(AGENPARL) - Roma, 14 Novembre 2025(AGENPARL) – Fri 14 November 2025 “Facciamo pace?!”
La voce dei bambini sulla guerra
Dal 13 novembre al 21 novembre 2025
Museo della città di Livorno
Polo culturale Bottini dell’Olio – Piazza del Logo Pio, 15 – Livorno
“FACCIAMO PACE?! – LA VOCE DEI BAMBINI SULLA GUERRA”
La mostra “Facciamo pace?! – La voce dei bambini sulla guerra” nasce dal desiderio di dare voce
a chi solitamente non ha voce. Il percorso espositivo infatti, fa vedere e “ascoltare” la guerra con
lo sguardo e le parole dei bambini, per comprenderne le difficoltà e le sofferenze subite.
Sono voci e immagini che mostrano un volto della guerra che va ben oltre il dibattito mediatico,
le immagini della propaganda delle parti in lotta, le posizioni assunte dagli adulti. Ascoltando e
guardando con attenzione, è possibile cogliere un messaggio chiaro e semplice, oggi, come ieri:
basta guerra! c’è bisogno di fare pace!
A parlare sono i bambini e i ragazzi che stanno vivendo attualmente la guerra o che ne sono
appena fuggiti. Parlano i bambini di Gaza, lanciando il loro disperato appello a fermare la guerra.
Parlano i bambini di Kiev, di Irpin, di Kharkiv in Ucraina, così come i minori afghani arrivati con il
ponte aereo da Kabul nell’agosto 2021.
Parlano anche i bambini congolesi fuggiti, in questi ultimi due anni, nei campi profughi di Goma
nella Repubblica Democratica del Congo e tanti piccoli sfuggiti ai conflitti in Burkina Faso e nel
Nord del Mozambico.
Parlano anche i bambini siriani – vittime di una guerra che ancora non ha fine – che vivono nei
campi profughi in Grecia o in Libano, in attesa, un’attesa prolungata talvolta per anni, che si apra
per loro una possibilità di essere accolti in Europa.
Nella mostra parlano anche i bambini che vivono in pace: hanno incontrato anziani che hanno
conosciuto la guerra da bambini o hanno letto i diari di bambini e ragazzi che hanno vissuto la
Seconda guerra mondiale.
La mostra è articolata in diversi percorsi, realizzati con disegni, testi, installazioni, ideate e
realizzate dai bambini, ma propone anche laboratori di cui è possibile fruire durante la visita.
Gli autori e la Scuola della Pace
Molti dei bambini, autori della mostra, frequentano le “Scuole della pace” promosse dalla
Comunità di Sant’Egidio in ogni parte del mondo, dalle città europee a quelle africane. Centri
giovanili, completamente gratuiti gestiti da giovani volontari, le Scuole della pace sono
un’esperienza unica per crescere insieme a bambini e ragazzi di tutto il mondo, diventando amici.
Le Scuole della pace propongono un modello educativo solidale, capace di superare barriere e
discriminazioni, di rifiutare la violenza. L’educazione alla pace, alla convivenza, alla solidarietà
comincia nel gruppo, dal rispetto delle idee, della cultura e della religione degli altri e si
concretizza anche attraverso il sostegno all’istruzione, in tutto l’itinerario scolastico, così come
nell’attenzione alla cura di bambini e ragazzi coetanei che vivono nei paesi più poveri. Il razzismo,
le guerre, il divario fra Nord e Sud del mondo, la pace, sono alcune delle tematiche che,
presentate attraverso testimonianze, incontri e rapporti diretti, diventano parte sia della cultura
che dell’esperienza personale dei ragazzi.
I percorsi della mostra
La guerra di oggi
La guerra alle spalle
A cosa serve la guerra
La guerra fa paura perché
Facciamo pace
La pace è il futuro
Alla Scuola della Pace
Giornata Cittadina per la Pace
Le istallazioni e i laboratori
Le “1000 gru di carta”: Questo è il nostro grido, questa è la nostra preghiera, la pace nel
mondo
C’è una leggenda in Giappone secondo la quale se si realizzano mille origami a forma di gru
si può esprimere un desiderio.
Sadako Sasaki (7 gennaio 1943- 25 ottobre 1955) era a conoscenza di questa leggenda
quando si ammalò di leucemia in seguito alle radiazioni rilasciate dalla bomba atomica di
Hiroshima. Al momento dell’esplosione la piccola era nella sua casa, a poco meno di 2 km di
distanza dal luogo dell’impatto. Aveva 2 anni. I primi sintomi della malattia comparvero nel
novembre del 1954. Le fu diagnosticata una grave forma di leucemia a cui seguì un
immediato ricovero in ospedale. La migliore amica di Sadako, Chihuko, la incoraggiò a
realizzare le 1000 gru di carta per guarire. Per i restanti 14 mesi di vita Sadako creò gli origami
con qualsiasi materiale riuscisse a procurarsi in ospedale. Sadako morì il 25 ottobre 1955
all’età di 12 anni: una tra le migliaia di bambini vittime della bomba atomica. Dopo la sua
morte, amici e compagni di scuola pubblicarono una raccolta di lettere per raccogliere fondi
per costruire un memoriale in ricordo di lei e di quei bambini. Nel 1958, una statua di Sadako
che sostiene una gru d’oro è stata inaugurata nel Parco Memoriale della Pace di Hiroshima.
Ai piedi della statua è una targa: “Questo è il nostro grido, questa è la nostra preghiera, la
pace nel mondo”.
