dell’art. 77 Cost. lede il principio di sovranità popolare, sia esautorando il Parlamento quale sede naturale di confronto tra le forze politiche – e quindi il principio del pluralismo e della tutela delle opposizioni – sia (e correlativamente) ostacolando lo sviluppo della discussione all’interno della società civile della – rilevantissima – misura adottata con l’art. 16 del decreto-legge, con contestuale violazione della democrazia della rappresentanza e della democrazia partecipativa. Un’ultima considerazione va svolta con riferimento alla forma dell’atto, il quale estremizza un malcostume legislativo da più parte lamentato anche in dottrina,1 che il nostro ordine costituzionale non può più tollerare. Il testo del decreto, lunghissimo e labirintico, si espande per ben 464 pagine, con 256 articoli, molti dei quali a loro volta rinviano ad altre norme di legge. Se anche si trova la strada, comprendere il senso del percorso è poi quasi impossibile. Il ricorso a continui rinvii rende il testo del decreto quasi illeggibile con violazione dei principi di certezza del diritto e di prevedibilità. Esso richiede lungo studio per la sua comprensione non da parte del quivis de populo (cui comunque nella tradizione della democrazia liberale occidentale il diritto dovrebbe parlare) ma addirittura da parte di professionisti. La Corte Costituzionale è più volte intervenuta, per raccomandare in generale che il legislatore disegni “norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell’intellegibilità dei termini impiegati” (sentenza n. 96/1981) in tal guisa da rispettare in generale requisiti minimi di “riconoscibilità ed intellegibilità” del precetto che sono “anche peraltro requisiti minimi di razionalità dell’azione legislativa in difetto dei quali la libertà e la sicurezza giuridica dei cittadini sarebbero pregiudicati” (sentenza n. 13/1992). 3. Dubbi di merito di costituzionalità e compatibilità con Trattati internazionali La delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 con cui è stato dichiarato “lo stato di emergenza” ha fatto da sfondo ed è stata richiamata a giustificazione degli atti normativi adottati dal Governo in relazione all’epidemia Covid-19 (si veda, per tutti, il DPCM del 9 marzo 2020 con cui è stato esteso il c.d. lockdown a tutto il territorio nazionale), i quali hanno inciso profondamente sui diritti garantiti dalla Costituzione e dalla CEDU, ledendoli sino quasi ad annullarli -inclusi la libertà di circolazione (Art. 16 – Art. 2 Prot. 4 CEDU), la libertà di riunione (Art. 17 – Art. 11 CEDU), il diritto di professare la propria fede religiosa nei luoghi di culto (Art. 19 – Art. 9 CEDU), il diritto 1Ex multis, R. Bin, Il diritto alla sicurezza giuridica come diritto fondamentale, in Forum di Quaderni costituzionali, allo studio (Artt. 33-34 – Art. 2 Prot. 1 CEDU), la libertà di iniziativa economica e di utilizzo della proprietà privata (Artt. 41-42 – Art. 1 Prot. 1 CEDU), finanche la libertà di espressione del pensiero (Art.21 – Art. 10 CEDU) e soprattutto la libertà personale (Art. 13 – Art. 5 CEDU) e i diritti inalienabili della persona (Art. 2 e CEDU).. Atti spesso privi di forza di legge su cui si è innestata una proliferazione di ulteriori atti degli enti locali, spesso ancora più restrittivi, affidati di fatto all’interpretazione e all’esecuzione da parte delle forze dell’ordine. Viene in rilievo, per un verso, la riserva di legge prevista dalla Costituzione per introdurre limitazioni (anzi, per la libertà personale la doppia riserva, di legge e giurisdizione), per altro verso l’assenza di una previsione costituzionale che consenta di limitare il diritto di riunirsi in privato o di impedire l’uscita dal proprio domicilio per ragioni sanitarie, e per altro verso ancora l’effetto combinato di tutte le limitazioni introdotte contestualmente. E viene in rilievo la gerarchia delle fonti del diritto, che non può sovvertirsi nel nostro ordinamento. Invece, come si è detto, il Governo ha dichiarato lo “stato di emergenza”, senza vaglio parlamentare e in assenza di alcuna previsione costituzionale sullo stato di emergenza, invocando il Codice della Protezione Civile(segnatamente gli artt. 7 e 24)che, per un verso, non contempla il caso di pandemie (né all’art. 7 né all’art. 16 sulla tipologia dei rischi di protezione civile) e, per altro verso, consente di emanare ordinanze di protezione civile in ambiti del tutto diversi da quelli oggetto delle misure in seguito adottate dal Governo (e comunque “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e dell’Unione Europea”) – dunque senza autorizzare nessuno a comprimere libertà costituzionali che solo la legge (e in casi limitati) può comprimere -. Si è dunque instaurata – sulla scorta della dichiarazione governativa dello “stato di emergenza”- una prassi di assai dubbia costituzionalità, fortemente restrittiva della libertà personale e di altri diritti costituzionali, nella quale, in contrasto con l’evoluzione del costituzionalismo democratico, i fatti diventano fonte sulla produzione di atti amministrativi. Dato il contesto di cui si