
(AGENPARL) – Roma, 11 marzo 2020 – Con i pazienti che traboccano di ospedali, un’organizzazione medica leader offre una guida per il triage di tipo militare, tra cui: negare le cure alle persone troppo anziane per poter guarire.
Sembra uno brutto scherzo ma purtroppo non è così.
Due settimane fa, l’Italia aveva 322 casi confermati di coronavirus. A quel punto, i medici negli ospedali potevano porre attenzione significativa su ciascun paziente colpito dal virus.
Una settimana fa, l’Italia aveva 2.502 casi di virus, che causa la malattia nota come COVID-19. A quel punto, i medici negli ospedali del paese potevano ancora svolgere le funzioni di salvavita, ventilando artificialmente i pazienti con difficoltà respiratorie acute.
Oggi in Italia ci sono 10.149 casi di coronavirus. Ora ci sono semplicemente troppi pazienti per ognuno di loro per ricevere cure adeguate. Medici e infermieri non sono in grado di prendersi cura di tutti. Mancano macchine per ventilare tutte quelle ansimanti per l’aria.
Ora il Collegio italiano di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) ha pubblicato le linee guida dal titolo «Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili» per i criteri che i medici e gli infermieri dovrebbero seguire in queste circostanze straordinarie.
Il documento inizia «le previsioni sull’epidemia da Coronavirus (Covid-19) attualmente in corso in alcune regioni italiane stimano per le prossime settimane, in molti centri, un aumento dei casi di insufficienza respiratoria acuta (con necessità di ricovero in Terapia Intensiva) di tale entità da determinare un enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva di risorse intensive. È uno scenario in cui potrebbero essere necessari criteri di accesso alle cure intensive (e di dimissione) non soltanto strettamente di appropriatezza clinica e di proporzionalità delle cure, ma ispirati anche a un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate. Uno scenario di questo genere è sostanzialmente assimilabile all’ambito della “medicina delle catastrofi”, per la quale la riflessione etica ha elaborato nel tempo molte concrete indicazioni per i medici e gli infermieri impegnati in scelte difficili. Come estensione del principio di proporzionalità delle cure, l’allocazione in un contesto di grave carenza (shortage) delle risorse sanitarie deve puntare a garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico: si tratta dunque di privilegiare la “maggior speranza di vita”».
In poche parole paragonando le scelte morali che i medici italiani devono affrontare alle forme di triage belliche necessarie nel campo della “medicina delle catastrofi”, invece di fornire cure intensive a tutti i pazienti che ne hanno bisogno, suggeriscono i suoi autori, sta diventando necessario seguire «i criteri più ampiamente condivisi per quanto riguarda la giustizia distributiva e l’assegnazione appropriata di risorse sanitarie limitate».
Il principio su cui si fondano è utilitaristico. «Informati dal principio di massimizzare i benefici per il maggior numero», suggeriscono che «i criteri di allocazione devono garantire che quei pazienti con le maggiori possibilità di successo terapeutico mantengano l’accesso alle cure intensive»
Gli autori, che sono dei medici, deducono quindi una serie di raccomandazioni concrete su come gestire queste scelte impossibili, tra cui: «Potrebbe essere necessario stabilire un limite di età per l’accesso alle cure intensive».
- I criteri straordinari di ammissione e di dimissione sono flessibili e possono essere adattati localmente alla disponibilità di risorse, alla concreta possibilità di trasferire pazienti, al numero di accessi in atto o previsto. I criteri riguardano tutti i pazienti intensivi, non solo i pazienti infetti con infezione da Covid-19.
- L’allocazione è una scelta complessa e molto delicata, anche per il fatto che un eccessivo aumento straordinario dei letti intensivi non garantirebbe cure adeguate ai singoli pazienti e distoglierebbe risorse, attenzione ed energie ai restanti pazienti ricoverati nelle Terapie Intensive. È da considerare anche l’aumento prevedibile della mortalità per condizioni cliniche non legate all’epidemia in corso, dovuta alla riduzione dell’attività chirurgica ed ambulatoriale elettiva e alla scarsità di risorse intensive.