I visitatori, ispirati da questa storia, possono realizzare le gru di carta per continuare a
chiedere con forza che il loro desiderio di pace venga realizzato. Accanto alla storia di Sadako
è disponibile della carta con cui realizzare le gru che saranno poi legate insieme alle altre
appese.
Barchette di carta
Il pannello “la guerra alle spalle” racconta il viaggio che molti migranti sono costretti ad
affrontare.
È possibile produrre una barchetta di carta a cui affidare un messaggio oppure in cui scrivere
cosa, secondo il visitatore, spinge i migranti a lasciare la loro terra per affrontare questi
terribili viaggi.
Distruzione e zainetti: Come vi sentireste se tutti voi sareste bombardati
I visitatori a partire dall’osservazione della foto nel pannello, si possono interrogare su
cosa stava provando quel bambino di spalle e cosa avrebbero provato loro nella sua
situazione. Ognuno potrà scrivere i propri sentimenti e i propri pensieri sugli zainetti.
L’albero della pace
Il Ginkgo (Ginkgo biloba) è un bellissimo albero diffuso in tutto il mondo. Secondo la
tradizione nipponica un Ginkgo, piantato nei pressi del tempio di Hosen-ji, fu tra i pochi esseri
viventi a scampare alla distruzione della bomba atomica sganciata su Hiroshima il mattino
del 6 agosto 1945. Per questa circostanza in Giappone la pianta è considerata “Albero della
pace” e diffusamente piantata come monito contro gli orrori delle guerre.
Nell’installazione, la chioma dell’albero è composta da foglie verdi, che completano la frase
“la pace è…”, mentre in terra, sulle foglie cadute, secche e ingiallite, la parola completa la
frase “la guerra è…”
Le foglie dei paesi dell’albero della pace non sono complete, ogni visitatore può aggiungere
una foglia verde o ingiallita che completi la frase “la pace è…” o “la guerra è…”
Il mio passo per la pace: le orme delle scarpe, la pace comincia da me…
La storia del Mahatma Gandhi ci insegna la strada della nonviolenza. Con la marcia del sale
del 1930, guidata da Gandhi, passo dopo passo fu promossa una protesta pacifica per
l’indipendenza dell’India, che è divenuta simbolo della resistenza nonviolenta.
Ognuno può costruire la pace e un mondo pacifico. Insieme si può camminare sulla strada
che porta alla pace, per fare cose grandi, iniziando dai piccoli passi di ognuno di noi.
Nell’installazione, le impronte, che contengono i passi da fare per vincere con la pace la
violenza e il disprezzo, formano un percorso.
I visitatori potranno ritagliare l’impronta, colorarla e scrivere sopra il loro impegno per
costruire la pace. Attaccata poi a terra l’orma di ciascuno continuerà il percorso dei passi
che conducono alla pace.
L’omaggio a Gaza e alle giovani vittime di tutte le guerre
Per rendere l’entità di quanto accaduto negli ultimi due anni, verranno esposti i nomi dei 18.457
bambini uccisi in Israele e nella striscia di Gaza, dal 7 ottobre 2023 al 15 luglio 2025, fino ai dodici
anni di età.
Questo lungo elenco sarà visibile alla fine della mostra: nella sala in cui saranno esposti i nomi, i
ragazzi potranno accedere singolarmente o a piccolissimi gruppi, in modo da poter sostare e
consentire un momento di riflessione e raccoglimento.
I ragazzi potranno lasciare un biglietto con un proprio pensiero, preparato precedentemente o
lungo l’itinerario espositivo.
Conoscere ed aiutare la Scuola della Pace
Il progetto non si ferma a mostrare il lavoro di educazione alla pace, svolto dalle Scuole della
pace, nel mondo e nella nostra città: prevede che, dopo la mostra, i ragazzi possano conoscere
le Scuole della Pace, per dare loro modo di conoscere e partecipare alle attività che vi vengono
svolte e di aiutare i bambini che le frequentano.
Educare alla pace infatti, diventa una priorità nel mondo attuale, dove l’educazione militare (vedi
di seguito) viene progressivamente inserita nei curricula scolastici di tanti paesi al mondo, anche
in Europa, come recentemente accaduto in Russia, in Ungheria, in Lituania.
I ragazzi, aiutando i più piccoli, saranno guidati a scoprire quanto anche loro possono fare per
rendere il mondo, anche quello più vicino a loro, un posto migliore e più umano.
DOSSIER INTRODUTTIVO AGLI ARGOMENTI TRATTATI NELLA MOSTRA
Oggi la guerra e l’orrore che sempre l’accompagna, così come il riarmo e la coscrizione
obbligatoria, tornano purtroppo al centro dell’attenzione e del dibattito internazionale,
rivelando la necessità di trovare vie e soluzioni politiche ai conflitti, finora largamente disattese.
Rivelano inoltre l’urgenza di rifondare una cultura della pace, sin dalle giovani generazioni.
Attualmente sono 56 i conflitti armati in corso nel mondo, il numero più alto dalla Seconda
Guerra Mondiale. Tra questi: la guerra russo-ucraina, il conflitto israelo-palestinese, la guerra
civile in Myanmar e la guerra civile in Sudan.
Questi conflitti coinvolgono direttamente o indirettamente quasi 100 paesi e hanno costretto più
di 100 milioni di persone a fuggire dal proprio Paese.