è appena detto, l’ampiezza e la gravità dei provvedimenti adottati e che potrebbero essere adottati in nome della “emergenza” sanitaria, sarebbe opportuno correggere la prassi di cui sopra e, in ogni caso, non riteniamo costituzionalmente accettabile che una proroga degli “stati di emergenza” sia disposta nelle forme e con il contenuto di cui all’art. 16 del decretolegge del 13 maggio 2020. Sarebbe bene, invece, intervenire con apposita legge ordinaria soggetta a discussione dell’assemblea – per disciplinare compiutamente situazioni analoghe a quella in corso e sviluppi futuri di quella in corso, soprattutto al fine di fissare i limiti, anche rispetto ai diritti della persona, che l’azione di governo dovrà rispettare con percorsi parlamentari obbligati – salvi i poteri della Protezione Civile negli ambiti di competenza. Una riforma costituzionale, come ben noto, sarebbe necessaria pure per l’utilizzo massiccio del DPCM, giacché non è previsto in Costituzione che i poteri di cui all’Art.77 siano delegabili al Presidente del Consiglio che resta un primus inter pares. Ulteriore considerazione merita il quadro degli obblighi internazionali dell’Italia. L’art. 15 della CEDU prevede una deroga ai diritti fondamentali in essa sanciti “in caso di urgenza”, cioè nei casi in cui uno Stato contraente può esimersi dal loro rispetto al ricorrere di determinate circostanze. In particolare, la norma prevede che “in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Alta Parte Contraente può prendere misure in deroga agli obblighi previsti dalla presente Convenzione, nella stretta misura in cui la situazione lo richieda e a condizione che tali misure non siano in contraddizione con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale”. Secondo le interpretazioni più accreditate, la norma consente agli Stati contraenti di poter derogare alle libertà fondamentali qualora vi sia una guerra o “un altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”, nella stretta misura in cui la situazione lo esiga e, pertanto, nel rispetto del principio di proporzionalità. L’esistenza di una situazione di emergenza, pur rimessa alla valutazione discrezionale dei singoli Stati, deve palesarsi in un evento concretamente verificatosi, che coinvolga l’intera nazione e non comporti l’adozione di misure restrittive a tempo indeterminato. L’Italia ha accettato l’art. 15 della CEDU senza riserve; pertanto, nella specie, dovrebbe notificare – quanto meno in riferimento all’art. 5 CEDU – l’esercizio del diritto di deroga al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, come richiesto dal comma 3 dell’art. 15. Si noti come la Francia, ad esempio, abbia dichiarato in sede di ratifica della CEDU di non essere disposta ad accettare la limitazione di cui all’art. 15 rimanendo perciò libera di prendere le misure idonee in caso di emergenza, senza vincolarsi ad alcuna limitazione od obbligo di comunicazione agli organi internazionali designati dall’art. 15 della CEDU (peraltro, sullo sfondo dell’art. 16 della Costituzione francese che attribuisce poteri eccezionali al Presidente della Repubblica in determinate circostanze gravi e straordinarie). La prima valutazione da compiere, pertanto, è se l’Italia, nell’avere dichiarato uno “stato di emergenza” e nell’avere limitato conseguentemente la libertà personale, con atti governativi ed amministrativi, questi ultimi esenti da qualsivoglia controllo da parte del presidente della Repubblica, della Corte costituzionale e del parlamento, e di difficile giustiziabilità, abbia in primis rispettato gli obblighi comunitari e internazionali previsti dalla CEDU. Non risulta, almeno per quanto conoscibile dalle fonti pubblicamente consultabili, che l’Italia abbia notificato la deroga all’art. 5 della CEDU ai sensi dell’art. 15 di quest’ultima. * * * * In conclusione, per quanto sopra esposto, Le chiediamo rispettosamente di voler esercitare le Sue prerogative di organo titolare della funzione di indirizzo politico di garanzia e di controllo sugli atti normativi primari, eventualmente anche con la Sua altissima opera di moral suasion, affinché l’art. 16 del decreto-legge del 13 maggio 2020 sia rimosso dal testo attualmente in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e in corso di rimessione al Parlamento per la conversione in legge. Rispettosamente, a nome dell’Osservatorio permanente sulla Legalità Costituzionale
Avv. Fabrizio Arossa Prof. Michele Belletti – Ordinario di Diritto Pubblico
Prof. Marina Calamo Specchia – Ordinario di Diritto Costituzionale comparato
Prof. Cosimo Cascione – Ordinario di Diritto Romano
Prof. Avv. Ginevra Cerrina Feroni – Ordinario di Diritto Costituzionale comparato
Avv. Alessandra Devetag – Vicepresidente Camera Penale di Trieste
Prof. Avv. Alberto Lucarelli – Ordinario di Diritto Costituzionale
Prof. Avv. Ugo Mattei – Ordinario di Diritto Privato
Dott. Lorenza Morello – Presidente nazionale APM
Prof. Francesca Rescigno – Associata di Diritto Pubblico comparato
Prof. Fiammetta Salmoni – Ordinario di Diritto Costituzionale
Avv. Enrica Senini
Avv. Edoardo Valentino