- Può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in TI. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone.
In uno scenario di saturazione totale delle risorse intensive, decidere di mantenere un criterio di “first come, first served” equivarrebbe comunque a scegliere di non curare gli eventuali pazienti successivi che rimarrebbero esclusi dalla Terapia Intensiva.
- La presenza di comorbidità e lo status funzionale devono essere attentamente valutati, in aggiunta all’età anagrafica. È ipotizzabile che un decorso relativamente breve in persone sane diventi potenzialmente più lungo e quindi più “resource consuming” sul servizio sanitario nel caso di pazienti anziani, fragili o con comorbidità severa.
Possono essere particolarmente utili a questo scopo i criteri clinici specifici e generali presenti nel Documento SIAARTI multisocietario del 2013 sulle grandi insufficienze d’organo end-stage (https://bit.ly/2Ifkphd).
È inoltre opportuno fare riferimento anche al documento SIAARTI relativo ai criteri di ammissione in Terapia Intensiva (Minerva Anestesiol 2003;69(3):101–118)
- Deve essere considerata con attenzione l’eventuale presenza di volontà precedentemente espresse dai pazienti attraverso eventuali DAT (disposizioni anticipate di trattamento) e, in modo particolare, quanto definito (e insieme ai curanti) da parte delle persone che stanno già attraversando il tempo della malattia cronica attraverso una pianificazione condivisa delle cure.
- Per i pazienti per cui viene giudicato “non appropriato” l’accesso a un percorso intensivo, la decisione di porre una limitazione alle cure (“ceiling of care”) dovrebbe essere comunque motivata, comunicata e documentata. Il ceiling of care posto prima della ventilazione meccanica non deve precludere intensità di cura inferiori.
- Un eventuale giudizio di inappropriatezza all’accesso a cure intensive basato unicamente su criteri di giustizia distributiva (squilibrio estremo tra richiesta e disponibilità) trova giustificazione nella straordinarietà della situazione.
- Nel processo decisionale, qualora si presentino situazioni di particolare difficoltà e incertezza, può essere utile avere una “second opinion” (eventualmente anche solo telefonica) da parte di interlocutori di particolare esperienza (ad esempio, attraverso il Centro Regionale di Coordinamento).
- I criteri di accesso alla Terapia Intensiva andrebbero discussi e definiti per ogni paziente in modo il più possibile anticipato, creando idealmente per tempo una lista di pazienti che saranno ritenuti meritevoli di Terapia Intensiva nel momento in cui avvenisse il deterioramento clinico, sempre che le disponibilità in quel momento lo consentano.
Un’eventuale istruzione “do not intubate” dovrebbe essere presente in cartella clinica, pronta per essere utilizzata come guida se il deterioramento clinico avvenisse precipitosamente e in presenza di curanti che non hanno partecipato alla pianificazione e che non conoscono il paziente.
- La sedazione palliativa nei pazienti ipossici con progressione di malattia è da considerarsi necessaria in quanto espressione di buona pratica clinica, e deve seguire le raccomandazioni esistenti. Qualora si dovesse prevedere un periodo agonico non breve, deve essere previsto un trasferimento in ambiente non intensivo.
- Tutti gli accessi a cure intensive devono comunque essere considerati e comunicati come “ICU trial” e sottoposti pertanto quotidiana rivalutazione dell’appropriatezza, degli obiettivi di cura e della proporzionalità delle cure. Nel caso si ritenga che un paziente, ricoverato magari con criteri borderline, non risponda a trattamento iniziale prolungato oppure si complichi in modo severo, una decisione di “desistenza terapeutica” e di rimodulazione delle cure da intensive a palliative – in uno scenario di afflusso eccezionalmente elevato di pazienti – non deve essere posticipata.