Tre caratteristiche dei conflitti odierni:
✗ Escalation: è in corso un’incredibile escalation di violenza, con un aumento significativo
negli ultimi cinque anni del ricorso alla guerra e allo scontro armato.
✗ Vittime civili: le guerre attuali colpiscono in particolare vittime civili, spesso le persone
sono usate come scudi umani dalle parti in lotta. Molte sono le vittime e gli sfollati: nel
solo 2024 sono più di 233.000 le vittime accertate dei conflitti e oltre 100 milioni (pari alla
popolazione di tutta la Germania e di tutta l’Italia) le persone che sono state costrette a
fuggire dalle proprie case.
✗ “Terza guerra mondiale a pezzi”: questa formulazione descrive bene la situazione
attuale, a causa dell’elevato numero di conflitti attivi e del loro impatto globale.
L’articolo 11 della Costituzione italiana sancisce il ripudio della guerra, stabilendo che l’Italia rifiuta
la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali. Questo principio riflette il desiderio di evitare le tragedie della
Seconda Guerra Mondiale e di promuovere la pace come valore fondamentale.
I principali conflitti in atto
Burkina Faso
Camerun Occidentale
Colombia
Kivu nella Repubblica Democratica del Congo
e tensioni con Ruanda
Etiopia
Haiti
India
Iran e Iraq
Libano
Libia
Messico
Myanmar
Nigeria
Nord Mozambico
Pakistan
Siria
Somalia
Sudan e Sud Sudan
Ucraina
Yemen
Terra Santa
Bambini in guerra
Oggi le guerre si accaniscono contro i bambini. Contro quelli che erano ricoverati nell’ospedale
pediatrico di Kiev, bombardato nel corso della guerra russo-ucraina, oppure quelli che giocavano
a palla, colpiti nel villaggio druso sul Golan dalle bombe di Hezbollah, come i quaranta piccoli
barbaramente uccisi da Hamas il 7 ottobre nel kibbutz di Kfar Aza, o come le piccole vittime
palestinesi, uccise dai bombardamenti israeliani su Gaza.
Su molti altri bambini in guerra, i riflettori dei media non sono accesi. Come accade ai bambini
sudanesi oppure ai bambini del Nord del Mozambico, costretti ad assistere alle esecuzioni dei
loro familiari nel corso degli assalti degli Al Shabab e a fuggire nelle foreste lasciando per sempre
i loro villaggi. Così come non si parla più dei bambini siriani che hanno conosciuto soltanto la
guerra nella loro esistenza, che non sanno leggere e scrivere perché non sono mai andati a scuola
da quando la guerra è iniziata. Crimini di cui non si parla oppure che si fa presto a dimenticare.
Molti bambini inoltre, magari sopravvissuti alle uccisioni, hanno riportato ferite gravi e
amputazioni degli arti, sia a causa delle mine su cui sono caduti o inciampati, sia perché colpiti
dal crollo degli edifici in cui si trovavano o dei rifugi in cui avevano cercato scampo. Nessuno è in
grado di misurare il dolore dei più piccoli, quando sopravvivono alla guerra: il senso di incertezza
e di paura nelle loro vite quando la casa è bombardata, il cibo manca, il padre è al fronte, i genitori
sono uccisi o feriti, la famiglia distrutta.
C’è anche un’altra guerra che si combatte contro i bambini, ogni giorno.
È la guerra della violenza diffusa, delle armi spianate contro chi non può difendersi. Ad Haiti, per
esempio, le violenze da parte dei gruppi armati hanno fatto sì che il numero di bambini sfollati
all’interno del Paese sia aumentato del 60% negli ultimi sei mesi, un tasso che equivale a un
bambino sfollato ogni minuto.
I bambini e i ragazzi sono coinvolti nelle guerre e nelle violenze: 300.000 bambini-soldato sono
“impegnati” nei conflitti in Africa. I narcos e le maras arruolano sempre più i giovani e giovanissimi
per insegnargli ad usare le armi, a farsi rispettare e a dare la morte ai loro coetanei e perfino ai
bambini.
“L’educazione è l’arma della pace – scriveva Maria Montessori – coloro che vogliono la guerra
preparano la gioventù alla guerra; ma coloro che vogliono la pace hanno trascurato di preparare
l’infanzia e la giovinezza alla pace”.
È la sfida che tutti noi abbiamo davanti: prepararli alla pace e fare di loro degli operatori di pace.
In Europa – L’Ucraina
Un bambino su cinque in Ucraina ha dichiarato di aver perso un parente o un amico stretto
dall’escalation della guerra di tre anni fa. Un bambino su tre ha riferito di sentirsi così disperato
e triste da non poter svolgere le proprie attività abituali. Queste sono le risposte di oltre 23.000
bambini che hanno preso parte a un sondaggio condotto dall’UNICEF nel 2025, e ricordano senza
mezzi termini la perdita e il dolore che pervadono l’infanzia in Ucraina.
A tre anni dall’inizio della guerra su larga scala, più di 2.520 bambini sono stati uccisi o feriti,
(secondo i dati verificati dalle Nazioni Unite, il numero reale è probabilmente molto più alto).
Nel 2024 c’è stato un aumento del 50% delle vittime tra i bambini rispetto al 2023.
Nessun luogo è sicuro. Scuole, reparti di maternità e ospedali pediatrici sono stati tutti colpiti da
attacchi. Complessivamente, secondo i dati verificati dalle Nazioni Unite, sono state danneggiate
o distrutte circa 780 strutture sanitarie e più di 1.600 scuole.
