
(AGENPARL) – Roma, 29 aprile 2020 – Le opinioni ovviamente potranno differire su ciò che succederà dopo, perché la domanda è quella se ci sarà o meno un ritorno alla normalità.
Proviamoci.
Prendiamo ad esempio il petrolio. Oggi costa poco, la domanda è sparita e nulla sarà più come prima.
Qualunque cosa accadrà, nonostante le varie posizioni, una cosa è certa: l’industria petrolifera e quella ad essa collegata, come i trasporti, avrà una lunga e tortuosa strada per tornare alla redditività pre-Covid19.
Alcuni analisti dicono che quanto è avvenuto non è un ciclo e non ci sarà alcun ritorno alla normalità.
Credo invece che sarà un momento decisivo per riflettere seriamente ed iniziare a ristrutturare. Sarà infatti soprattutto un periodo che creerà nuove opportunità.
Mi spiego.
Il calo del prezzo del petrolio creerà opportunità a chi avrà i soldi in mano, e cioè le grandi compagnie petrolifere, il resto, cioè le piccole e medie imprese che ruotano nel settore si consoliderà o andrà sotto il loro controllo.
Le società che soffrono andranno fuori mercato cioè quelle società che non hanno superato lo stress test del coronavirus. Le aziende più grandi con livelli di debito più elevati derivanti da recenti fusioni e acquisizioni o altri acquisti sono quelle più sotto pressione.
Molte società si diversificheranno ed altre attueranno riconversioni proprio per colmare le lacune di prodotti essenziali che il coronavirus ha fatto emergere in maniera drammatica, come la produzione di mascherine che prima erano interamente prodotte in Cina.
Il dopo coronavirus sarà all’insegna della corsa all’efficienza produttiva, anche se gran parte di questa spinta è già dovuta ai prezzi più bassi come il prezzo del petrolio che viaggerà per un lungo periodo tra i $ 20-30 al barile e ciò includerà un forte impulso all’innovazione che renderà tutti i processi più efficienti per ridurre i costi operativi onde evitare il fallimento.
Questa nuova normalità sarà una brutta prospettiva per gli azionisti che vedranno ridurre i dividendi in quanto vi sarà molto meno spazio per prendere in prestito finanziamenti o vendere attività per mantenere gli attuali livelli di pagamento dei dividendi.
La nuova normalità metterà anche fine ai cicli del settore.
Non siamo più in un ciclo in cui dovremmo aspettarci una ripresa, ma al contrario ci troveremo in un ciclo di ristrutturazioni che sarà la «nuova normalità».
In sintesi non ci saranno più cicli tipici ma forti periodi di ristrutturazioni.
E’ chiaro che questa «nuova normalità» si estenderà in altri settori, ovviamente. Il più ovvio sarà il trasporto in particolare quello aereo.
Inutile, quindi versare miliardi di denaro alle compagnie aeree perché non salverà i livelli occupazionali. Tamponerà temporaneamente la situazione ma non è la soluzione a lungo termine perché si profileranno fallimenti nelle compagnie aeree. Alcuni analisti dicono che il traffico commerciale sarà del 70 per cento in meno.
Da sottolineare che già sono in fallimento alcune compagnie aeree come la Virgin Australia.
La perdita permanente di qualsiasi cosa è l’ultima cosa che qualcuno vorrà sentirsi dire, ma potremmo essere sulla buona strada per un declino costante della domanda anche di petrolio.
Le dimensioni di questo declino saranno senza dubbio inferiori a quelle attuali, causate dai blocchi nazionali e dai divieti di viaggio. Cioè le restrizioni domiciliari imposte dai vari Governi nazionali.
Sarà una contrazione della domanda che rappresenta una «devianza» da ciò che abbiamo finora conosciuto per decenni: cioè la domanda di petrolio che è sempre aumentata continuamente perché la popolazione mondiale è cresciuta e ha bisogno di più energia.
Oggi abbiamo una forte riduzione della domanda di petrolio che rimarrà tale per un bel po’ di tempo.
Quindi, affinché la domanda possa tornare ai livelli pre-crisi (pre-Covid) è necessario che sia l’attività industriale che quella dei trasporti, torni ai livelli precedenti, decisamente improbabile che accada nel breve periodo.
Le nazioni accorte e lungimiranti si stanno già preparando per la stagione influenzale del prossimo autunno a combattere contro due nemici: l’influenza e il probabile ritorno del coronavirus.
Molti esperti suggeriscono che la crisi di Covid-19 è tutt’altro che finita, anche se le restrizioni si allenteranno nei Paesi, dovute alle pressioni da parte della popolazione e degli operatori economici desiderosi di tornare – giustamente – al lavoro e guadagnare per le loro famiglie.
Sarà quindi una lunga battaglia che vedrà coinvolti da una parte i governi e dall’altra i settori economici e produttivi nonché la popolazione che chiederà a viva voce di tornare alla normalità.
A questo punto l’industria sarà costretta a fare tutto ciò che non ha fatto finora nelle ultime due recessioni che è quella di diventare decisamente più magra e più aggressiva e, di conseguenza, più resistente.
E sarà proprio la resilienza, a quanto pare, il nome del gioco nella nuova normalità post-Covid19.
Resilienza che richiederà nuove strategie e strumenti idonei per rilanciare le aziende in crisi e non certo quelle finora intraprese in Italia che hanno sempre visto grandi gruppi industriali «complessi» gestiti da commercialisti ed avvocati ‘sorteggiati dal Mise che spesso e volentieri hanno dimostrato di non possedere alcuna esperienza gestionale e che di fatto hanno portato all’immobilismo economico e finanziario le aziende amministrate.
Resilienza significherà anche mettere in campo soluzioni costruttive per dare continuità industriale alle aziende in crisi, ivi comprese la riconversione delle sedi industriali, reimpiegando tutti i dipendenti attualmente in CIG a zero ore permettendo in questo modo la prosecuzione dell’attività industriale e non gravando sulle casse dello Stato.
La Resilienza reclamerà di non tenere aperti i Tavoli e gli incontri al MISE che hanno finora prodotto come unica soluzione quella degli ammortizzatori sociali per le aziende in crisi con il conseguente licenziamento dei dipendenti.