- La decisione di limitare le cure intensive deve essere discussa e condivisa il più possibile collegialmente dell’équipe curante e – per quanto possibile – in dialogo con il paziente (e i familiari), ma deve poter essere tempestiva. È prevedibile che la necessità di compiere ripetutamente scelte di questo tipo renda in ciascuna Terapia Intensiva più solido il processo decisionale e meglio adattabile alla disponibilità di risorse.
- Il supporto ECMO, in quanto resource consuming rispetto a un ricovero ordinario in Terapia Intensiva, in condizioni di afflusso straordinario, dovrebbe essere riservato a casi estremamente selezionati e con previsione di svezzamento relativamente rapida. Dovrebbe essere riservato idealmente a centri hub ad elevato volume, per i quali il paziente in ECMO assorbe in proporzione meno risorse di quante ne assorbirebbe in un centro con meno expertise.
- È importante “fare rete”, attraverso l’aggregazione e lo scambio di informazioni tra centri e singoli professionisti. Quando le condizioni lavorative lo consentiranno, al termine dell’emergenza, sarà importante dedicare tempo e risorse a momenti di debriefing e di monitoraggio dell’eventuale burnout professionale e del moral distress degli operatori.
- Devono essere considerate anche le ricadute sui familiari ricoverati nelle TI Covid-19, soprattutto nei casi in cui il paziente muoia al termine di un periodo di restrizione totale delle visite.
Non vorrei che coloro che sono troppo vecchi per avere un’alta probabilità di guarigione, o che hanno ancora un numero troppo basso di “anni di vita” rimasti anche se dovrebbero sopravvivere, saranno lasciati morire. Sembra crudele, ma l’alternativa, sostiene il documento, non è migliore. In caso di saturazione totale delle risorse, il mantenimento del criterio del’ primo arrivato, primo servito «equivarrebbe a una decisione di escludere i pazienti in arrivo in ritardo dall’accesso alle cure intensive».
Oltre all’età, ai medici e agli infermieri viene anche detto di prendere in considerazione lo stato di salute generale di un paziente: «La presenza di comorbidità deve essere valutata attentamente». Ciò è in parte dovuto al fatto che i primi studi sul virus sembrano suggerire che i pazienti con gravi condizioni di salute preesistenti hanno una probabilità significativamente maggiore di morire. Ma è anche perché i pazienti in uno stato di salute generale peggiore potrebbero richiedere una maggiore percentuale di risorse scarse per sopravvivere: «Quello che potrebbe essere un corso di trattamento relativamente breve nelle persone più sane potrebbe essere più lungo e consumare più risorse nel caso di anziani o pazienti più fragili».
Queste linee guida si applicano anche ai pazienti che necessitano di terapia intensiva per motivi diversi dal coronavirus, poiché anch’essi richiedono le stesse scarse risorse mediche. Come chiarisce il documento, “Questi criteri si applicano a tutti i pazienti in terapia intensiva, non solo a quelli infetti da CoVid-19”.
Nonostante viva in Italia e sono abituato a vederne di tutti i colori, devo ammettere che non ho alcun giudizio morale da formulare sullo straordinario documento pubblicato di questi straordinari, stupefacenti e coraggiosi medici nostrani.
Non ho le basi necessarie se stiano raccomandando la cosa giusta o sbagliata.
Ma se l’Italia si trova in una posizione impossibile, l’obbligo per gli Stati Uniti è molto chiaro: arrestare la crisi prima che l’impossibile diventi necessario.
Ciò significa che gli Stati Uniti d’America con i responsabili delle imprese e delle associazioni private e ognuno di noi debbano lavorare insieme per aiutare le capacità delle unità di terapia intensiva dell’Italia.
Ma siamo messi così male in Italia?
SIAARTI – Covid19 – Raccomandazioni di etica clinica