Il 9 Luglio scorso è stato bombardato l’ospedale pediatrico di Kiev, uno degli obiettivi colpiti in
un attacco missilistico lanciato dalla Russia su varie città dell’Ucraina. Almeno 20 morti e 50 feriti.
Quando un ospedale pediatrico viene colpito, una scuola bombardata o una rete elettrica
distrutta, i bambini soffrono anche quando sopravvivono. Il loro benessere e il loro sviluppo ne
risentono ancora una volta.
Le scuole sono luoghi di apprendimento per i bambini e sono un’ancora di salvezza che fornisce
un senso di sicurezza, normalità e speranza per il futuro. Eppure, quasi il 40% dei bambini in
Ucraina studia solo online o attraverso un misto di lezioni in presenza e a distanza.
L’impatto sull’istruzione è stato immenso: si registra una perdita media di apprendimento di due
anni in alcune materie.
Si rilevano 3,7 milioni di sfollati interni e più di 6,8 milioni di persone che vivono fuori dal Paese.
Nei Paesi ospitanti vicini, la metà dei bambini ucraini in età scolare non è iscritta ai sistemi
scolastici nazionali.
L’impatto sullo sviluppo e sulla salute mentale dei bambini è altrettanto preoccupante.
Mentre i bambini e i giovani di tutte le età sono a rischio, quelli nati quando è iniziata l’escalation
della guerra hanno ormai compiuto tre anni. Hanno trascorso i loro primi anni – quando il cervello
si sviluppa più rapidamente e si gettano le basi per la vita – in mezzo a stress e perdite estreme.
Questo li espone a un rischio maggiore di disturbi psicologici e a una salute fisica più cagionevole
per la vita.
In Medio Oriente – Il conflitto tra Israele e Hamas
Nel terribile attentato del 7 ottobre e con la ripresa del conflitto nella Striscia di Gaza, presente
con diversa intensità da oltre cinquant’anni e tre generazioni, la guerra ha ucciso anche molti
bambini. Anche perché la popolazione di Gaza è molto giovane.
I bambini hanno affrontato bombardamenti incessanti e sono stati privati di beni essenziali,
servizi e cure salvavita. Ogni giorno che passa il blocco degli aiuti li mette di fronte al rischio
crescente di fame, di malattie e di morte: niente può giustificare tutto questo.
I dati presentati dal Ministero della Sanità palestinese riportano: 15.613 i minori uccisi e 33.900 i
feriti dall’inizio della guerra. Non ci sono, invece, dati sul numero di bambini e minori rimasti
orfani. Le stime parlano di circa 20.000 bambini rimasti orfani.
La lista di bambini bisognosi di cure è molto lunga ma non è facile farli uscire. La tregua e, magari,
la fine della guerra potrebbero salvare vite di bambini già così segnati e colpiti. Le famiglie stanno
lottando per sopravvivere. Sono intrappolate, incapaci di fuggire in cerca di sicurezza. La terra
che coltivavano è stata distrutta. Il mare che utilizzavano per la pesca è stato reso inaccessibile.
Le panetterie stanno chiudendo, la produzione di acqua sta diminuendo e gli scaffali dei mercati
sono quasi vuoti. Gli aiuti umanitari hanno rappresentato l’unica ancora di salvezza per i bambini,
e ora stanno per esaurirsi.
Da fine gennaio 2024 a oggi molti ospedali italiani, come l’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze
e l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, hanno accolto più di 200 bambini. Anche nelle
ultime settimane sono arrivati in Italia altri bambini di Gaza attraverso l’Egitto. Dal novembre
2023, sono stati attivati canale diplomatici per raggiungere questo obiettivo grazie alla
mediazione della Santa Sede. Ma è poca cosa, in confronto alle conseguenze della guerra.
Il diritto internazionale umanitario impone alle autorità di garantire che la popolazione sotto il
loro controllo sia trattata in modo umano. Ciò include non solo la garanzia che i civili abbiano il
cibo, le medicine e le forniture essenziali di cui hanno bisogno, ma anche la garanzia di sufficienti
standard igienici e di salute pubblica. Tutte le parti in conflitto dovrebbero consentire e facilitare
il passaggio rapido e senza ostacoli dell’assistenza umanitaria, facilitando a tutte le entità ONU
competenti di svolgere tali attività a beneficio della popolazione locale.
In Africa – Il Congo RDC
La significativa escalation del conflitto nella regione orientale della Repubblica Democratica del
Congo (RDC) ha raggiunti livelli mai visti in 30 anni. L’intensificarsi delle violenze ha creato una
delle peggiori crisi umanitarie al mondo, lasciando milioni di bambini a rischio.
Da gennaio, oltre 1 milione di persone – compresi circa 400.000 bambini – sono stati sfollati a
causa delle violenze nelle province di Ituri, Kivu Nord e Kivu Sud. Questa nuova ondata di
sfollamento si aggiunge alle oltre 5 milioni di persone, nella regione, che già vivevano in campi
per sfollati in condizioni di sovraffollamento e poco salubri che rendono preoccupante la
diffusione di malattie come il vaiolo, il colera e il morbillo (370 casi di colera da gennaio, 150 solo
a febbraio). Gli ospedali sono affollati, c’è carenza di medicinali, 15 strutture sanitarie sono state
distrutte. Bambini sotto i 5 anni, molti dei quali già affrontavano la malnutrizione cronica, sono
particolarmente a rischio.
