
Ne ha parlato Simone Bentrovato dell’ufficio di direzione FederTerziario alla commissione Affari Sociali Lavoro del Senato.
Netta la posizione espressa da FederTerziario in occasione dell’audizione alla commissione Affari Sociali e Lavoro del Senato relativa al ddl sul salario minimo che si è tenuta nel pomeriggio di oggi.Ribadendo una visione già espressa anche in termini di contributi teorici e confronto nei tavoli istituzionali, l’organismo datoriale illustra innanzitutto l’impatto di una misura sul mondo delle micro, piccole e medie imprese che costituiscono il 99% del sistema produttivo nazionale.
“In Italia la quasi totalità dei lavoratori è coperta dalla contrattazione collettiva, a conferma della capacità del sistema delle Relazioni industriali di intercettare le esigenze del mondo del lavoro, senza la necessità di interventi legislativi che potrebbero addirittura peggiorare le condizioni soprattutto dei lavoratori più fragili. Infatti, da un lato riteniamo che i costi derivanti da un eventuale aumento trasversale dei salari – spiega Simone Bentrovato dell’ufficio di direzione di FederTerziario – impatterebbero pesantemente sulle MPMI, fisiologicamente più esposte a fenomeni di cambiamento e di aumento dei costi aziendali, che pertanto andrebbero sostenute attraverso sistemi di decontribuzione e detassazione degli incrementi retributivi, in modo da consentire un graduale allineamento delle retribuzioni; dall’altro che l’introduzione di un salario legale rischi di determinare, come già sta accadendo in altri paese europei che l’hanno adottato, una fuga dai contratti collettivi, a tutto danno proprio di quei lavoratori che con il provvedimento si intendono tutelare. Non può ignorarsi infatti che oggi i contratti oltre alle questioni di natura salariale, garantiscono ai dipendenti, welfare, formazione, flessibilità e tanto altro, con l’ovvia conseguenza che la fuga dai contratti priverebbe i lavoratori di una serie di prestazioni e opportunità“.
Il rischio concreto è che un innalzamento dei salari per legge possa diventare ininfluente rispetto all’obiettivo fondamentale che si propone: eliminare il lavoro povero che invece deriva prevalentemente dalla stagionalità di alcuni settori, dalla precarietà che interessa soprattutto giovani e donne, da sacche di lavoro nero o “grigio”, dal ricorso al part-time involontario o ancora dai tardivi rinnovi dei contratti nazionali.
“Una legge sul salario minino inoltre, anziché risolvere il problema del lavoro povero – aggiunge Bentrovato – potrebbe invece favorire un aumento del ricorso al lavoro nero ovvero a forme di lavoro irregolare. L’introduzione di un salario minimo non risolverebbe, di per sé, il problema di adeguare i salari più bassi, perché rimarrebbe irrisolto il nodo centrale del controllo sull’effettivo rispetto della misura ‘legale'”.
Per evitare questo rischio sarebbe necessario un maggiore impegno nei confronti degli organi ispettivi, dotandolidi “regole certe, risorse economiche e umane – evidenzia l’esponente di FederTerziario – sufficienti a combattere tutti i fenomeni elusivi che, oltre a negare il diritto a una retribuzione dignitosa e proporzionata, configurano una vera e propria forma di concorrenza sleale foriera di effetti negativi su tutto il sistema economico“. Un tema che si lega a doppio filo all’occupabilità dei lavoratori meno qualificati.
“Bisogna incentivare i rinnovi tempestivi dei contratti collettivi per evitare la perdita di potere d’acquisto dei salari, investire in sistemi premianti che valorizzino le imprese che investono in un’organizzazione del lavoro inclusiva e flessibile, creare una filiera dell’istruzione e formazione capace di creare competenze e consapevolezza – conclude Bentrovato – Solo attraverso un sistema che incentivi le imprese virtuose e di welfare integrato tra pubblico e privato si può combattere efficacemente la povertà, senza ridurre i livelli occupazionali o comprimere la competitività delle imprese“.