La caratteristica più evidente e orribile di questo conflitto è la violenza dilagante commessa
contro i bambini e le donne. Molte persone sono state uccise o ferite. Nel primo trimestre di
quest’anno si è registrato un aumento del 100% delle gravi violazioni accertate rispetto al primo
trimestre del 2024. Queste includono attacchi indiscriminati, reclutamento e utilizzo di bambini
su larga scala, rapimenti collettivi di bambini e violenza sessuale diffusa.
Il tasso di violenza sessuale sui bambini ha raggiunto livelli incredibilmente alti. Le organizzazioni
per la protezione dell’infanzia mostrano che i bambini rappresentano più del 40% dei circa 10.000
casi di stupro e violenza sessuale denunciati, riportati solo a gennaio e febbraio (la cifra reale è
probabilmente molto più alta). L’UNICEF stima che durante le fasi più intense del conflitto
quest’anno nella RDC orientale, ogni mezz’ora è stato violentato un bambino: lo stupro e altre
forme di violenza sessuale vengono usate come arma di guerra per distruggere vite, famiglie e
comunità.
I casi di rapimento di bambini sono aumentati di sei volte fra dicembre 2024 e febbraio di
quest’anno. Questi aumenti sono accompagnati da segnalazioni di altre gravi violazioni dei diritti
dei bambini, tra cui uccisioni e mutilazioni di bambini e minacce da parte di gruppi armati contro
i bambini che vivono per strada.
Più di 400 bambini sono stati reclutati da gruppi armati nella Repubblica Democratica del Congo
tra gennaio e febbraio di quest’anno. I bambini vengono spesso reclutati perché poco costosi,
più facili da controllare e manipolare e perché si aspettano che gli adulti li proteggano.
Solitamente non sono pagati, vengono utilizzati per svolgere compiti che gli adulti non vogliono
fare e possono essere costretti a compiere atti di violenza o a subire violenze, come nel caso ad
esempio delle ragazze reclutate per diventare “mogli” di soldati.
Il reclutamento, l’utilizzo e il rapimento di bambini nei conflitti armati è una grave violazione del
diritto internazionale umanitario e può costituire un crimine di guerra.
Dall’inizio dell’anno, più di 2.500 scuole e spazi per l’apprendimento nel Nord e Sud Kivu,
comprese quelle nei campi di sfollamento, che possono rappresentare uno spazio sicuro di
protezione dei bambini dal potenziale reclutamento da parte dei gruppi armati e dalla violenza
sessuale, sono state costrette a chiudere, mettendo ulteriormente a rischio i bambini. Alcune
scuole sono state trasformate in rifugi per famiglie sfollate.
La violenza e l’insicurezza stanno minando il commercio e la capacità degli operatori umanitari di
raggiungere costantemente i bambini e le famiglie in difficoltà. Da gennaio sono stati uccisi
almeno undici operatori umanitari, i locali e i magazzini umanitari sono stati saccheggiati.
Nonostante ciò, l’UNICEF e altre organizzazioni umanitarie continuano a fornire supporto ai
bambini, con servizi di salute mentale e supporto psicosociale e con l’assistenza per i bambini
non accompagnati e separati cosicché possano essere riuniti alle loro famiglie.
Nelle Americhe – La violenza diffusa
La violenza in America latina può raggiungere estremi che non lasciano scelta: o si rimane
intrappolati o si fugge. Dall’inizio del nuovo millennio, più di 2,6 milioni di persone sono state
assassinate e circa 13 milioni sono emigrate.
L’America Latina ospita solo l’8% della popolazione mondiale e, parallelamente, si stima che sia
scenario di un terzo degli omicidi globali con un’altissima incidenza proporzionale della violenza.
La violenza genera paura, trauma e sofferenza, nonché danni alla qualità della vita di tutti
giorni. Il porto d’armi è comune e gli spari rientrano nel paesaggio sonoro urbano.
Gli esperti parlano di una vera e propria epidemia di violenza, il cui epicentro è il Triangolo Nord
del Centro America: El Salvador, Guatemala e Honduras. È la zona più violenta del mondo senza
guerre dichiarate il cui primato costituisce un grande ostacolo allo sviluppo. Non è quindi una
coincidenza che siano tra i Paesi con gli indici di povertà e di disuguaglianza più elevati del
continente.
Il fenomeno che contraddistingue il Triangolo rispetto al resto dell’America latina è la
presenza delle maras. In Centro America, il termine mara significa colloquialmente gruppo di
amici, gente. È il troncamento di marabunta, una famiglia di formiche che vive in migrazione
permanente e divora tutto quel che trova sulla propria strada. In questo modo, uno stesso
termine viene usato per riferirsi ai propri amici e a degli “sciami” di giovani – inizialmente amici
tra loro – che hanno dato violentemente vita a uno dei tipi di organizzazioni criminali più
sanguinarie al mondo.
Le radici di tanta violenza sono da ricercarsi nella
situazione geopolitica della regione che allunga
la lista di cause strutturali della violenza, quali la
banalizzazione della stessa e la disponibilità di
armi. Un’altra causa strutturale è la corruzione
che corrompe il potere per promuovere
interessi privati a scapito di quelli pubblici. In
questo modo, le istituzioni sono deboli e la
ricchezza è concentrata nelle mani di pochi,
generando impunità e forti disuguaglianze.
Inoltre, la posizione geografica colloca il Triangolo in mezzo alla rotta strategica della droga, che
dal Sud America vuole raggiungere il mercato statunitense. Tutti questi fattori
contribuiscono all’esorbitante violenza di cui patisce la regione e alla sua conseguente instabilità,
alimentandosi a vicenda.
Bambini, non soldati
Per “bambino soldato” si intende una persona sotto i 18 anni di età che fa parte di qualunque
forza armata o gruppo armato, regolare o irregolare che sia, a qualsiasi titolo – tra cui i
combattenti, i cuochi, facchini, messaggeri e chiunque si accompagni a tali gruppi, diversi dai
membri della propria famiglia. Il fenomeno comprende anche le ragazze reclutate per fini
sessuali e per matrimoni forzati.
Quale sia il ruolo loro imposto, sono comunque vittime di reclutamento, sfruttamento e
abusi, non soldati, ma bambini. Sono associati a milizie o gruppi armati per vari motivi: alcuni
sono rapiti, minacciati, forzati o manipolati. Altri sono spinti dalla povertà, per aiutare
economicamente le loro famiglie. Altri ancora lo fanno per sopravvivere o proteggere le loro
comunità. Indipendentemente dal loro coinvolgimento, il reclutamento e l’uso di bambini nei
conflitti è una grave violazione dei diritti dei bambini e del diritto internazionale umanitario.
Per la Conferenza sulla protezione dei bambini nei conflitti armati di Oslo, l’UNICEF ha ricordato
che tra il 2005 e il 2022 più di 105.000 bambini sono stati reclutati ed usati nei conflitti, vittime di
quelle che le Nazioni Unite monitorano come le Sei gravi violazioni a danno dei bambini: uccisioni
e mutilazioni; reclutamento o utilizzo dei bambini come soldati; violenza sessuale; sequestri;
attacchi contro scuole e ospedali; impedimento nell’accesso all’assistenza umanitaria.
Fonte. Sito http://www.unicef.it
La guerra e la scuola
Nelle nazioni lacerate dalla guerra le scuole vengono distrutte dai bombardamenti indiscriminati,
oppure trasformate in postazioni militari. Insegnanti e alunni sono costretti a rimanere nelle
proprie case, per la paura di incappare in una mina o di essere coinvolti nel fuoco incrociato delle
parti in lotta.
I conflitti non solo interrompono, interferiscono e ostacolano il percorso scolastico dei giovani e
ne pregiudicano il futuro. Ma in molti paesi i bambini e i ragazzi possono trovarsi di fronte a
programmi modificati per riflettere le intenzioni della fazione al potere e sono educati all’uso
delle armi e indottrinati all’odio verso gli altri.
Yemen – testimonianza di Mohammed (14 anni)
Tra i profughi scappati da Sana’a, capitale dello Yemen, che hanno trovato riparo nella provincia
di Mareb, nel nord-ovest dello Yemen, è stata raccolta la drammatica testimonianza di un ex
bambino-soldato, uno dei tanti che, da solo, è riuscito a evadere da un campo di addestramento
della fazione Houthi per evitare di andare a combattere. Mohammed Mabruk, ha solo 14 anni e,
come altri ragazzini, è stato indottrinato dal gruppo Ansar Allah che nel 2014 ha preso il controllo
di Sana’a.
«Sono stato rapito un anno fa dai miliziani Houthi dalla mia casa di Sana’a perché dovevo andare
a combattere sul fronte di al Hodeida», ha spiegato il ragazzo. Hodeida è una strategica provincia
occidentale yemenita situata lungo le coste del Mar Rosso.
«Prima di insegnarci a sparare – ha proseguito il ragazzo – avevano la necessità di indottrinarci. Mi
sono trovato in una specie di scuola, in un campo di addestramento per seguire un corso di
indottrinamento ideologico. Ci hanno prima spiegato la vita del leader del gruppo, Abdel Malik al
Houthi, e il suo pensiero. Ci hanno fatto sentire i suoi discorsi e spiegato l’importanza del loro
credo, ci hanno insegnato ad odiare Israele e quelli del partito avverso che sono, secondo loro, il
male del mondo».
Mohammed è riuscito a trovare la forza di fuggire: «Sono riuscito a scappare e dopo cinque giorni
di cammino a piedi sono riuscito a raggiungere Mareb, trovando ospitalità nei campi profughi».
Russia e Ucraina
Dal 2014, gli scontri avvenuti in questi territori tra i separatisti supportati dalla Russia e le forze
governative filo ucraine hanno esasperato i sentimenti nazionalistici e seminato il caos nel
sistema scolastico e tra gli studenti. Nel Donbass, alcune organizzazioni giovanili patriottiche
addestrano i bambini non solo a sopravvivere agli scontri e a maneggiare le armi, ma anche a
odiare l’altro, a difendersi dal proprio vicino e ucciderlo, se è necessario per il proprio Paese.
Al LIDER, un campo estivo per bambini tra i 6 e i 17 anni di età nella periferia della capitale ucraina,
Kiev, i giovani si svegliano ascoltando l’inno nazionale durante l’alzabandiera, prima di
partecipare a vari esercizi di addestramento militare. Imparano a strisciare nelle trincee, a
mettersi la maschera antigas, a montare e smontare fucili d’assalto, a sparare, e altro. Per tutto
il tempo, ascoltano discorsi contro la Russia e sulla sopravvivenza.
Ai ragazzi è stato chiesto perché si trovano al campo, perché vogliono proteggere il proprio
Paese, e quali sono i loro sogni. Le loro risposte riflettono influenze contrastanti:
l’indottrinamento del campo, la loro visione della realtà della guerra e anche la loro gioventù e il
desiderio di un’infanzia normale. Yelena Shevel, 10 anni, ha risposto che le piace andare in piscina
ma anche sparare al poligono. Mykhailo Deinikov, 8 anni, ha scritto che crede sia “importante
difendere la propria patria perché può facilmente cadere in mano al nemico e noi possiamo
essere presi come ostaggi e uccisi”, aggiungendo che prima della guerra il suo sogno era
diventare un ricercatore e studiare i pesci: “Non voglio diventare un soldato, perché mi fa paura.
Il mio sogno è che nel mondo non ci siano più guerre”.
Sul fronte opposto di questo conflitto, le accademie militari stanno spingendo i cadetti a unirsi
alle forze armate separatiste supportate dal Cremlino. È stato riportato che il Liceo militare G.T.
Beregovoj nella Repubblica Popolare del Donetsk (l’autoproclamato Stato separatista nell’est
dell’Ucraina) ha diplomato oltre 300 studenti dall’inizio della guerra nel 2014. Anche da quella
parte, si pone costantemente l’enfasi sulla demonizzazione del nemico: “Identificare un nemico
è un modo molto efficace per rinforzare l’idea di una nazione che ha un obiettivo comune.
Quando si cerca di imporre le proprie idee a qualcun altro, quando si pensa di essere superiori
all’altro, quando si pensa che la propria bandiera, la propria storia, politica, valori, siano migliori
di altri, a quel punto il pensiero diventa pericoloso”.
Un istruttore volontario guida il gruppo dei più giovani del LIDER, un campo estivo per bambini da
sei a diciassette anni di età, a svolgere le attività quotidiane, che prevedono una rigida disciplina e
la familiarizzazione con l’uso delle armi.
Il ritorno della leva obbligatoria
Cresce il numero dei Paesi europei che hanno deciso di riattivare o estendere il servizio militare. La
guerra d’aggressione russa in Ucraina ha incrinato certezze consolidate con cui avevamo messo
in soffitta la costrizione obbligatoria. La pace come un dato di fatto, la difesa affidata a forze
professionali esigue, la convinzione che i grandi conflitti fossero
un ricordo del passato improvvisamente si sono trasformati da
sfondo sicuro a elementi messi tragicamente in discussione. Di
fronte alle situazioni belliche in Ucraina e Medio Oriente, che
necessitano di uomini e mezzi in misura crescente per il tributo di
sangue che si continua a versare, molti governi europei hanno
riaperto mappe e cassetti legislativi: la leva, sospesa altrove, non
è più considerata una scelta definitivamente cancellata, ma un
possibile strumento di rinforzo delle dotazioni nazionali viste le
crescenti minacce.
In Italia il servizio militare non è mai stato formalmente abolito, ma
sospeso dal 2005.
L’educazione alla pace e alla non violenza
L’educazione alla pace in un mondo pieno di guerre è oggi più necessaria che mai. In un contesto
globale segnato da conflitti armati, tensioni politiche e divisioni culturali, l’educazione alla pace
non è solo un ideale, ma una necessità concreta per costruire società più giuste, inclusive e
resilienti.
Insegna a riconoscere l’umanità negli altri, contribuendo a smontare pregiudizi e stereotipi che
alimentano l’odio e la violenza. Fornisce motivazione e comunica quali siano i modi concreti per
affrontare i conflitti quotidiani attraverso il dialogo, la mediazione, piuttosto che con la forza.
Aiuta le persone, soprattutto i più giovani, a diventare cittadini consapevoli, capaci di partecipare
alla vita democratica e di impegnarsi per il bene comune. In un mondo dove la guerra viene
spesso normalizzata e riabilitata, educare alla pace significa anche sviluppare spirito critico verso
le narrazioni belliciste. L’educazione alla pace è un investimento a lungo termine per la
convivenza, la dignità umana e la sostenibilità globale. L’educazione alla pace, si può dire
insomma, che sia una questione vitale.
La Scuola della Pace
Imparare a vivere in pace è un processo lungo che dura tutta la vita. Nelle Scuole della Pace si
offre ai bambini e ai ragazzi, oltre al sostegno scolastico e affettivo, la possibilità di crescere con
gli altri senza pregiudizi e ostilità, imparando a vivere sentimenti di affetto, di amicizia, con
solidarietà e nel rispetto della cultura e delle religioni degli altri.
Il razzismo, le guerre, il divario tra Nord e Sud del mondo, la pace, sono alcune delle tematiche
che, presentate attraverso testimonianze, incontri e rapporti diretti, diventano parte sia della
cultura che dell’esperienza personale dei ragazzi.
Negli anni la Comunità di Sant’Egidio si è diffusa in tante parti d’Italia, d’Europa e del mondo.
Ogni anno nel mondo migliaia di bambini e adolescenti frequentano regolarmente le Scuole della
Pace in Europa, in America Latina, in Asia o in Africa, anche nelle zone di guerra, dove i bambini
sono le prime vittime, e nei campi profughi.
Le Scuole della Pace nel mondo
La Scuola della Pace a Kharkiv
Yulia, una ragazza di appena 16 anni, rientrata nella sua città, Kharkiv, dopo essere stata sfollata
per alcuni mesi, ha pensato che bisognasse fare qualcosa per i più piccoli e ha dato inizio alla
Scuola della Pace. Si svolge sottoterra, in un rifugio antiaereo, non ci sono finestre, un cortile per
giocare insieme, ma un gruppo di una ventina di bambini di seconda e terza elementare che finora
hanno studiato solo online, a causa della guerra, lì ha la possibilità di sperimentare cosa voglia
dire andare a scuola.
Questo spazio di infanzia li aiuta a vivere, a crescere, a dimenticare il male che è sopra le loro
teste, incessantemente da più di tre anni.
Le ferite dell’anima si sentono: le si possono scorgere nei disegni fatti nel sotterraneo, quasi tutti
con le tracce della guerra, dei missili, delle case distrutte. In uno dei rari momenti in cui ai piccoli
è permesso di giocare insieme all’aperto, c’è stata un’esplosione poco distante da loro. C’è in
tutti un senso grave di precarietà e di insicurezza, che si respira nell’aria ma resiste il bisogno di
un futuro, nonostante tutto. Lo si vede negli occhi dei giovani che insieme a Yulia hanno iniziato
questa avventura sotto le bombe, e nella determinazione dei bambini che non smettono di
chiedere di studiare e di prepararsi alla vita che, sperano tutti, possa essere in pace.
La Scuola della Pace a Goma
Nel cuore di Goma, tra le case provvisorie dei rifugiati c’è una scuola che continua a funzionare,
la scuola dedicata a Floribert Bwana Chui, giovane martire della legalità e della giustizia, ucciso
per la sua resistenza alla corruzione nella Repubblica Democratica del Congo. Oggi, la scuola di
Floribert non è solo un luogo dove si impara, è una scuola che accoglie, istruisce e sostiene: un
punto fermo per tante famiglie che vi trovano molto più di un’aula e per il quartiere che utilizza
il suo pozzo d’acqua potabile, regolarmente funzionante. E nelle giornate di distribuzione del
cibo, la scuola si trasforma in un centro di aiuto per gli anziani, che nella situazione di precarietà
rischiano di essere dimenticati.
In una regione profondamente segnata dalla guerra, mantenere una scuola attiva per quasi 1000
bambini, è una responsabilità, ma anche un segno di speranza nel futuro e nella pace.
“La solidarietà è la nostra risposta alla guerra”, dicono con determinazione i responsabili della
Comunità di Sant’Egidio.
La Scuola della Pace a Livorno
La Scuola della Pace a Livorno nasce nel 1992 nel quartiere di Corea, mentre oggi si trova nelle
Scuole Benci e Micheli, in centro e in periferia.
I bambini non trovano solo aiuto nello studio, ma anche amicizia ed affetto, che creano legami
capaci di vincere la solitudine. L’amicizia infatti, è la “materia” più importante che si impara alla
Scuola della Pace. Una materia da apprendere tutti, adulti e bambini.
Alla Scuola della Pace bambini e ragazzi, fin da piccoli, crescono con il valore della pace e
dell’accoglienza, capaci di confronto e relazione con tutti, si impegnano a capire il mondo ma per
viverci in maniera umana, generosa e solidale.
Oggi la presenza dei bambini alla Scuola della Pace si è arricchita di ragazzi provenienti da tanti
Paesi, nuovi amici con cui si lavora insieme per il bene di tutti i bambini del mondo, vicini e lontani,
superando anche le barriere della lingua.
Crescere insieme inoltre, nello stesso gruppo di amici, aiuta a non avere pregiudizi, a non
accettare discriminazioni e a riconoscere l’altro uguale a sé.
Alla Scuola della Pace si conoscono tante storie di povertà, violenza e guerra, diverse dalla
propria, maturando la consapevolezza che nessuno è troppo piccolo o debole da non poter
aiutare un altro, più povero o più debole di lui. Ciascuno è prezioso e può portare il suo
contributo: anche i più piccoli possono andare a trovare gli anziani in Istituto, vendere giocattoli
per aiutare l’Africa, raccogliere materiale scolastico e medicine da inviare in Ucraina.
Dall’ascolto degli anziani e dalla loro memoria è nata la manifestazione cittadina per la pace del
28 maggio, che ricorda i bombardamenti che hanno colpito Livorno nel 1943.
Un’occasione per imparare quale orrore sia la guerra, ieri e oggi, per concepire una volontà di
pace in un mondo che, purtroppo, sempre più spesso, ne dimentica il valore e non sa come
custodirla.
Qualcosa che tutti possiamo fare
C’è qualcosa che tutti possiamo fare per la pace, far sentire la nostra voce che protesta davanti
alla guerra, esprimere il nostro desiderio di pace. E poi essere tra quelli che educano alla pace …
e insegnando… si impara.
Conoscere ed aiutare la Scuola della Pace
Educare alla pace diventa una priorità nel mondo attuale, dove l’educazione militare viene
progressivamente inserita nei curricula scolastici di tanti paesi al mondo, anche in Europa, come
recentemente accaduto in Russia, in Ungheria, in Lituania.
È qualcosa che tutti possiamo fare.
Una domanda e una risposta
La domanda su cosa posso fare io e cosa possiamo fare noi per la pace è comunque una domanda
che deve restare, aperta e ambiziosa, piena di compassione per il dolore degli altri e di speranza
per tutti.
“Facciamo pace?” si chiedono i bambini e i ragazzi del mondo. La mostra e il progetto educativo
presentato, si propone di sostenere questa domanda e di aiutare ogni persona, a qualsiasi età, a
cercare una sua personale risposta.
